Di solito, chi sostiene che i testi evangelici dipendano da originali semitici (ebraici o aramaici) fa appello a una famosa richiesta del Padre Nostro che compare in modo leggermente diverso nelle due versioni matteana e lucana. Il primo evangelista dice "rimetti a noi i nostri debiti" (in 6:12), mentre Luca ha (in 11:4) "perdona a noi i nostri peccati". Ho riportato qui le traduzioni della CEI2008, ma devo dire che la resa di Lc 11:4 non è molto felice, perché il verbo greco è uguale a quello di Matteo (afiemi) e quindi sarebbe stato meglio mantenere "rimettere" in entrambi i casi (come faceva, ad esempio, la vecchia Diodati). Chi ritiene che dietro la preghiera ci fosse un originale semitico sostiene che la differenza fra i due Vangeli dipende da un aramaico hoba, termine che ha sia il significato di "debito" (quindi ofeilema, in Matteo) che quello di "peccato" (hamartia, in Luca).
Trovo, tuttavia, che questo modo di vedere le cose sia problematico. Prendo come esempio lo studio più recente in cui ho trovato sostenuta questa posizione, Sin: a History, pubblicato nel 2009 da Gary Anderson, professore di Antico Testamento all'Università di Notre Dame. Alle pagine 31-32 del volume, Anderson asserisce che "i termini che Matteo usa per descrivere la remissione dei peccati sarebbero parsi inusuali ad un parlante greco". In realtà, afiemi e ofeilema, usati in questo modo, non avrebbero potuto apparire affatto strani ad un greco. In un mio articolo, recentemente pubblicato sul Catholic Biblical Quarterly, mi pare di aver mostrato che tale terminologia compare in decreti di amnistia che i sovrani ellenistici di solito emanavano per festeggiare la loro ascesa al trono o altri momenti chiave di loro regni (ad esempio, vittorie militari). L'Egitto ci ha conservato diverse copie di questi documenti ufficiali, che avevano grande importanza perché cancellavano tutti i reati penali per l'anno corrente oltre ai debiti dovuti alla corona e perfino ai privati (si può leggere un esempio frammentario - ma molto simile alla fraseologia del Padre Nostro - qui e l'inzio di un altro editto del secondo secolo a.e.v. qui).
E' molto problematico, come fa Anderson, presupporre che il testo di Matteo debba avere un senso "religioso" (cioé, che debba riguardare i "peccati"), quando a un lettore antico doveva apparire immediatamente collegato alla sfera economica. Si tenga presente anche che l'accostamento a questi decreti reali ellenistici non può essere giudicato estemporaneo, perché tutta la preghiera, a partire dalla menzione della basileia ("regno"), sembra presentare Dio utilizzando i temi tipici della propaganda monarchica ellenistica. Nella prospettiva ideologica che troviamo in numerosi trattati, iscrizioni e proclami di vario genere i sovrani sono presentati spesso come garanti dell'ordine cosmico e investiti della regalità non solo in virtù della loro potenza militare, ma soprattutto per la responsabilità che esercitano nel proteggere i loro sudditi in momenti di difficoltà, fornendo loro pane in occasione di carestie o liberandoli da oneri finanziari quando questi diventano troppo pesanti. Credo che Anderson non possa invocare nemmeno Luca a sostegno della sua lettura, perché il terzo evangelista certamente "spiritualizza", ma lo fa ancora una volta utilizzando un termine (hamartia) che deriva (con probabile mediazione della LXX) dagli stessi decreti, laddove essi si riferiscono all'amnistia dei reati penali.
Mi pare, in conclusione, che non sia possible provare l'esistenza di un supposto sostrato semitico facendo ricorso al testo del Padre Nostro; questo ovviamento senza pregiudizio sulla questione della appartenenza del testo al Gesù storico o della lingua in cui lo stesso Gesù storico predicò.
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lunedì 24 ottobre 2011
sabato 15 ottobre 2011
Larry Hurtado e la fisicalita' dei manoscritti
Il blog Evangelical Textual Criticism offre ai lettori una vera e propia chicca, perche' Tommy Wassermann, uno dei curatori, fornisce links alle registrazioni audio di tutti gli interventi (e anche delle discussioni!) di una giornata di studio tenuta il 7 ottobre a Edinburgo per celebrare il pensionamento di Larry Hurtado. Quest'ultimo, nella sua ormai lunga carriera, ha apportato al campo degli studi neotestamentari piu' di un contributo fondamentale e quindi le relazioni, anche se l'audio non e' proprio eccezionale, meritano di essere ascoltate. Hurtado e' certamente piu' famoso per i suoi lavori sulla cristologia, ma i suoi scritti sulla critica testuale e sugli antichi manoscritti cristiani non sono meno importanti. E' interessante notare che gli organizzatori della giornata di Edinburgo siano, per cosi' dire, andati in controtendenza, perche' hanno invitato solo un oratore (Richard Bauckham) per le questioni cristologiche e ben due (lo stesso Wassermann e Thomas Kraus) per il resto dell'opera di Hurtado. In generale, gli interventi sono celebrativi e quindi non ci sono da aspettarsi grandi scontri, ma l'ascolto puo' essere senz'altro utile per avere una rapida introduzione al pensiero di Hurtado.
