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sabato 13 febbraio 2010

Uomini e profeti II: Enzo Bianchi

Giorni fa ho scritto un post sulla trasmissione radiofonica "Uomini e profeti" e le reazioni di alcuni lettori sono state critiche: per dimostrare che non ho nulla contro il programma in se' (che ritengo un'iniziativa unica e meritevole nel panorama italiano) ho continuato a seguire le puntate successive, nonostante l'irritazione montante.
Dopo un paio di settimane di ascolto, devo dire che i miei dubbi sono tutti confermati: a introdurre l'intero testo biblico e' stato invitato, dopo l'inizio un po' piu' "collegiale", il solo Enzo Bianchi. E' chiaro che questa scelta non va certo nella direzione di moltiplicare gli approcci e le "voci" con l'obiettivo di avere un vero pluralismo.
Il taglio dato alla trattazione da Bianchi, poi, e' assai preoccupante: non sto a raccontare le molte corbellerie dette qua e la', ma, se ne avete voglia, potete solo ascoltare i primi minuti della puntata di domenica scorsa. Si tratta di rispondere alle domande di un paio di ascoltatori: la prima dice che la Bibbia ebraica non puo' essere solo letta, ma deve anche essere "vissuta". Bianchi e' d'accordo e prende spunto da questa osservazione per fare una tirata sulla lettura della Bibbia che non puo' essere "solo intellettuale", ma deve anche diventare "ascolto" e "vita" (termini vaghi e naturalmente non spiegati, ma che si devono riferire a una qualche forma di esperienza religiosa). Chi mi ha criticato ha detto che gli storici e gli accademici "superbi" pretendono di avere l'ultima parola sulle questioni religiose: mi sembra che qui la "superbia" stia da un'altra parte (visto che storici e accademici non hanno mai avuto diritto di parola a "Uomini e profeti"). Mi e' molto difficile capire perche' un approccio puramente "intellettuale" alla Bibbia debba essere considerato inferiore o incompleto rispetto a uno di fede: forse chi legge l'Odissea "solo intellettualmente" e non la fa diventare "vita" commette un errore?
Bianchi certamente risponde e lo fa replicando alla domanda successiva, in cui un ascoltatore si chiede come si possa risolvere il problema delle interpretazioni bibliche, che mutano seguendo le circostanze storiche e culturali. Bianchi sostiene che la Bibbia abbia una voce propria, una voce capace di ribellarsi alle interpretazioni imposte esternamente dalle ideologie e dal potere. Qui la superficialita' ermeneutica lascia senza parole. Che differenza c'e' con un Ratzinger che direbbe che la "voce" della Bibbia si sente nella gerarchia e quelli che si "ribellano" non fanno altro che sovrapporvi le loro vedute personali?
Mi dispiace dirlo, perche' (non stupira' i lettori sentirmi dire questo) io ho molta piu' simpatia per la posizione di Bianchi, ma, a conti fatti, una non e' meno dogmatica e assolutista dell'altra. Mi ripeto: non credo che avrebbe risolto i problemi evidenziati qui, ma sarebbe stato molto piu' bello e intellettualmente molto piu' onesto se, in questa lettura della Bibbia, si fosse sentita anche la voce di chi non ha nessun interesse "ecclesiastico".

giovedì 28 gennaio 2010

"Uomini e profeti" sulla Bibbia

Par anni ho seguito con grande interesse il programma di Radio3 dal titolo "Uomini e profeti" (uno dei motivi era anche il fatto che e' l'unica trasmissione della televisione o della radio italiane che si occupi di temi religiosi in modo serio): ho sempre apprezzato il modo in cui la conduttrice, Gabriella Caramore, riesce a trovare argomenti nuovi e a proporli in modo stimolante. Purtroppo, da quando ho cominciato ad occuparmi di studi religiosi in modo piu' professionale, gli ascolti di "Uomini e profeti" hanno via via cominciato a causarmi una vaga irritazione. Ieri, sono finalmente riuscito a capire il motivo di questa sensazione sgradevole.
Ho scoperto per caso che "Uomini e profeti" ha iniziato la settimana scorsa una serie di puntate dedicate alla lettura della Bibbia (titolo: "Il Libro e noi") con una tavola rotonda, che mi sono affrettato a scaricare e ad ascoltarmi in MP3. La rivelazione mi ha colpito quando mi sono resoconto che a prendere la parola erano stati invitati solo uomini di chiesa (a parte Moni Ovadia, di cui non era ben chiaro il ruolo): un rabbino, due teologi della Facolta' di teologia valdese e due cattolici. Il tutto era molto "politicamente corretto", non c'e' alcun dubbio (dei due cattolici nessuno era un prete, ma comunque uno era Enzo Bianchi, un mezzo monaco, e l'altra, Marinella Perroni, pur sempre una teologa di un'universita' pontificia), ma non ci si puo' meravigliare del fatto che la trasmissione si sia trasformata in una specie di omelia a piu' voci della lunghezza di quasi un'ora.
Questo e' un procedimento tipico, e irritantissimo, della televisione o della radio italiane: quando si parla di storia o di astronomia o di letteratura, c'e' sempre spazio per la voce professionale di un accademico o di uno studioso comunque titolato, ma quando si tratta di religione o della Bibbia solo quelli che la praticano o dicono di crederci hanno diritto di parola. Intendiamoci: non chiedo di mettere a tacere gli ecclesiastici e i loro punti di vista, ma credo che si potrebbe trarre qualche beneficio anche dall'ascolto del parere di uno storico o di qualcuno che si occupa in modo scientifico dell'argomento. Questa esclusione si verifica nonostante il fatto che l'Italia possa vantare un certo numero di studiosi che lavorano ad altissimo livello e con la massima serieta': ovviamente, pero', domina su ogni altra considerazione la paura irrazionale delle chiese (di qualunque specie) che un discorso scientifico possa gettare ombra sulla loro capacita' di persuasione e mettere in crisi il loro potere.