Rispetto al trattamento del tema dell'ispirazione, mi sembra che il modo in cui la Verbum Domini descrive il rapporto fra i diversi metodi esegetici lasci maggiormente a desiderare. Anche in questo caso, il nuovo documento segue le indicazioni della Dei Verbum e, almeno in principio, sembra ammettere senza riserve l'impiego del metodo storico-critico, di cui vengono perfino riconosciuti i benefici apportati alla vita della chiesa (nr. 32).
Ovviamente, l'aspetto problematico della questione sorge quando si deve definire il rapporto fra analisi storico-critica e lettura teologica, dal momento che Ratzinger, citando un suo stesso intervento, ricorda subito che solo quando viene rispettata la tradizione di fede della chiesa si ottiene una "esegesi degna di questo libro", cioe' della Bibbia (34). In che modo si configura questo "rispetto" reciproco?
Si tratta qui di una questione assai importante che, ancora una volta, era stata lasciata piuttosto nel vago dal Vaticano II. Ora, tuttavia, Ratzinger pare avere assai meno esitazioni e senz'altro afferma che i due metodi non solo non possono essere contrapposti, ma nemmeno giustapposti: altrimenti, il rischio sarebbe quello di arrivare alla negazione della possibilita' di intervento del divino nel mondo (35). Si presenta qui quello che mi pare essere il problema piu' grosso dell'intera trattazione: il metodo storico e' descritto in modo caricaturale o, a voler essere piu' caritatevoli, come se la ricerca storica fosse ferma alle pretese di naturalismo assoluto tipiche del positivismo ottocentesco.
Leggendo queste pagine, si ha l'impressione che tale idea non sia una mera finzione polemica, ma che arrivi perfino a definire quello che dovrebbe essere il modo di operare degli esegeti cattolici che impiegano il metodo storico. In questo senso, il paragrafo 34 riprende uno dei passaggi piu' problematici della Dei Verbum, nel quale il significato che gli autori sacri "avevano veramente in mente" e' definito come identico a cio' che "Dio aveva ritenuto giusto comunicare attraverso le loro parole". In pratica, il contenuto ispirato della Scrittura sembra essere identico all'intenzione dell'autore, intenzione che ormai gli storici piu' avvertiti dal punto di vista metodologico considerano impossibile da acquisire con i mezzi della ricerca scientifica.
Perche' vincolare la ricerca storica a questa visione ottocentesca? Ho l'impressione che Ratzinger abbia una gran paura del dubbio (e' detto chiaramente ancora al paragrafo 35) e, accorgendosi che la sola forza della fede non e' sufficiente a dare la certezza assoluta su temi come la resurrezione o l'eucaristia, cerca di trovare un surrogato in una concezione troppo assoluta della scienza e della storia. Cosi' facendo, pero', stringe i due metodi in un abbraccio mortale che, contrariamente alle sue intenzioni dichiarate, perverte sia l'uno che l'altro.
4 commenti:
come se la ricerca storica fosse ferma alle pretese di naturalismo assoluto tipiche del positivismo ottocentesco
una deriva forse di tutte quelle campagne anti-..etc.etc. che di solito si sentono sulle reti rai (sabato e domenica?)
chissà...
Claudio
Caro Giovanni,
insomma...nihil novum sub sole!
Ho letto alcuni passaggi della Verbum Domini e mi sembra che si tratti sempre della riproposizione di ben datate (e fondamentali) asserzioni. Al metodo storico-critico è riconosciuto un ruolo al più ancillare: stando alla lettera della costituzione esso sarebbe preso in considerazione solo laddove le sue conclusioni presupponessero la concordia con la Tradizione della Chiesa e confermassero la verità e l'unità della Sacra Scrittura.
La prassi mi appare però un po' diversa: sappiamo che alcune conclusioni (anche parziali) della ricerca storica sono state in grado di influenzare e correggere certe posizioni magisteriali indipendentemente dalla loro aderenza alla Tradizione (è ad esempio anche grazie alla pressione della ricerca storico-critica che la liturgia ha accolto importanti innovazioni a livello del testo biblico; si pensi anche al fatto che da alcuni anni nei lezionari la lettera agli Ebrei non sia più attribuita a Paolo...contro secoli di Tradizione).
Forse il dato più importante da rilevare è che, alla luce di tale costituzione, una esegesi che voglia dirsi integralmente cattolica rischia il completo isolamento dal resto della produzione scientifica.
Detto questo una riflessione personale: trovo sempre piuttosto ambigui e per nulla innocui concetti quali "Concordia nell'interpretazione" e "Tradizione". Mi sembrano concetti che presuppongono una concezione sacrale e necessariamente autoritaria della comunità di riferimento...purtroppo si è di fronte ad un paradigma che non ancora superato.
Saluti cordialissimi
Etienne
Caro Claudio,
devo ammettere di non essere molto ferrato sulle trasmissioni della Rai nel finesettimana. Ad ogni modo, se cosi' fosse, sarebbe motivo di grande preoccupazione per me sapere che il Papa scrive i documenti del magistero avendo come interlocutori intellettuali le persone che scrivono i programmi televisivi.
Ciao
Caro Etienne,
grazie per il bel commento.
In effetti, la prassi e' del tutto diversa, ma e' proprio questo che mi preoccupa maggiormente. Sembra quasi che la lettura teologica debba "provare" le sue verita' come se queste ultime fossero "storiche". Per raggiungere tale scopo (che mi pare del tutto errato), il magistero pensa bene di "appoggiarsi" all'indagine storica, ma per far questo deve sottoscrivere a una idea della storia positivista contro la quale, paradossalmente, aveva lottato per decenni.
In somma, un caos notevole da cui si esce piu' confusi che istruiti.
Ciao.
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