Oggi mi sono trovato a discutere con alcuni colleghi e studenti un passo affascinante tratto dal capitolo 18 dell'Apocalisse di Giovanni. In particolare, si cercava di interpretare il famoso lamento dei mercanti che contemplano la caduta di Babilonia:
"Anche i mercanti della terra piangono e si lamentano su di essa, perche' nessuno compra piu' le loro merci: i loro carichi d'oro, d'argento e di pietre preziose, di perle, di lino, di porpora, di seta e di scarlatto; legni profumati di ogni specie, oggetti d'avorio, di legno, di bronzo, di ferro, di marmo; cinnamomo, amomo, profumi, unguento, incenso, vino, olio, fior di farina, frumento, bestiame, greggi, cavalli, carri, schiavi e vite umane" (18:11-13).
Incidentalmente, faccio notare che la conclusione del versetto, nella traduzione CEI, e' davvero fiacca. Sia la Nuova Riveduta che la Nuova Diodati hanno reso molto piu' efficacemente e letteralmente con "corpi e anime di uomini" ("corpi" e' il greco "somata", che spesso e' usato per indicare gli schiavi, ma credo che lasciarlo cosi' com'e' renda di piu' l'idea della commercializzazione che fagocita ogni cosa).
Tuttavia, la discussione verteva su altro: quasi tutti i commentatori prendono questo passo come un esempio della inflessibile denuncia dell'imperialismo romano che caratterizzerebbe l'Apocalisse. E' facile vedere qui la condanna del lusso sfrenato e della globalizzazione imperiale.
Pero', ci sono alcuni problemini: e' utile far notare che a piangere sono solo i mercanti, non certo i "veri" ricchi dell'impero, senatori che possedevano latifondi immensi coltivati da schiavi. Non si trovera' nell'intera Apocalisse nemmeno un attacco contro questo tipo di ricchezza terriera, perche' in realta' Giovanni non fa altro che prendere a prestito uno dei cliche' piu' amati dai moralisti romani, la tirata contro i "nuovi ricchi", che hanno ammassato il denaro non nel modo tradizionale, ma attraverso metodi "corrotti" e moralmente discutibili dal punto di vista dell'elite (gli esempi sono ben noti e spaziano dalla descrizione di Trimalcione in Petronio, a Giovenale, per arrivare fino a quello con la faccia di bronzo piu' spessa di tutti, Seneca).
Paradossalmente, l'Apocalisse, lungi dall'essere anti-imperialista, imita e riproduce elementi essenziali dell'ideologia imperiale: la cosa e' evidente se si legge piu' avanti, dove (ai capitoli 20 e 21) la ricchezza viene sfoggiata senza problemi, e spesso perfino usando le stesse parole del capitolo 18, per descrivere la nuova Gerusalemme. Non sorprende, quindi, che l'immaginario dell'Apocalisse sia stato adottato da Costantino immediatamente e con successo e che, piu' vicino a noi, l'imperialismo americano ne abbia fatto un fondamento della sua politica.
4 commenti:
Caro Giovanni,
mi pare di capire che associ l'immagine della grande prostituta all'impero romano,è così?
Come saprai, ci sono interpretazioni che suggeriscono un orizzonte prettamente giudaico senza spingersi così in là, sino a coinvolgere la città di Roma. La polemica conto la ricchezza, che in molti testi veterotestamentari rappresenta il segno della benedizione divina, mi sembra emerga negli scritti sapienziali dal IV secolo aC., e venga poi ripresa con maggiore intensità e veemenza dalla letteratura apocalittica. Tale polemica più che una condanna della ricchezza in sé, è spesso connessa all'emergere di quel nuovo ceto mercantile che, facendo fortune presso Tolomei e Seleucidi, si era allontanato sia geograficamente che a livello di usanze religiose dalla terra dei Padri. Anche l'Apocalisse di Giovanni dovrebbe restare in questa prospettiva. Il fatto che quella legata al trinomio ricchezza-idolatria-prostituzione faccia parte d'una contesa tadizionalmente intragiudaica non potrebbe essere un ulteriore indizio per identificare la Babilonia dei capp. XVII e XVIII con Gerusalemme? Non da questo punto di vista, ma anche con particolare riferimento al bisso ed alle altre merci, Edomndo Lupieri ha ad esempio tentato di dimostrare l'identità tra la prostituta e Gerusalemme. Il discorso sembra reggere, o no?
