Visualizzazione post con etichetta sacrificio. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta sacrificio. Mostra tutti i post

mercoledì 4 maggio 2011

Cacciari (e un po' di Pesce)


Mi sono guardato, su indicazione di mia moglie, uno speciale programma, trasmesso su La7 poco prima di Pasqua, in cui si discuteva del famigerato film di Mel Gibson, "The Passion of Christ", che era stato presentato poco prima. Devo dire che sono rimasto alquanto soddisfatto della qualita' della discussione e dal fatto che, caso piu' unico che raro, in un programma televisivo italiano dedicato al Nuovo Testamento era stato invitato anche uno studioso che si occupa direttamente del tema senza alcuna affiliazione religiosa (Mauro Pesce). Se non avete avuto modo di vederlo vale la pena di spenderci un'oretta (si puo' vedere in streaming qui), magari anche meno se vi fate un favore e saltate le parti in cui parla Erri De Luca.
Sono rimasto colpito dall'intervento di Massimo Cacciari, che non leggevo ne' sentivo parlare da un bel po' di tempo. Il filosofo/politico ha cominciato dicendo che il film, pur nella sua miseria teologica, non fa che riproporre una tradizione, che appare "gia' nel '500" per esempio nei dipinti di Grunewald, della passione di Gesu' rappresentata con tratti di violenza e sofferenza ipertrofiche. A questa tradizione si connetterebbero, in un modo che non mi e' parso troppo chiaro, le due grandi novita' del cristianesimo, che sarebbero, secondo Cacciari, il comandamento di amare i propri nemici e il fatto che nella persona del Cristo il divino su unirebbe all'umano fino all'inabissamento estremo della morte.
Nella sua risposta, Pesce fa notare a Cacciari che nei racconti evangelici le torture inflitte a Gesu' sono appena accennate, senza l'enfasi morbosa di Grunewald o Gibson, e soprattutto che la morte e' presentata non come un momento assoluto e isolato, ma come l'esito di azioni intraprese da Gesu'. Sbigottito, sento che Cacciari risponde dicendo che la lettura di Pesce non sarebbe legittima perche' fuori della "tradizione"!
Ora, da agnostico quale sono quando si parla del "Gesu' storico", anche a me, per vari motivi e nonostante la stima per lo studioso, riesce difficile accettare la proposta di ricostruzione offerta da Pesce, ma come si puo' fare obiezione sulla base della "tradizione"? E poi subito dopo aver indicato come "tradizione" l'immagine di Grunewald, che, come fa notare Alberto Melloni, sarebbe parsa una bestemmia per tutti i primi mille anni di storia del cristianesimo!
In realta', non si puo' negare che tutte le ricostruzioni del "Gesu' storico" siano anche esercizi teologici, ma e' anche vero che quella offerta da Pesce ha almeno la virtu' di essere aderente a quanto dicono i testi.
Basta guardare alla questione dell'amore per i nemici, che (proprio perche' e' veramente, questo si', un comandamento rivoluzionario) viene gia' "ammorbidita" all'interno dello stesso "discorso della montagna" attraverso l'accostamento della molto ambigua "regola d'oro". Come fa notare molto bene Luz nel suo commento a Matteo, i buoni cristiani tedeschi d'epoca tardo-medievale o rinascimentale, dopo aver assistito a una delle splendide Passioni messe in scena nella loro cittadina (o dopo aver contemplato un po' la crocifissione di Grunewald), andavano spesso e volentieri a sfogare il loro amore ammazzando qualcuno degli Ebrei che abitavano li' vicino.
Ho l'idea un po' maliziosa che Cacciari abbia ragionato troppo da filosofo (e da filosofo italiano, per cui la filosofia tende a coincidere con la storia della filosofia): in pratica, non solo l'apice del pensiero umano sarebbe coinciso con il periodo storico su cui Cacciari e' specializzato, ma, in questo caso, anche l'essenza del cristianesimo si sarebbe manifestata in una arco che va probabilmente da Schleiermacher a Harnack o giu' di li'.

