Dopo la pausa estiva, è tornata su Radio 3 la serie di letture bibliche della trasmissione "Uomini e profeti". Dopo i libri storici della Bibbia ebraica, si è passati ai cosiddetti "profeti scrittori", ma, prima di cominciare con il solito ritmo, il 9 ottobre è stata pianificata una sorta di puntata introduttiva dedicata al tema controverso della lettura storica dei testi biblici. In studio l'ospite era Jean Louis Ska, professore al Pontificio Istituto Biblico di Roma.
Siccome in passato ho scritto soprattutto post critici su questa serie di letture, vorrei chiarire che questo è accaduto solo perché ho ritenuto di sottolineare solo quelle occasioni in cui mi sono trovato in disaccordo con i vari "lettori" e con le loro interpretazioni. Nel resto delle trasmissioni (e anche in molte di quelle che ho criticato), c'è molto di buono e utile. Per esempio, nella puntata di cui sto parlando, Ska ha offerto una delle più equilibrate e condivisibili valutazioni su cosa si possa trovare di "storico" nei racconti biblici. Mi è molto piaciuto che Ska abbia rifiutato tanto l'eccesso apologetico di chi si arrampica sugli specchi per "dimostrare" che, nella Bibbia, nemmeno una parola è sbagliata, quanto quello di chi vorrebbe a tutti i costi "provare" che tutto è stato "inventato".
E' pur vero, tuttavia, che, fatte queste chiarificazioni iniziali, il lavoro ermeneutico è solo all'inizio e che le questioni più complesse sono ancora da affrontare. Su questo passo ulteriore ho trovato Ska un po' meno convincente. La conduttrice, Gabriella Caramore, gli ha domandato come si "deve", allora, leggere la Bibbia dal punto di vista storico e la risposta è stata che si deve cercare la "intenzione". Ora, le due parole virgolettate sono, a mio modo di vedere, problematiche.
La prima è un po' il nodo di tutta questa lettura biblica di "Uomini e profeti". Siccome invitati a leggere i testi sono sempre e solo rappresentanti di confessioni religiose e mai studiosi "laici" di materie bibliche o di scienze religiose, non è chiaro cosa si debba intendere con questo "dovere". Chi non legge come questi preti, pastori, rabbini o teologi vari, non fa quello che "deve"? Per quale motivo non si "dovrebbe" poter leggere la Bibbia come una storia di finzione narrativa (come leggiamo Dante o Tasso, per esempio) ovvero come un racconto totalmente storico dalla prima all'ultima parola (non so se ci sia qualcuno che lo fa, ma ipotizziamo)?
"Intenzione", poi, è un concetto assai difficile da gestire. Si tratta dell'intenzione dell'autore originario dei vari racconti o (Ska è un sacerdote cattolico) dell'intenzione dello Spirito Santo che l'ha ispirato o di qualcos'altro ancora? Ska ha offerto un interessante esempio basato sull'esame della storia di Nabot e del re Acab che si legge nel Primo libro dei Re al capitolo 21. La vicenda comincia con un breve dialogo fra Acab, che chiede a Nabot di vendergli una vigna, e Nabot, che rifiuta perché non vuole privarsi dell'eredità dei suoi antenati. Successivamente, la regina Gezabele ordisce una trama, fa condannare Nabot ingiustamente e questi viene giustiziato. Alla fine, sopraggiunge Elia, che viene inviato da Dio a affrontare Acab e ad annunziargli che lui e la regina saranno puniti con la sconfitta e la morte.
Ska conclude che la "intenzione" del racconto è una critica del "capitalismo", perché Acab offre denaro o un'altra vigna a Nabot in cambio della sua. Ora, da un punto di vista meramente narrativo, non è chiaro che Acab sia punito a causa dell'offerta che ha fatto a Nabot: semmai, la ragione della punizione è la terribile inziativa di Gezabele (altrimenti, ci si potrebbe domandare come mai il narratore ha inserito questa digressione se anche solo l'iniziativa di comperare una vigna si configura come un'offesa a Dio). Inoltre, non si capisce come un autore, che scriveva almeno duemilacinquecento anni fa, potesse avere la "intenzione" di criticare il capitalismo. Forse, dobbiamo pensare che Ska parlasse dello Spirito Santo, ma allora in che modo questa lettura si può definire "storica"? Forse, con "capitalismo" Ska intendeva riferirsi a quello che fa Gezabele, ma in che modo sarebbe "storico" identificare come "capitalismo" quello che è molto semplicemente un sopruso che potrebbe verificarsi in qualunque sistema economico, sia esso feudale o del tipo che vigeva nel regno di Israele a quel tempo ("dispotismo orientale"?)? Oppure Ska usava "capitalismo" come etichetta per ogni genere di transazione economica (sia monetaria che basata sul baratto), cosicché la "intenzione" dell'autore del racconto sarebbe stata quella di presentare come legittimo solo un sistema economico in cui ogni famiglia rimane in possesso dei beni ereditati senza poterli alienare, né modificare, né incrementare di generazione in generazione per sempre?
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