Etienne
Post Scriptum:
Naturalmente non intendevo dire che la polemica contro la ricchezza nasce solo nel IV secolo e sia aliena, adesempio, alla predicazione profetica anteriore. Dico solo che mi sembra cambino contesto e paradigma storico.
Etienne
Tu pensi che Babilonia rappresenti Roma, Gerusalemme o è semplicemente una metafora? Se è vero che l'interpretazione comune ha sempre visto Roma nella città di Babilonia è anche vero che potrebbe essere Gerusalemme, come dice Etienne...
Senza fare versettologia la definizione di "prostituta" si è sempre applicata ad Israele (si pensi anche ai profeti); è definita "grande città" e fu proprio in quella "grande città" "dove il Signore fu crocifisso"; è a cavallo della bestia (che mi sembra simboleggi Roma senza ombra di dubbio, e qui si potrebbe vedere la collusione tra sacerdoti e romani) che effettivamente poi le si rivolterà contro (distruzione del tempio); antitesi tra la donna del capitolo 12 e via dicendo. Non so però ad esempio a cosa possano riferirsi i re, nell'ipotesi che sia Gerusalemme.
Allo stesso modo potrebbe essere Roma, anche perché secondo me se si riferisse ad un fatto già accaduto quest'apocalisse perderebbe gran parte del suo significato, diventando una sorta di "cronaca allegorica"... o sono completamente fuori strada? Potrebbe rappresentare una città reale ma con un valore un po' più "universalistico", interpretabile in chiave escatologica?
Cari Etienne e Andrea,
grazie per i vostri interventi che introducono interessanti elementi di riflessione: ho due risposte, di necessita' troppo brevi, cominciando da Andrea.
Non ho una opinione sulla questione dell'identificazione della prostituta con Roma o Gerusalemme, perche' credo che cercare di "indovinare" che cosa stesse nella mente di Giovanni e' impresa disperata e che porta dritti dritti nella "fallacia autoriale" di stampo positivista. Come fate notare voi ci sono buoni argomenti per pensare che si tratti di Gerusalemme come ce ne sono altrettanto buoni per pensare a Roma (di recente, Giancarlo Biguzzi ha pubblicato su "Biblica" un denso articolo in cui risponde a Lupieri). Credo che l'unica cosa che uno storico possa fare sia immaginare cosa avrebbero potuto capire i lettori dell'Apocalisse e, in questa prospettiva, entrambe le possibilita' sono accettabili: quelli che conoscevano la cultura giudaica avrebbero potuto cogliere i rimandi alla Bibbia ebraica, mentre i Gentili si sarebbero limitati al contesto greco-romano.
Sulla critica della ricchezza, mi permetto un piccolo appunto al ragionamento di Etienne. Quello che dici e' del tutto condivisibile e in piu' c'e' da aggiungere che il passo da me analizzato presenta chiarissimi rimandi intertestuali ai capitoli 27-28 di Ezechiele, una serie di oracoli di rovina diretti contro Tiro e Sidone. Tuttavia, sono molto restio a fare quello che va molto di moda oggi presso chi fa una "storia sociale" della Bibbia prendendo le informazioni dai testi direttamente e senza alcun tipo di critica retorica o ideologica (Theissen e' l'esempio principe di questo metodo). Il nesso retorico che associa commercio-corruzione morale (prostituzione nel lessico biblico)-costumi stranieri (idolatria nel lessico biblico) e' tipico non solo della letteratura di Israele, ma di tutto il mondo antico (come mostrato dai molti studi sull'economia antica di Moses Finley). Tale nesso si ritrova nella Bibbia ebraica cosi' come nell'Apocalisse, ma proprio per le sue caratteristiche non lo definirei "critica della ricchezza", bensi' "critica di un certo tipo di ricchezza sviluppata al servizio di una ben precisa ideologia".
Cordiali saluti a entrambi e molte scuse per il ritardo di questa mia risposta.
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