Un paio di settimane fa ha fatto scalpore su entrambe le sponde dell'Atlantico l'esito di un sondaggio nel quale, fra le altre cose, veniva chiesto agli americano se credono che Obama sia un musulmano. Il risultato, inaspettato, e' stato che uno statunitense su cinque afferma di credere che il presidente sia un devoto dell'Islam (si tratta di un reddoppio rispetto alle percentuali rilevate solo un anno fa). Si potrebbero fare molte considerazioni su questo tema (in particolare, sul razzismo dell'americano medio), ma sono stato colpito da un contributo che ho letto sulla versione on-line del New York Times.
L'autore, Tobin Harshaw, si chiede saggiamente "quanti degli americani che pensano che Obama sia un musulmano ci credano veramente". Mi ha attirato la riflessione sulla corrispondenza, spesso imperfetta e ingannevole, fra affermazioni ed effettiva credenza nel contenuto delle affermazioni stesse: si tratta di un problema tipico che affronta chi si dedica allo studio delle religioni. Come si puo' misurare la fede? Si potrebbe pensare che, almeno per chi studia le religioni nel mondo contemporaneo, basti chiedere direttamente ai credenti, ma si fa presto a capire che gli interrogati rispondono affermativamente o negativamente per ragioni che sono spesso assai lontane da quella che noi chiameremmo "fede". A dimostrare il punto e' sufficiente un riferimento al recente sondaggio sullo stato del cattolicesimo italiano: a quanto pare, piu' dell'80% degli italiani si autodefinisce cattolico, ma solo un modesto 28% va a Messa almeno una volta alla settimana. E' difficile sostenere che quel 50% di concittadini che sta nel mezzo sia mosso da una fede straodinaria: probabilmente, hanno risposto alla domanda dicendo di essere cattolici perche' questo e' un mezzo per affermare quella che credono essere la loro identita' o per segnalare la loro specificita' rispetto a chi risponde diversamente o per polemizzare contro chi attacca il "Cattolicesimo"...
Cercare di misurare la fede di individui e popoli e' un miraggio. In generale, affermazioni di questo tipo hanno motivazioni sociali e politiche: nel caso di Obama si tratta di attaccargli una "etichetta" che lo indebolisca politicamente (come facevano gia' quelli che chiamavano Roosevelt "ebreo" o Lincoln "cattolico"), mentre per chi fa affermazioni positive si tratta di trovare un nome che dia un piacevole senso di identita' e di comunita'.
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