Vorrei spendere due parole sul contributo di Kraus, non solo perche' lui mi(!) cita en passant, ma anche perche' si occupa di quello che personalmente trovo essere il libro piu' affascinante di Hurtado, The Earliest Christian Artifacts: Manuscripts and Christian Origins. In questa raccolta di articoli, Hurtado studia antichi papiri e codici cristiani non concentrandosi sul testo, ma guardando invece alle loro caratteristiche fisiche e "bibliologiche" (come forse si dovrebbe dire in modo piu' tecnico). Questa scelta metodologica e' certamente insolita, ma altrettanto benefica, dal momento che purtroppo la grande maggioranza degli studiosi tende a non prestare la minima attenzione alla materialita' dei manoscritti che preservano il testo del Nuovo Testamento (un atteggiamento la cui negativita' e' ulteriormente amplificata dai molti studenti che si convincono che il Nuovo Testamento "sia" il testo critico stampato nel Nestle-Aland).
Certo, andare contro ad una tradizione che ha teso a "disincarnare" il testo per chiari motivi teologici e ideologici non e' facile: Hurtado stesso lo conferma, quando, rispondendo a Kraus, accenna la fatto che l'idea originale per questi lavori cosi' fruttuosi gli e' venuta quasi per caso, visto che la sua educazione non l'aveva mai portato a riflettere su questi aspetti.
Come sottolinea giustamente Kraus, tuttavia, domandarsi perche' i cristiani preferiscano utilizzare la forma del codice rispetto a quella del rotolo per i loro testi canonici o perche' inseriscano nei loro manoscritti nomina sacra e staurogrammi produce risultati assai significativi: ci permette di istituire importanti correlazioni storico-sociali e, per una volta, di fare affermazioni sulla storia delle origini cristiane appoggiandosi su evidenze materiali. Senza dubbio le ragioni della preferenza cristiana per il codice rimangono ancora dibattute e lo staurogramma (per me, piu' visualizzazione della croce che del crocifisso, contra Hurtado) cela ancora segreti, ma questa mi sembra una delle vie piu' interessanti da percorrere.
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lunedì 10 ottobre 2011
Paolo e la caparra dello Spirito
Aggiungo una piccola nota a margine del tema della schiavitu' in Paolo, visto che negli ultimi tempi ho scritto qualche post su questo e che nei giorni scorsi mi e' capitato di leggere con interesse un articolo (apparso in uno dei piu' recenti fascicoli di New Testament Studies) di Peter Arzt-Grabner, professore di papirologia e scienza biblica del Nuovo Testamento all'Universita' di Salisburgo. Il contributo, dal titolo "Gott als verlässlicher Käufer: einige papyrologische Anmerkungen und bibeltheologische Schlussfolgerungen zum Gottesbild der Paulusbriefe" (Dio come compratore affidabile: alcune osservazioni papirologiche e conclusioni di teologia biblica sull'immagine di Dio nelle lettere di Paolo"), si occupa in particolare del termine arrabon ("caparra"), che Paolo usa in due versetti della Seconda lettera ai Corinzi (1:22 e 5:5).
Arrabon e' uno dei molti concetti legati alla vita economica e commerciale che Paolo usa nelle sue lettere. Arzt-Grabner ha gia' dimostrato in un minuziosissimo volume dedicato alla Lettera a Filemone (pubblicato nel 2003) che Paolo mostra una notevole familiarita' con le formulazioni specifiche dei contratti di apprendistato per tessitori, che conosciamo in numerose copie papiracee: a un punto tale che appare affidabile la tradizione di Atti 18:3 - l'apostolo sarebbe stato un imprenditore nel campo della tessitura. Arzt-Grabner produce una lunga serie di testimonianze papirologiche in cui il termine arrabon viene utilizzato per indicare l'acconto che un compratore consegna al venditore come caparra del pagamento finale che avverra' entro un tempo stabilito e contestualmente alla consegna della merce. Ci rimangono numerose ricevute che attestano la consegna di queste caparre per l'acquisto di ogni tipo di beni (anche schiavi), ma anche di servizi (nell'articolo troviamo l'esempio di un contratto per la raccolta di olive e, molto curioso, per la cattura di topi). Arzt-Grabner conclude che, in un mondo di incertezza come quello antico, l'arrabon serve a dare ai venditori la sicurezza che i compratori completeranno l'acquisto, pena la perdita della loro caparra.
