La scorsa settimana, leggendo il "discorso della montagna" (Mt 5-7), mi e' capitato di riflettere sulla proibizione dell'ira che si legge in Matteo 5:22 e sulla storia dell'interpretazione di questo comando di Gesu'. Giustamente Luz fa notare nel suo commentario che la storia dell'esegesi di questo passo e' praticamente una sequela di tentativi di trovare una via per aggirare l'estremo rigore di quello che Gesu' chiede di fare.
Avevo assegnato agli studenti come oggetto di riflessione il modo in cui Agostino tratta Mt 5:22, perche' mi sembra abbastanza rappresentativo. Il vescovo di Ippona si occupa della questione una prima volta nel suo De sermone Domini in monte, ma e' interessante notare che, in quest'opera, Agostino commenta la versione latina pre-Vulgata del versetto, che dice: "Chiunque si adira con il proprio fratello senza ragione...". Il "senza ragione" e' un'aggiunta che si trova anche in una minoranza dei manoscritti greci e, quindi, Agostino (il cui forte non era certo la filologia) lo prende come base per introdurre una distinzione fra un tipo d'ira "buona", che sarebbe accettabile, e una che non lo sarebbe.
Naturalmente, in seguito, Agostino viene a conoscenza della nuova traduzione latina preparata da Gerolamo e del fatto che essa, in base ad un'indagine filologicamente piu' solida, non conteneva piu' la clausola "senza ragione". Il vescovo di Ippona torna, quindi, sulla questione nelle sue Ritrattazioni, nelle quali adotta il nuovo testo della Vulgata, ma significativamente non cambia la propria esegesi. Questa volta, Agostino si attacca al fatto che il testo dice che non ci si deve adirare "con il proprio fratello" e, di conseguenza, introduce la distinzione fra ira contro la persona, che non sarebbe accettabile, e ira contro il peccato, che invece andrebbe bene.
La prima cosa interessante da notare e' quanto il testo della Scrittura (contrariamente a molte dichiarazioni di principio) sia un fattore esegeticamente assai relativo per uno come Agostino (ma non e' il solo): il testo puo' ben cambiare, ma quello che lui vuole fargli dire di certo no. In secondo luogo, e' opportuno chiedersi come mai il vescovo di Ippona tiene tanto alla distinzione, destinata ad avere grande successo, fra ire contro il peccato e ira contro il peccatore. Ci e' molto d'aiuto Luz che osserva come una grande spinta per ammorbidire Mt 5:22 nella storia dell'esegesi venga dal fatto che si deve in qualche modo giustificare l'azione di giudizio e di punizione dei sovrani e dei governanti: se non ci si puo' piu' adirare, come possono le autorita' tutelare la legge e l'ordine? Questo e' ovviamente ben chiaro ad Agostino, come dimostrano i suoi sforzi instancabili nel portare dalla propria parte il potere imperiale nella lotta contro gli "eretici" donatisti. Il nostro vescovo ha bisogno di questa distinzione per dimostrare che il buon imperatore cristiano ammazza qualche eretico, gli brucia le chiese o lo costringe alla conversione sotto minaccia della violenza solo perche' in fondo lo ama.
5 commenti:
Questo è proprio uno dei temi portanti del primo caitolo di un libro, certo un po' datato, ma di grande interesse, sia perché preciso e completo dal punto di vista della ricostruzione storica, sia perché capace di indurre a utili riflessioni. Il volume in questione è "Potestas und Caritas" del medievista Ludwig Buisson (la prima edizione uscì a Köln-Graz nel 1958).
Purtroppo non mi risulta abbia conosciuto traduzioni italiane, mentre in Germania è stato ristampato 3 volte, se non erro.
Se Giovanni mastica un po' di teutonico può darci un'occhiata...
In estrema sintesi: il fatto che un vescovo come Agostino ne parlasse con tale convinzione, lascia suppore che già nel V secolo fosse un'opinione diffusa quella secondo cui, non solo l'ira, ma anche la violenza si coniugasse perfettamente con i precetti di Gesù sulla misericordia. La violenza che si usa nei riguardi degli eretici sarebbe ad esempio per Agostino - che attingea piene mani da Matteo - una "severa misericordia". "Misericordia" perché si colpisce il corpo (e nel corpo il peccato di eresia) ma si salva in questo modo l'anima dell'eretico. Impetrare a tal fine l'aiuto della potestà secolare è un dovere dei vescovi in quanto principi della Chiesa, la quale, poiché "sacramento di salvezza", ha l'obbligo di condurre tutti gli uomini alla salvezza.
Né questa posizione di Agostino può dirsi isolata: è anzi in ottima compagnia, basti dare un'occhiata alle considerazioni di Ambrogio e Cipriano (mi spiace ma in questo periodo non ho a disposizione i miei libri e non posso citare...). Leggendo alcuni di questi passi si vede pure come in quella fase storica la patristica latina abbia adottato un metodo assolutamete deduttivo piegando le Sritture a predetermnati principi e condizionando così notevolmente i successivi sviluppi dell'esegesi latina.
Saluti
Etienne
Buisson era grandissimo!!! Per chi dovesse masticare il tedesco consiglio assolutamente anche i suoi saggi raccolti in "Lebendiges Mittelalter" (ce ne sono almeno un paio di decisivi!).
Al commento (bello e giustissimo) di Etienne aggiungerei solo che in questa tradizione c'è anche il bellissimo De ira dei di Lattanzio. E che il problema è anche uno dei punti forti della polemica antiepicurea (che rifiuta qualsiasi forma di intervento divino sulla terra).
E infine: questi temi sono stati ripresi recentemente, in chiave filosofica da un libro un po' logorroico ma pieno di spunti interessanti di P. Sloterdijk, Zorn und Zeit (ira e tempo).
Immanuel
Prendo nota delle indicazioni di Immanuel...mi trovo fortunatamente oltralpe e non avrò difficoltà a consultare i titoli indicati.
Saluti
Etienne
Cari Etienne e Immanuel,
ringrazio entrambi per le indicazioni bibliografiche: e' infatti un tema che mi interessa molto.
Vorrei tuttavia puntualizzare su un'affermazione di Etienne che dice che "gia' nel V secolo" era diffusa l'opinione che ira, e violenza, si coniugassero con il messaggio di misericordia attribuito a Gesu'. Questo e' vero, ma va anche detto che pure Agostino o Lattanzio o gli altri personaggi "istituzionali" che si possono citare avevano evidentemente oppositori che non la pensavano come loro, soprattutto per quanto riguarda la riconciliazione dei precetti gesuani con il sistema di governo imperiale.
D'altra parte, non concluderei nemmeno troppo facilmente che la conciliazione e' una novita' d'epoca costantiniana, perche' basta leggere Romani 12-13 per vedere che la cosa ha radici ben piu' antiche.
Saluti
Prof. Bazzana,
1) invece di vedere le solite ragioni politiche dietro queste esegesi, non potrebbe essere solo un modo di conciliare Mt 5:22 con altri passi del Vangelo in cui Gesù mostra di adirarsi?
Ad esempio in Marco 3:5? per non parlare della cacciata dei mercanti?
O Gesù viene meno ad uno dei suoi precetti o quel precetto va interpretato in modo meno assoluto..
2) quando Luz dice che si vuole giustificare l'azione di giudizio e di punizione dei sovrani e dei governanti, si riferisce esplicitamente alla questione degli eretici o fa un discorso generale sulla giustizia (ad es. la punizione dei criminali comuni)?
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