Ho trascurato un po' il blog perche' la settimana passata sono stato brevemente in Italia, invitato a partecipare a un colloquio sulla Seconda lettera di Pietro organizzato alla Facolta' teologica di Sicilia "San Giovanni Evangelista", a Palermo. Il viaggio e' stato molto stancante, ma devo ringraziare di cuore gli organizzatori (in particolare, Rosario Pistone, professore di Nuovo Testamento), per avermi dato la possibilita' di visitare ancora una volta una citta' bellissima e, soprattutto, di prendere parte a discussioni davvero stimolanti ed interessanti. Devo dire di essere stato molto impressionato dal clima di grande vitalita' intellettuale che ho trovato a Palermo.
Fra le molte questioni discusse nel colloquio, e' emersa piu' di una volta quella, metodologicamente fondamentale, delle comunita' che gli studiosi di Nuovo Testamento tendono a ricostruire "dietro" i testi. Avendo insegnato, negli ultimi due anni, corsi su i Vangeli di Giovanni, Tommaso e Matteo ho avuto modo di confrontarmi spesso con questo tipo di opzione esegetica e le mie perplessita' sono andate via via crescendo. Do qui conto, in breve, dei maggiori problemi che mi si presentano quando comincio a sentir parlare di comunita' giovannea, matteana e cosi' via.
Una prima difficolta' dipende dal fatto che, spesso, quando un esegeta parla di comunita' tende a prendere questo termine in un'accezione molto "forte": si arriva quindi a postulare un gruppo che ha un comune sentire e condivide monoliticamente idee ed esperienze. Tuttavia, tutti i gruppi che conosciamo direttamente o per via storica dimostrano il contrario: ogni membro del gruppo ha percezioni e convinzioni diverse, condizionate dalle molte differenze di condizione sociale, cultura, genere, etnia e cosi' via. Gli esegeti tendono a proiettare su tale comunita', interamente ricostruita a partire dall'unico testo in nostro possesso, le loro rispettive interpretazioni del testo stesso, dimenticando spesso e volentieri che le interpretazioni di un Vangelo devono essere state molteplici gia' a livello della "comunita' originaria". Le cose si fanno ancora peggiori quando questa "comunita' originaria" viene usata per risolvere passaggi esegeticamente difficili, come se si trattasse di una effettiva evidenza storica e non di una conveniente ipotesi di indagine (il commentario di Luz, pur molto bello, e' pieno di passaggi in cui una certa interpretazione viene esclusa, perche' la "comunita' matteana non avrebbe potuto pensare questo"!).
La mia seconda perplessita' e' legata a quanto appena detto, dal momento che trovo sempre piu' problematica l'abitudine di postulare comunita' nascoste "dietro" i personaggi del NT e poi di scrivere la storia dei loro rapporti storici sulla base delle relazioni fra i personaggi fittizi di uno scritto. Casi clamorosi sono quelli di Pietro, Tommaso e il cosiddetto "discepolo amato" nel Vangelo di Giovanni. A Palermo, nel corso di una discussione, mi e' stata posta la questione del capitolo 21, che conclude il quarto Vangelo e sembra introdurre una riconciliazione fra i personaggi di Pietro e del discepolo amato. Non dico che non si possa ipotizzare che il capitolo sia stato aggiunto alla fine come un tentativo di riavvicinare comunita' "giovannea" e comunita' "petrina", ma chi ci dice (visto che non abbiamo altre informazioni su queste due ipotetiche comunita') che invece non si tratti semplicemente di un capitolo scritto per insegnare come si devono comportare i capi delle comunita' (Pietro) e qualche altra dottrina escatologica legata alle profezie sulla morte del "discepolo amato"?
3 commenti:
Credo che un esempio lampante di come le comunità non siano mai state graniticamente omogene sia quello dei Corinzi, ai quali San Paolo, nella prima lettera, rimprovera il fatto che ci fossero divisioni tra loro. Alcuni di loro non credevano neppure alla resurrezione dei morti....
Simone
Caro Giovanni,
la tematica sollevata mi sembra di grande interesse. In effetti nell’esegesi, non solo neotestamentaria, si corre spesso il rischio di porre una plausibile ipotesi e di “innamorarsene” un po’ troppo, perdendo di vista il testo. Soprattutto dietro il IV vangelo è stata ipotizzata, quando non addirittura data per certa, la mano redattrice della comunità. Un volume di qualche anno fa di Pesce-Destro (Come nasce una religione) arrivava ad ipotizzare che dietro il vangelo giovanneo si celasse una progressiva iniziazione del neofita alla verità rivelata dal Cristo e conservata dalla comunità: i primi dodici capitoli presenterebbero il processo di “estraneazione” del discepolo dal “mondo” attraverso una serie di confronti/scontri (emblematico il racconto del cieco nato che rifletterebbe l’allontanamento dalla sinagoga). I capp. finali conterrebbero invece la “rivelazione” e l'iniziazione vera e propria.
Trovi un simile approccio convincente, o l'ipotesi ti appare un po' forte?
Saluti,
Etienne
Caro Simone,
ottima osservazione: grazie.
Caro Etienne,
a me il libro di Pesce e Destro su Giovanni e' sempre piaciuto molto: credo che non vada messo nella categoria di quelli che cercano di ricostruire la comunita' "dietro" il testo (per esempio, esclude anche di principio una lettura diacronica del Vangelo).
Al contrario, mi sembra che prospetti in modo molto interessante come il testo poteva essere letto o perfino "usato" dai circoli in cui era diffuso.
Saluti
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