Questo elemento di garanzia sarebbe, alla conclusione dell'articolo, la ragione per cui Paolo usa l'immagine dell'arrabon nella sua lettera: servirebbe a confermare nei suoi destinatari la fiducia in Dio che, come compratore affidabile, ha lasciato una caparra. Ovviamente, e' interessante cercare di capire quali siano gli altri elementi di questa transazione metaforica. Giustamente, Arzt-Grabner avverte che nell'uso metaforico di Paolo non ci si puo' aspettare di trovare la medesima precisione di un contratto. Quindi, nella Seconda Corinzi Paolo non avrebbe un venditore e soprattutto lascerebbe un po' in ombra il ruolo dello Spirito: potrebbe essere l'arrabon stesso o un servizio (l'attivita' dello Spirito "nei nostri cuori") per cui Dio ha pagato un acconto imprecisato (questa e' l'opzione per cui propende Arzt-Grabner).
Trovo interessante, invece, provare a pensare lo Spirito come caparra e "noi" come gli schiavi acquistati da Dio. Scegliere questa opzione permetterebbe di rendere coerenti questi versetti con altri passi paolini (per esempio il gia' discusso 1 Cor 7:22-23) e di identificare anche un "venditore", il "peccato" come in Rm 6:15-22.
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martedì 28 dicembre 2010
Rotolo e codice
Sommerso dalla neve, ho passato il tempo leggendo il bel libretto di Roger Bagnall, Early Christian Books in Egypt ("Libri proto-cristiani in Egitto"). In passato ho gia' parlato della posizione decisa che Bagnall, uno dei papirologi piu' eminenti, prende contro la tendenza ad assegnare datazioni estremamente basse ai papiri del Nuovo Testamento.
Nell'ultimo capitolo del libro, Bagnall si occupa di uno dei "misteri" piu' classici della storia antica, il passaggio, avvenuto apparentemente fra il II e il VI secolo della nostra era, dal rotolo al codice. Tradizionalmente, i libri antichi avevano tutti il formato del rotolo, scritto solo su di un lato e che doveva essere srotolato per essere letto. A cominciare dalla fine del I e poi sempre di piu' nei secoli successivi, si cominciano a trovare libri in forma di "codice", vale a dire il "quaderno" che ormai e' diventato per noi sinonimo di "libro". La grande maggioranza dei libri cristiani sono in effetti codici e da qui e' nata l'ipotesi che fossero stati proprio i cristiani a inventare questo nuovo fomato o, quanto meno, a portarlo al successo quando il mondo mediterraneo divenne cristiano nella tarda antichita'.
Devo confessare che questa versione della storia era quella che conoscevo anch'io, ripetuta com'e' in tutti i manuali e le trattazioni che si leggono se si rimane nel circolo un po' autoreferenziale degli studi sul cristianesimo antico. Bagnall viene da fuori e porta una ventata di aria fresca. Anzitutto, fa notare che dal II al IV secolo i testi cristiani sono solo un terzo dei codici che possediamo: si tratta sempre di una percentuale notevole, ma certo non maggioritaria. Se si guarda, invece, al genere dei libri preservati in forma di codice, si osserva qualcosa di particolare: non si tratta per lo piu' di opere classiche e letterarie, ma di manuali medici, musicali, astronomici, magici...
Credo che Bagnall sia nel giusto quando conclude che il passaggio dal rotolo al codice vada considerato ben piu' che un cambio di formato, ma che esso implichi anche un radicale mutamento della concezione e dell'uso dei libri e della lettura. Il rotolo era adatto per le letture pubbliche che tanto piacevano all'aristocrazia greco-romana, mentre il codice sembra venir pensato per un utilizzo piu' individuale e quasi privato. Il codice e' piu' adatto all'attivita' esegetica di chi deve avere sott'occhio allo stesso momento piu' passi diversi, ma e' anche fatto per chi non e' interessato a una lettura continua e comunitaria. Non e' un caso, aggiungerei io, che i papiri documentari ci rivelino come, nell'antichita', la consuetudine dei cristiani con la Bibbia sia molto limitata quando si va oltre le cerchie ristrette dei teologi o di chi organizzava la liturgia.