sabato 5 febbraio 2011

Santi Innocenti


Uno dei piu' terribili episodi evangelici si trova nel capitolo 2 di Matteo, subito dopo la visita dei Magi al neonato Gesu'. Il racconto si e' concluso con l'adorazione e l'offerta dei doni, ma i Magi stessi hanno portato con loro i semi della tragedia, perche' hanno involontariamente messo Erode al corrente della nascita di un rivale. Nei vv. 16-18 si consuma il dramma perche' Erode, deciso a eliminare Gesu', ordina l'uccisione di tutti i bambini che abbiano due anni o meno nella zona di Betlemme: "fortunatamente" la sacra famiglia si e' gia' messa in salvo in Egitto su indicazione di un angelo apparso a Giuseppe.
L'avverbio della frase precedente e' fra virgolette perche', ad un'attenta riflessione, le implicazioni sollevate da questa storia per quanto riguarda il rapporto fra Dio e il male sono enormi. Luz, nel suo commento, dice che il problema sembra non aver nemmeno sfiorato l'autore di Matteo, ma questo e' vero solo in parte. In effetti, come molti altri eventi narrati nei primi due capitoli del Vangelo, anche questo e' accompagnato dalla sua brava citazione biblica e dalla sua "formula di compimento" (vv. 17-18). Tuttavia, se negli altri casi (per esempio, v. 15 e v. 23) la formula e' introdotta da una congiunzione finale, in questo caso abbiamo un semplice tote ("allora"), come se l'autore avvesse voluto sottolineare che l'evento e la profezia combaciano quasi in modo non voluto. Ad ogni buon conto, ha ragione Luz quando osserva che "Dio salva suo Figlio a spese di persone innocenti".
Il problema della teodicea non e' sfuggito ai commentatori e qui le soluzioni ripugnanti si sprecano. C'e' chi cerca di dare la colpa ai bambini (Giovanni Crisostomo: erano peccatori come tutti e quindi niente di male) e c'e' chi, come Gundry nel suo commento, fa scontare a questi poveretti la colpa connessa con il rifiuto di Erode e di tutti gli Ebrei di riconoscere la messianicita' di Gesu' (con il perverso collegamento fra questo passo e Mt 27:25). La soluzione piu' diffusa (e che ha dato origine anche alla commemorazione del 28 dicembre) e' pero' quella che associa i bambini alla terribile logica della morte sacrificale di Cristo: ancora Luz cita un sermone di Leone Magno che ricorda come ai Santi Innocenti sia stato concesso il (dubbio) "privilegio" di condividere la sofferenza di Cristo. Non e' nemmeno il caso di stare a spiegare quali danni abbia causato, in tempi piu' o meno recenti, il fatto di aver diffuso e coltivato questa e altre interpretazioni sacrificali delle sofferenze umane, soprattutto quando si tratta di quelle di bambini.

