martedì 17 maggio 2011

Martirio si' o no?


Nella puntata del 30 aprile scorso di "Uomini e profeti" gli ospiti Paolo Ricca e Alberto Melloni hanno discusso della imminente beatificazione di Giovanni Paolo II: la trasmissione e' molto interessante e consiglio di scaricarla (qui), se avete voglia di ascoltarla. Tuttavia, nonostante l'argomento centrale sia molto stimolante, non voglio parlare di GP2, ma di un'osservazione marginale fatta da Melloni all'inizio della puntata.
Il professore dell'universita' di Modena ha aperto la discussione con una sorta di storia della santita' in 5 minuti. Fra le osservazioni molto puntuali (come si addice al personaggio), Melloni ha affermato che la santita' e', nelle comunita' cristiane delle origini, identificata con il martirio, senza alcuna discussione. Ora, non c'e' alcun dubbio che originariamente martirio e santita' coincidano, ma le discussioni, come in molte altre questioni riguardanti i primi secoli cristiani, sono tutt'altro che assenti.
Le divergenze, come detto, non riguardavano il fatto che un martire fosse santo, ma piuttosto chi potesse definirsi "vero" martire. Il problema piu' evidente e' quello dell'intenzionalita', dato che sostanzialmente il martirio e' un'esecuzione capitale (quindi, un evento in cui la volonta' del martirizzato non ha di per se' alcun peso), ma, al tempo stesso, trattandosi del coronamento della vita cristiana, e' qualcosa che va desiderato, se non perfino inseguito. Gia' nella piu' antica descrizione di un martirio che ci sia pervenuta, quella di Policarpo di Smirne, troviamo questa interessante dialettica: il testo attacca un altrimenti sconosciuto Quinto che si sarebbe presentato volontariamente alle autorita' per poi finire per sacrificare agli idoli, spaventato davanti alla prospettiva di essere dato in pasto alle bestie. Di contro a questo esempio negativo, il racconto descrive la fuga di Policarpo, che si rifugia in una villa di campagna per sfuggire ai persecutori che poi lo verranno ad arrestare li', come una concessione al desiderio dei molti che volevano che si salvasse.
Basta poco per capire che il "vero" martire non e' semplicemente uno che muore, ma bisogna morire nel modo "giusto" e questo modo "giusto" e' stabilito da chi ha il potere di formulare definizioni e di farle valere come normative. La situazione e' assai complicata perche' ovviamente, essendo i martiri coloro che hanno vissuto la vita cristiana nel modo piu' pieno, essi godono anche dell'autorita' piu' alta. Ai martiri sono poi assimilati anche i cosiddetti "confessori", cristiani che hanno solo sfiorato il martirio, o perche' imprigionati e poi rilasciati o perche' ancora in carcere in attesa di essere giustiziati. Nel terzo secolo si hanno esempi molto interessanti dei conflitti fra questi confessori, che, in forza della loro autorita' di quasi-martiri, rimettono i peccati e svolgono altre funzioni ecclesiastiche, e il vescovo Cipriano di Cartagine che fatica a imporsi anche perche' e' lui stesso scappato davanti alla persecuzione e deve difendersi, con una eloquentissima apologia, dall'accusa di codardia.
Come si vede, allora come oggi santita' e virtu' eroiche erano questioni spinose giocate sul filo della retorica, del potere e dei conflitti fra carisma e istituzioni.

2 commenti:

sonja ha detto...

Very interesting post! I just finished (barely on time) writing a paper about Cyprian and his conflict with the martyrs.

Giovanni Bazzana ha detto...

Dear Sonja,
the history of the African church is one of the most fascinating topics.
Thank you and good luck for the paper!