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venerdì 7 maggio 2010
Il papiro di Setne e Siosiris
Oggi pomeriggio ho ascoltato una conferenza di Raquel Martin Hernandez, della Universita' Complutense di Madrid, dedicata ad un papiro in demotico del primo secolo della nostra era che narra alcune storie di cui sono protagonisti i due egiziani Setne e Siosiris. Uno dei racconti presenta interessanti punti di somiglianza con alcuni scritti apocalittici cristiani antichi. Setne e Siosiris sono padre e figlio, uno faraone e l'altro grande esperto di magia, e se ne vanno a fare un giro nell'aldila' per vedere come sono trattate le anime dei defunti. Dopo aver visto anime sottoposte a curiosi supplizi (per esempio, intrecciare una corda che viene immediatamente mangiata da un asino), i due giungono davanti al tribunale presieduto da Osiride. Le anime sono pesate su una bilancia che stabilisce se le loro buone azioni sono maggiori delle cattive. Chi supera la pesatura e' premiato con la vita divina, mentre le anime dei cattivi sono distrutte.
La storiella contiene un'interessante associazione di elementi egiziani e greci (per esempio, il tormento della corda e' quello di Ocno, mentre in un altro punto e' citato quello di Tantalo): giustamente, Martin Hernandez ha fatto notare che non avrebbe senso distinguere i vari "filoni" culturali, perche' questa ibridazione e' esattamente cio' che caratterizzava la cultura (in questo caso, direi "popolare") dell'Egitto greco-romano. La stessa cosa si puo' dire anche dei cristiani perche' molti dei temi di questo testo e di altri simili sono poi finiti in Apocalissi come quella, famosissima, di Paolo e di li', solo per citare l'esempio piu' eclatante, nella Divina Commedia che ne segue pari pari lo schema.
Alcuni giorni fa, su un blog cattolico, ho trovato un post in cui si sosteneva che la Cappella Sistina (e anche la Divina Commedia) sarebbe comprensibile solo attraverso il "cristianesimo". Il problema e' che la cultura di Michelangelo (cosi' come quella di Dante o, naturalmente, degli autori biblici) non si puo' ridurre al solo cristianesimo. C'e' molto di piu' e ogni tentativo di ridurre questa molteplicita' ad una sola dimensione e' una forzatura nei confronti di questi grandi geni del passato ed una operazione polemica che cerca in modo miope di stabilire un presunto "diritto" di proprieta'. Direi che e' meglio lasciare che questi capolavori parlino a chiunque ed ascoltare il maggior numero possibile di messaggi diversi che ne vengono fuori.
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martedì 2 febbraio 2010
La datazione del Vangelo di Giovanni
Questo semestre insegno un corso sul Vangelo di Giovanni e quindi nelle prossime settimane cerchero' di scrivere qualche riflessione su questo testo che ha avuto una importanza fondamentale nella storia del cristianesimo.
Oggi ho parlato delle questioni introduttive e, siccome non avevo insegnato Giovanni per molto tempo, mi sono accorto, nel leggere le cose pubblicate di recente, che sono accaduti negli ultimi anni mutamenti di non poco conto. Un cambiamento radicale riguarda il problema della datazione del testo. Piu' o meno tutti i lavori su Giovanni pubblicati negli ultimi 30 anni danno per scontato che il Vangelo sia stato scritto negli anni 90 del primo secolo: questa datazione dipende da vari ragionamenti, ma in assoluto l'elemento piu' importante e' l'esistenza di un piccolo frammento di papiro (detto tecnicamente P52), che e' conservato a Manchester e che contiene parte di quattro versetti del capitolo 18 (per una presentazione molto dettagliata di questo papiro si puo' vedere qui). P52 fu pubblicato nel 1935 e l'editore di allora, Colin Roberts, uno dei piu' grandi papirologi di tutti i tempi, lo dato' nella prima meta' del II secolo. La cosa suscito' una specie di rivoluzione, perche' questa scoperta metteva definitivamente a tacere tutti gli studiosi che nell'Ottocento (per esempio, il celebre F.C. Baur) avevano proposto di datare il Vangelo al 160 o anche dopo.
Nel 2005, pero', Brent Nongbri ha pubblicato sulla Harvard Theological Review un articolo nel quale dimostra che tutti hanno accettato la datazione di Roberts senza darsi pensiero di rivedere i documenti e che esistono in effetti papiri della fine del secondo e perfino dell'inizio del terzo secolo che sono assai simili a P52. Ovviamente nessuno degli autori piu' recenti si e' preoccupato di citare Nongbri, ma se si toglie di mezzo P52 le conseguenze sono notevoli. Solo un esempio: nessuno scrittore cristiano sembra citare Giovanni prima di Ireneo alla fine del secondo secolo (forse c'e' un riferimento in Giustino, ma la cosa e' assai discussa). Molti autori ortodossi (come lo stesso Ireneo o Origene) scrivono su Giovanni proprio per strapparlo agli eretici (Tolomeo o Eracleone) e inducono a prendere in seria considerazione l'ipotesi che il Vangelo sia stato prima gnostico e solo in un secondo tempo opportunamente "de-gnosticizzato". Riaprire la questione della datazione permetterebbe anche di riaprire la questione dei rapporti con lo gnosticismo senza tante preoccupazioni dogmatiche (sul dualismo, per esempio).