venerdì 27 agosto 2010

Per molti, ma non per tutti


La scorsa domenica sono tornato alla Messa americana e mi sono ritrovato un giovane predicatore che ha affrontato di petto il difficile passo evangelico (Lc 13:22-30), nel quale Gesu' annuncia che entrare nel regno non e' facile e che i meriti acquisiti seguendolo non serviranno a nulla nel momento della decisione. Devo dire che il sacerdote ha calcato non poco la mano su questo punto, nel tentativo i creare una paura in tutto degna di una predica medievale.
Quello che mi ha piu' colpito e' stato pero' l'annuncio che, con il prossimo Avvento, il messale inglese cambiera' per adeguarsi a una nuova edizione recentemente approvata da Roma. In particolare, il mio predicatore ha tenuto a sottolineare che la preghiera pronunciata sul calice al momento della consacrazione non dira' piu' che quello e' il sangue versato "for you and for all", ma "for you and for many" (sinceramente in Italia non mi sono accorto che il buon vecchio "per voi e per tutti" sia cambiato: magari il mutamento e' in programma, ma per il momento il sito della CEI continua a riportare la preghiera tradizionale). Devo ammettere comunque che il mio celebrante ha ragione da vendere: in effetti, il messale latino ha "pro vobis et pro multis" e anche il versetto di Matteo (26:26), da cui sostanzialmente e' tratta questa preghiera eucaristica, ha un bel polloi che non ammette apparentemente molte repliche.
Ovviamente, siccome il predicatore brandiva la preghiera in modo assai minaccioso per me povero peccatore, mi sono chiesto se una formulazione di questo tipo, visto che siamo in terra americana, non ci porti molto vicino al terzo petalo del TULIP calvinista (le dottrine calviniste sono riassunte in questo acronimo floreale, in cui la L sta per "limited atonement", "espiazione limitata" nel senso che la morte di Gesu' ha avuto valore espiatorio solo per quelli che erano da sempre predestinati alla salvezza e non per tutti gli esseri umani). Devo dire che il mio sacerdote remava valorosamente in senso contrario, fino ad affermare, verso la fine del sermone, che bisogna essere forti per entrare nel regno e che la vita non e' mica tutta gioia e divertimento! Se l'ultima affermazione vi sembrera' un'ovvieta', non vi biasimo, ma non vi pare che la prima ci porti pericolasemente a contatto almeno con una forma di semi-pelagianesimo? Sarebbe la nostra forza a garantirci la salvezza? I misteri della lettura sacrificale della morte di Gesu' mi smebrano sempre fuori dalla mia portata.

lunedì 21 giugno 2010

La morte di Gesu' come espiazione


L'ultimo numero della Review of Biblical Literature riporta una mia recensione del libro di Giuseppe Pulcinelli "La morte di Gesu' come espiazione: la concezione paolina". Consiglio, a chi fosse interessato a questo importante argomento, la lettura del volume che e' ricchissimo di informazioni sui testi dell'antichita' e sul dibattito teologico, soprattutto tedesco, degli ultimi anni.
Sulla quarta di copertina, il lavoro di Pulcinelli viene presentato con queste parole:
"Nella teologia e nella predicazione cristiana si fa costante riferimento all'efficacia espiatoria della morte di Gesù, generalmente espressa con il pro nobis, presente già in alcune delle più arcaiche confessioni di fede cristologiche. Il presente studio si propone di indagare il processo ermeneutico che ha portato le prime comunità cristiane, il cui pensiero è riflesso negli scritti neotestamentari, a esprimere attraverso la categoria dell'espiazione il senso della morte di Gesù. Particolarmente interessante si rivela in questo senso l'epistolario paolino, per la ricchezza di categorie utilizzate nel descrivere il senso e la portata salvifica di questa morte. Il lavoro di Giuseppe Pulcinelli ha preso in considerazione tutti gli aspetti di questa operazione ermeneutica, innestandosi sulla discussione offerta da vari autori contemporanei. All'analisi esegetica degli specifici testi paolini egli affianca l'esame dei passi propri della grecità classico-ellenistica e del giudaismo vetero- e inter-testamentario, che contribuiscono a lumeggiare il senso esatto del tema."
Nella recensione si possono leggere alcune mie osservazioni specifiche sulla tesi di Pulcinelli, ma vorrei dire qui due parole piu' generali. L'autore del libro, che e' un teologo cattolico, appare molto preoccupato del fatto che la concezione sacrificale della morte di Gesu' sia ripugnante per la sensibilita' moderna. In effetti, e' assai difficile accettare l'idea di un Dio che esige la morte di un innocente per perdonare un'offesa ricevuta.
La risposta di Pulcinelli e' ingegnosa, ma mi pare alla fine incapace di risolvere il problema. Il libro dimostrerebbe che nella Bibbia Dio non appare mai come la divinita' adirata che "esige" il sacrificio espiatorio, ma sempre come il Dio che, per amore dell'umanita', fornisce egli stesso i mezzi dell'espiazione. Tuttavia, perche' un argomento del genere funzioni bisogna chiudere gli occhi su tutta una serie di implicazioni logiche: prima di tutto, se c'e' la necessita' di una espiazione bisogna che qualcuno, un essere soprannaturale la richieda. Certamente Dio fornisce anche i mezzi per placare la sua stessa ira (e questo paradosso richiederebbe una spiegazione), ma questo non fa scomparire l'ira o la necessita' della morte di un innocente.
Chi mi legge sa che io penso che molti di questi problemi si risolverebbero semplicemente gettando a mare tutta la terminologia e le metafore sacrificali, ma questo sembra un risultato difficile da ottenere.

