In pratica, si tratta di una traduzione del Nuovo Testamento interamente annotata da studiosi ebrei e edita da Amy-Jill Levine, professore alla Vanderbilt University, e Marc Brettler, professore alla Brandeis University. L'idea portante del libro è affascinante, perché il Nuovo Testamento non viene presentato come una collezione di testi "cristiani", ma piuttosto come un prodotto della religiosità ebraica. Lo scopo dichiarato da Levine è quello di "riappropriarsi" del Nuovo Testamento, che sarebbe stato "strappato" da una tradizione di letture "cristiane" alla sua originaria matrice (in pratica, si potrebbe dire in modo un po' troppo semplificatorio, si tratta di fare l'opposto di quello che i cristiani hanno fatto sistematicamente e per secoli con la Bibbia ebraica). Ancora secondo Levine, anche la spiritualità ebraica può trarre beneficio da una lettura di questo tipo del Nuovo Testamento.
Come dicevo, trovo questa idea molto intrigante, perché sembra offrire la possibilità di avere una lettura del Nuovo Testamento finalmente condotta da un punto di vista altro rispetto a quello cristiano che domina in modo quasi assoluto l'esegesi. Ovviamente, ci sono difficoltà da mettere in conto e sarà ulteriore motivo di interesse vedere come esse possono essere state affrontate dagli editori e dai singoli autori. Per esempio, quale base per il commento e le note è stata scelta la New Revised Standard Version, una traduzione del Nuovo Testamento molto diffusa in America e di tendenza decisamente liberal ("progressista", per intenderci meglio). Tuttavia, la NRSV è una versione che è stata preparata per l'uso liturgico di comunità cristiane (anche se viene spesso usata anche per il lavoro accademico) e quindi potrebbe essere interessante vedere se e in che misura il testo possa essere in disaccordo con le note (un po' come avviene per la italiana Bibbia di Gerusalemme che porta la versione della CEI e, al tempo stesso, note tradotte dalla francese Bible de Jérusalem con effetti talvolta involontariamente comici).
Daniel Boyarin (tanto per dare un piccolo saggio adatto a questo periodo natalizio) offre una breve, ma densissima, analisi del prologo di Giovanni che si chiude con queste parole: "Alla luce di queste prove, il quarto Vangelo non è un nuovo inizio nella storia del Giudaismo nel suo uso della teologia del Logos, ma solo, semmai, nella sua cristologia dell'incarnazione. Gv 1:1-5 non è un inno, ma un midrash, vale a dire non un poema, ma un'omelia su Genesi 1:1-5 ... Fino al v. 14, il prologo giovanneo è un esempio di pensiero ebraico non-cristiano perfettamente non eccezionale che è stato cucito senza lasciare alcun segno dentro la narrazione cristologica della comunità giovannea".
2 commenti:
Annotazioni ebraiche al Nuovo Testamento ?
A Giovanni Bazzana:
una curiosità bibliografiche: mi sapresti indicare gli studi più approfonditi sui rapporti tra giudaismo ed ellenismo e in più in generale del rapporto tra i messaggi giudaici e cristiani e il suo rapporto tra cultura pagana (penso all'accettazione di Filone delle dottrine platoniche, alle teorie del plagio di Aristobulo e alle citazioni di Aristotele e degli stoici che Paolo fa nel discorso all'Areopago ad Atene)? E' un tema su cui mi piacerebbe approfondire.
Ciao.
Michele
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