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lunedì 7 dicembre 2009
Convegno su papirologia e NT II
Come ho gia' detto, il convegno di Salisburgo e' stato ricco di contributi molto significativi: siccome non ho la possibilita' di riportarli tutti qui, ne segnalo solo alcuni che possono magari essere piu' interessanti per i lettori.
Le discussioni sulle lettere paoline mi sono parse molto innovative: Joachim Hengstl dell'Universita' di Marburgo, uno dei massimi esperti mondiali di storia del diritto nell'antichita' ha fatto notare un elemento solitamente trascurato quando si analizzano le lettere attribuite a Paolo. A differenza di tutte le altre lettere che conosciamo dai papiri, quelle di Paolo non contengono, soprattutto all'inizio, nessun particolare sulla vita e sulla situazione personale dell'autore: cio' fa pensare che queste epistole siano passate attraverso una fase di redazione nell'antichita' in cui qualcuno ha deciso che certi particolari non erano importanti e potevano essere eliminati.
Gunther Schwab, un giovane studioso, appena dottorato presso la Facolta' di Teologia di Salisburgo, ha presentato la sua analisi di alcuni passi della Prima lettera ai Tessalonicesi e ha mostrato, in modo molto convincente, come questi siano stilisticamente paralleli a testi tratti dagli Atti degli apostoli. Entrambi questi contributi hanno proposto innovazioni metodologiche nell'analisi dei testi paolini e mi pare abbiano gettato seri dubbi sull'attendibilita' della tradizione che ci ha trasmesso il testo di Paolo.
Il convegno e' stato chiuso da David Martinez, professore di papirologia alla University of Chicago, che ha parlato della storia della festa dell'Epifania come essa appare nei papiri egiziani. Come ancora oggi per le chiese cristiane d'Oriente, il 6 gennaio e' una delle date piu' importanti dell'anno fin da un'epoca molto antica: anzi, nei documenti piu' antichi l'Epifania e' il giorno in cui si festeggia la venuta del Figlio di Dio (il Natale al 25 dicembre sara' solo una novita' tarda importata dall'Occidente). Questo evento fondamentale non e' ovviamente collegato alla nascita di Gesu', ma, come nel Vangelo di Marco, alla discesa dello Spirito di Dio su Gesu' al momento del battesimo ricevuto da Giovanni.
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venerdì 4 dicembre 2009
Convegno su papirologia e NT I
Come previsto, alla fine sono arrivato a Salisburgo e la prima giornata del simposio si e' svolta mi pare con un notevole successo. Il convegno, organizzato da Peter Arzt-Grabner presso la Facolta' di Teologia cattolica dell'Universita' di Salisburgo, ha come titolo "Light from the East" (che riecheggia quello di un famoso libro scritto piu' di cent'anni fa da Adolf Deismann) e si propone di festeggiare il quindicesimo anniversario del progetto, basato proprio qui a Salisburgo, di un "Commentario papirologico del Nuovo Testamento".
I vari contributi sono tutti stati pensati come esempi dell'utilita' dei papiri documentari nell'interpretazione del Nuovo Testamento e degli altri scritti cristiani antichi. Nella giornata di oggi, l'intervento senz'altro piu' stimolante e' stato quello di Mauro Pesce e Adriana Destro, due noti professori dell'Universita' di Bologna. Pesce e Destro hanno analizzato il tema della schiavitu' nel Vangelo di Giovanni. Questa e' stata una scelta assai felice, perche' apparentemente Giovanni non si occupa mai della questione, ma una lettura del Vangelo fatta considerando le informazioni dei papiri ha permesso di vedere molto chiaramente che Giovanni presuppone tutta una serie di immagini e riferimenti che si richiamano proprio agli schiavi e alle loro condizioni di vita.