sabato 3 aprile 2010

Venerdi' santo, sacrificio e violenza

La notizia dell'omelia che oggi padre Cantalamessa ha tenuto al Papa e' rimbalzata subito anche qui e si e' mescolata con un paio di idee che mi stavano in testa da alcuni giorni. Vi stupira' sapere che non si tratta ne' dell'antisemitismo ne' della questione della pedofilia, anche se mi sembra vergognoso e indegno della statura intellettuale di Cantalamessa arrivare a paragonare i problemi di un'istituzione che ha coperto abusi su bambini indifesi ed e' stata riconosciuta come fonte di autorita' appena due giorni fa dai vincitori delle elezioni in uno stato sedicente laico come l'Italia con le sofferenze di milioni di esseri umani che non hanno goduto per secoli nemmeno dei piu' elementari diritti civili solo perche' appartenevano ad una religione minoritaria.
Ma la questione che mi interessa e' quella del sacrificio. Cantalamessa ha commentato brani della Lettera agli Ebrei nella quale la morte di Gesu' e' presentata come un sacrificio espiatorio. Al contrario di molti teologi, Cantalamessa ritiene che si debba continuare a parlare di sacrificio in questo campo, perche', seguendo il pensiero di Rene' Girard, Cristo, facendosi vittima, avrebbe finalmente spezzato la connessione fra violenza e religione che era invece tipica dei culti pre-cristiani. Questa tesi profondamente razzista e' facilmente confutata anche solo quando si guarda al fatto che la violenza e' tutt'altro che assente dalla lunga storia del cristianesimo, ma vorrei soffermarmi su due punti specifici.
Anzitutto, vale la pena di chiedersi come mai Cristo muoia. Si dira': per espiare i peccati dell'umanita'. Giusto, ma come mai i peccati andavano espiati? Perche' Dio aveva bisogno di essere soddisfatto. E che modo a scelto Dio per l'espiazione? Quello della morte e della sofferenza di un innocente, Gesu' di Nazaret. Si puo' fare il gioco delle tre carte teologico come Cantalamessa (e come Girard) fin che si vuole, ma la logica e' questa: l'immagine di Dio che viene fuori e' quella di un sanguinario che necessita almeno di una morte per concedere la salvezza al mondo (vorrei aggiungere malignamente che Cantalamessa se la prende tanto con i media e la televisione, ma forse dovrebbe dare una nuova occhiata - se ha lo stomaco adatto - alla Passione di Mel Gibson, che e' stata approvata anche dal Papa come rappresentazione fedele degli eventi).
Il secondo punto dipende dal primo, ma e' anche piu' inquietante. Sia all'inizio che alla fine dell'omelia, Cantalamessa accenna al fatto che il sacrificio di Cristo ci e' proposto come oggetto di imitazione e che "in ogni vittima della violenza Cristo rivive misteriosamente la sua esperienza terrena". Anni fa, prima ancora che scoppiasse lo scandalo della pedofilia, Elisabeth Schussler Fiorenza aveva scritto (profeticamente, direi) che molte donne e bambini abusati, anche da sacerdoti, avevano taciuto proprio perche' convinti di imitare in questo modo il sacrificio silenzioso e volontario di Cristo. Non c'e' dubbio che Cantalamessa faccia bene a richiamare l'attenzione sul problema dei soprusi maschili nei confronti delle donne, ma e' notevole (per non dir di peggio) come egli non si renda conto che proprio la retorica del sacrificio impedisce di riconoscere che botte, violenze sessuali, umiliazioni fisiche e psicologiche non sono per niente cose che avvicinano a Cristo, ma semplicemente violazioni dei diritti umani che vanno denunciate e perseguite con fermezza e rigore.