Ovviamente il capitolo fondamentale e' il 13 in cui Giovanni presenta Gesu' che svolge uno degli incarichi normalmente attribuiti agli schiavi nelle case greco-romane: lavare i piedi agli ospiti. Secondo Pesce e Destro, il capitolo 13 rappresenterebbe un rito di iniziazione che permette l'entrata nella comunita' giovannea a coloro che da liberi si fanno servi degli altri membri del gruppo. I due studiosi italiani sono stati pero' molto attenti a non dedurre affrettatamente da questo particolare che il Vangelo intenda abolire la schiavitu'. Al contrario, nei capitoli seguenti si vede bene che Giovanni continua tranquillamente ad usare le immagini relative al rapporto padrone/schiavo per descrivere perfino la relazione fra Gesu' e i discepoli. Pesce ha sottolineato l'importanza di Gv 15:5 ("perche' senza di me non potete far nulla") come un passo che deve essere letto dal punto di vista di un padrone i cui schiavi sono totalmente dipendenti da lui. In questa prospettiva Gesu' viene presentato come una figura decisamente autoritaria in rapporto ai suoi discepoli e questi ultimi non possono fare altro che avere un ruolo del tutto passivo nel rapporto con il loro maestro.
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domenica 22 novembre 2009
Convegno della SBL a New Orleans
Come ogni anno, l'associazione biblica americana (Society of Biblical Literature) organizza il suo convegno annuale in una diversa citta' degli USA e quest'anno e' toccato a New Orleans. In realta', questo convegno, anziche' essere ristretto all'America, puo' ben essere considerato un convegno mondiale, perche' ci vengono a parlare e a incontrarsi accademici da tutto il mondo.
Tanto per non perdere l'abitudine, ho deciso di scrivere alcune note prima di andare a letto, ma senza nessuna pretesa di completezza, perche' il programma e' troppo vasto per poter essere anche solo enunciato qui.
Vorrei riferire solo di due relazioni che mi sono parse interessanti. Anzitutto, ho ascoltato Christian Askeland, un dottorando dell'universita' di Cambridge, che ha parlato di un papiro copto della Bodleian Library contenente la parte finale del capitolo 20 di Giovanni. La cosa e' interessante, perche' quasi tutti gli studiosi pensano che il capitolo 21 del Vangelo sia in realta' un finale secondario, aggiunto da un redattore al Vengelo gia' finito. Askeland ha sostenuto, in maniera piuttosto convincente, che il papiro copto e' solo un esercizio di scrittura (anche non molto ben riuscito) e quindi non puo' dirci molto sull'estensione del Vangelo usato dal copista.
In un'altra sessione, Daniel Schowalter ha descritto il tempio dedicato ad Augusto ed eretto da Erode a Omrit, nel posto vicino a Cesarea, in cui Marco ambienta la famosa "confessione" di Mc 8:27-30. Molti commentatori interpretano questo passo come un attacco all'autorita' dell'imperatore, ma Schowalter ha fatto notare che Marco non ha nessuna critica anti-imperiale, al massimo una critica al messianismo giudaico, dal momento che subito dopo Gesu' predice che il Cristo dovra' soffrire e essere messo a morte. L'archeologo ha concluso chiedendosi come mai Marco ha collocato la "confessione" proprio in quel luogo. A mio avviso, ci sono pochi dubbi: l'autore del Vangelo voleva sfruttare la potenza dell'immagine imperiale per esaltare quella del Cristo.
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sabato 14 novembre 2009
Greetings in the Lord
Oggi la classe di papirologia ha letto e commentato il libro di AnneMarie Luijendijk, professoressa al dipartimento di Religion dell'universita' di Princeton, "Greetings in the Lord: Early Christians and the Oxyrhynchus Papyri (Saluti nel Signore: Cristiani delle origini e i papiri di Ossirinco)". Il libro, molto bello, e' il risultato di una tesi di dottorato nella quale Luijendijk ha esaminato la sterminata collezione di papiri trovati ad Ossirinco da Grenfell e Hunt alla ricerca di informazioni sulla vita qutidiana dei cristiani che si trovavano nella citta' egiziana nel terzo e quarto secolo della nostra era. In effetti, Ossirinco e' probabilmente la citta' dell'antichita' su cui abbiamo piu' informazioni, perche' le migliaia di papiri scoperti dai due studiosi britannici ci danno la possibilita' di conoscere praticamente ogni dettaglio della vita culturale, politica e sociale del tempo. E' tanto piu' interessante studiare come si muovevano i cristiani in questo contesto e in un tempo chiave per la diffusione della nuova religione, quando abbiamo da un lato le ultime e piu' violente persecuzioni e dall'altro il cristianesimo che improvvisamente diviene "la" religione dell'impero con la "conversione" di Costantino.
Il libro di Luijendijk e' ricchissimo di spunti interessanti (e scritto anche in una prosa vivace insolita per i volumi papirologici), ma vorrei solo menzionare un aspetto che mi sembra interessante se si considerano anche certe discussioni abbastanza di moda oggi in Italia. Luijendijk inizia esaminando l'annoso problema di identificare i cristiani nei documenti: quali criteri si dovrebbero usare? Mi ha colpito notare il fatto che quasi nessuno si identifica o viene identificato con il termine christianos (la parola e' usata solo tre volte in tutti i papiri egiziani!). Inoltre, pocchissimi citano la Bibbia (appena una mezza dozzina di citazioni o eco nelle piu' di cento lettere private attribuite a cristiani): questo suona particolarmente strano a noi che siamo abituati a dire che i cristiani delle origini avevano sempre in mente la Bibbia, si potevano esprimere solo citando la Bibbia e cosi' via.
C'e' chi ha spiegato questo affermando che i cristiani nascondevano la loro identita' per timore delle persecuzioni, ma Luijendijk giustamente non da' molto credito a questa ipotesi. In realta', la situazione non cambia dopo Costantino e soprattutto pare impossibile che nelle condizioni di vita egiziane (pare che a Ossirinco ci fossero anche condomini di 7 piani!) qualcuno potesse tenere nascosto per anni di essere cristiano. Proprio ieri ho letto la lettera di un certo Copros che racconta allegramente ai famigliari di come ha evitato la condanna mandando un suo amico a scrificare al posto suo davanti al tribunale. In questo caso, come accade spesso, le nostre fonti letterarie ci danno una visione un po' deformata delle cose: pare che i cristiani non fossero tutti martiri, ma che molti non faticassero a trovare vie per coesistere nella societa' pagana.
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giovedì 8 ottobre 2009
Papiri magici
Oltre al corso apocalittico, in questo semestre insegno anche un corso di papirologia e la cosa mi da' molta soddisfazione: gli studenti sono pochi (il corso e' molto pratico), ma mi sembra che seguano con molto interesse le lezioni. Per oggi avevano assegnato come "compito" la ricerca di un papiro "cristiano" e due studentesse hanno "pescato" due pezzi davvero interessanti.
Il primo e' un papiro magico dei piu' classici (potete vedere una bella foto qui), perche' doveva, nel VI/V secolo, essere un piccolo amuleto che si portava addosso. Inizia con le lettere greche chi-mi-gamma che stanno per Christon Maria genna, che significa "Maria genera Cristo", e prosegue con una serie di invocazioni di misteriosi nomi divini che non sono altro che imitazioni di nomi di Dio in ebraico (una lingua che doveva sembrare particolarmente esotica e "magica" ai Greci del tempo). Ecco il testo: "Oroforfor, Iao, Sabaot, Adonai, Eloe, Salaman, ti incanto, scorpione artemisio, 315 volte. Proteggi questa casa con tutti quelli che ci vivono da ogni male, da ogni fattura, dagli spiriti dell'aria e dall'occhio umano, dalla sofferenza terribile e dai morsi dei serpenti e degli scorpioni. In nome del Dio altissimo - namzmenzaurouroaaaaabaichooooo - proteggi. O Signore, figlio di Davide nella carne, nato dalla santa vergine Maria, tu, Santo e Altissimo tra gli dei, dallo Spirito Santo. Onore a te, re celeste. Amen". Un bellissimo esempio di magia in cui si vede chiaramente il miscuglio fra cristianesimo e altre tradizioni religiose (particolarmente belli sono i disegni cristiani alla fine del papiro, con croci, alfa e omega e anche la famosa scritta ichthus = "pesce", che vuol dire "Gesu' Cristo, Figlio di Dio, Salvatore").
Il secondo papiro e' anche piu' significativo del primo: si tratta sempre di un testo del IV secolo che dice: "Santa Trinita', santa Trinita', santa Trinita', per intercessione dei santi martiri io prego il Signore, perche' perfino l'angelo sa della mia sofferenza. Cosi' testimonia del fatto che Teodosio ha un animo tirannico. Ho sofferto moltissimo come conseguenza del suo modo di fare tirannico, senza trovare aiuto se non nella forza che viene dal Signore e la testimonianza che mi viene dai santi. Per loro intercessione io mi rifugio in te e piangendo guardo alla tua santita' per vedere la tua potenza: quante malefatte mi ha fatto! Perche' ho sofferto moltissimo per mano sua. Signore, non disprezzare questa preghiera e non stare al suo fianco, di questo Teodosio, che ho menzionato prima. Ma non abbandonarmi perche' tu solo sei Dio, nel Figlio, nel Padre e nello Spirito Santo nei secoli dei secoli. Amen, Amen, Amen, Amen. Signore, Signore, Signore..."
Una studentessa ha paragonato questa preghiera ad un salmo: ma cosi' ci fa in una collezione di papiri magici? La verita' e' che impossibile definire cosa sia la magia, perche' ognuno la interpreta come il contrario della propria idea di religione: chi ha raccolto i papiri greci magici all'inizio del Novecento era tedesco e luterano, quindi tutto quello che puzzava un po' di cattolico l'ha messo nella categoria di magia.
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martedì 6 ottobre 2009
Il Vangelo di Tommaso
Alcuni giorni fa Marc Goodacre ha postato sul suo podcast (sempre molto interessante e molto british) una breve lezione sulla scoperta del Vangelo di Tommaso. Mi pare il caso di dire qualcosa anche qui, visto che il Vangelo di Tommaso ha avuto una influenza profondissima sugli studi del Nuovo Testamento negli ultimi cent'anni.
Goodacre parla della scoperta del primo frammento greco di Tommaso avvenuta quasi cent'anni fa in Egitto per opera dei due piu' famosi papirologi della storia, gli inglesi Bernard Grenfell e Arthur Hunt. La storia e' degna di essere raccontata anche perche' ci fa immaginare un periodo in cui l'egittologia e la papirologia erano ancora discipline agli albori e ogni nuova scoperta aveva il profumo della rivelazione. Grenfell e Hunt scavarono per diverse stagioni fra il 1897 e gli anni '10 del Novecento sul luogo oggi completamente abbandonato in cui anticamente sorgeva la citta' di Ossirinco e furono fortunatissimi, perche', quando si trovarono davanti una montagna di rifiuti abbandonati ai margini della citta', scoprirono che la montagna intera era costituita da frammenti di papiro buttati li' fra il secondo e il terzo secolo della nostra era. Ne riempirono decine di casse che poi furono trasportate in Inghilterra, dove i papirologi stanno ancora oggi lavorando alla decifrazione e alla pubblicazione.
Pare che nei giorni in cui la "raccolta" era piu' fruttuosa Grenfell e Hunt passassero la notte intera a dare una prima occhiata ai mucchi di papiri dopo aver speso l'intera giornata a dirigere i lavori. E' in una di queste notti che dobbiamo immaginarci uno dei due che getta lo sguardo sul frammento riprodotto qui sopra e nota la parola greca karphos (che si legge abbastanza bene alla fine della seconda riga). Questo termine significa "pagliuzza" ed e' piuttosto raro in greco, tanto che, leggendo anche il resto, i due si accorsero che il testo riporta pari pari la famosa storia della trave e della pagliuzza nell'occhio che si legge in Mt 7:3-5 e Lc 6:41-42. Grande felicita' perche' Grenfell e Hunt cercavano proprio papiri biblici (questo fu il primo che pubblicarono), ma leggendo piu' avanti si accorsero anche che il testo successivo dice: "Se non digiunate dal mondo, non troverete il regno del Padre. Se non osservate il Sabato come Sabato, non vedrete il Padre". Che cos'e' questo miscuglio di Vangeli e altre strane frasi attribuite a Gesu'? Era nato il mistero del Vangelo di Tommaso.
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domenica 16 agosto 2009
Papiri documentari e Nuovo Testamento
Credo che i lettori italiani si godano il Ferragosto, ma qui il 15 del mese non si accompagna a nessuna vacanza particolare e, quindi, non mi pare fuori luogo parlare un po' di lavoro: in effetti, non piu' tardi di questa sera ne ho dovuto discutere con un possibile futuro studente di dottorato che ho incontrato appena fuori la biblioteca.
In breve, la mia ricerca da qualche tempo si concentra sulla comparazione fra il Nuovo Testamento e i papiri documentari. Questi sono tutti quei documenti di origine (per lo piu') egiziana che non contengono testi letterari (quindi non Omero, non Pindaro, non Menandro, per intenderci). Fra i papiri documentari troviamo pezzi di ogni genere: dai decreti imperiali alle lettere private, dai contratti di matrimonio alle ricevute dei prestiti e delle compravendite.
E' grazie a questa massa di documenti che la vita quotidiana dell'Egitto d'epoca romana e' la meglio conosciuta dell'antichita': in realta', uno studio attento ha permesso di vedere come le somiglianze fra l'Egitto e il resto dell'impero siano molte piu' delle differenze. Per questo motivo si possono trarre dai papiri documentari delle generalizzazioni piuttosto interessanti.
Questo vale soprattutto se uno vuole studiare cosa poteva venire in mente ai lettori antichi del Nuovo Testamento, a quali fatti della vita quotidiana queste persone potevano associare i racconti dei Vangeli, per esempio. Un caso molto interessante e' quello delle parabole attribuite a Gesu': spesso in questi brevi racconti le relazioni sociali ed economiche sono date per scontate e questo fa sembrare che ci manchi il contesto per capire bene i testi, ma poi si vede che le situazioni si ritrovano pari pari nei papiri.
Scrivero' ancora su questo argomento se la ricerca dara' i risultati che mi aspetto.
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