Il titolo di questo post e' volutamente ambiguo, ma penso di dover dare notizia di una piccola discussione che ha avuto una certa risonanza sui blog biblici negli ultimi giorni. Uno studioso svedese, Gunnar Samuelsson, ha recentemente discusso una tesi di dottorato dal titolo "Crucifixion in Antiquity: an Inquiry into the Background of the New Testament Terminology of Crucifixion" ("Crocifissione nell'antichita': una ricerca sul retroterra della terminologia neotestamentaria della crocifissione"). In questo lavoro, come si desume da titolo, Samuelsson non sostiene che Gesu' non sia stato condannato e ucciso con la pena capitale romana, ma si occupa di indagare se la terminologia usata nel Nuovo Testamento (stauroo e altri vocaboli affini) corrisponda a quello che generalmente ci immaginiamo quando parliamo di "crocifissione" (i pali disposti in un certo modo, i condannati inchiodati al legno, l'agonia prolungata per un determinato tempo...). La conclusione di Samuelsson e' che i termini indicati sopra vengono usati, fino al primo secolo, in modo del tutto generico, per cui la traduzione "crocifissione" risulta essere una forzatura dovuta al modo in cui i cristiani si sono piu' tardi immaginati il supplizio di Gesu': al contrario, Samuelsson preferirebbe una versione piu' neutra, magari qualcosa come "appendere".
La cosa non sembra enormemente importante dal punto di vista scientifico (ma ci sono aspetti curiosi che non ho visto trattati on-line: per esempio, come la mettiamo con le traduzioni dei Testimoni di Geova), ma il blog "Evangelical Textual Criticism" ha riferito della risposta assai forte di un noto biblista greco, Chrys Caragounis. Questa contesa offre spunti interessanti se si vuole discutere di un argomento che ho gia' trattato, vale a dire della possibilita' di giungere ad una traduzione univoca e sicura, anche solo di un termine specifico come in questo caso. Samuelsson conclude la sua analisi sostanzialmente dichiarando l'impossibilita' di arrivare ad una risposta definitiva, mentre Caragounis sostiene che, siccome tutti i parlanti greco dal primo secolo fino ad oggi hanno sempre usato stauroo per indicare la "crocifissione", questo gli permette di concludere che il concetto che si trova nella sua mente stava anche in quella degli autori del Nuovo Testamento. A parte i risvolti talvolta grotteschi di questo ragionamento (il nazionalismo greco d'origine ottocentesca ne e' una radice importante, come quando Caragounis dice che i greci del ventesimo secolo comprendono meglio i classici degli svedesi), l'insostenibilita' e' evidente a qualunque lettore italiano che abbia studiato un po' di latino: basarsi sul significato contemporaneo delle parole per tradurre Tacito o Cicerone puo' essere un modo di procedere assai rischioso.
Aggiornamento: per chi fosse interessato a raccogliere maggiori informazioni sul lavoro di Samuelsson, si puo' visitare il sito appositamente predisposto qui.
16 commenti:
Il problema linguistico della trasmissione dei testi antichi, specie se religiosi, sarà difficilmente superabile. Troppi secoli sono passati, troppi testi sono andati perduti.
E' probabile che pertanto, per quanto concerne i testi di natura religiosa e sacrale, si continui ad osservare quel bizzarro fenomeno che Schweitzer aveva evidenziato intorno alla figura di Gesù: ognuno continuerà a leggere quel che vorrà leggere sulla base del suo specifico background e delle finalità della sua lettura.
Negare la morte in Croce del Cristo è blasfemia!
don Donato
Buongiorno Giovanni, accolgo con giubilo la pubblicazione di questa tesi di dottorato. Se le conclusioni prudenti dell’autore sono quelle che riporti, il libro merita di essere letto. Consentimi però di biasimare la posizione massimalista di C. Caragounis. Purtroppo questo studioso non ne azzecca una corretta. Caragounis è il classico caso di studioso troppo compromesso col suo orientamento politico-religioso. Tempo addietro ebbi l’occasione di recensire il suo libro più noto, “The development of Greek and the New Testament...”, nel quale, come facevi notare, è contenuta il famigerato discorso circa la competenza degli studiosi greci rispetto al resto del mondo in materia di filologia classica e neotestamentaria. Una affermazione talmente ridicola che proprio l’autore, greco di nascita, non è esente da incompetenza nel campo di studi che pensa di maneggiare a menadito. Si vedano per esempio, sempre nel citato libro, i suoi strafalcioni di fonologia/fonetica, ripresi magistralmente da Silva nella recensione di “The development of Greek and the New Testament…”. Oppure, restando in tema di semantica, le sue conclusioni azzardate sul testo primitivo del Nuovo Testamento. Il tutto condito con un uso personalistico della polemica.
Negare la morte in Croce del Cristo è blasfemia! (cit.)
http://punditkitchen.files.wordpress.com/2009/05/political-pictures-darth-vader-blasphemy-style.jpg
Caro Tanzen,
il punto e' che questo si verifica per tutte le letture di tutti i testi: andrebbe quindi abbandonata ogni velleita' positivista ed elaborata una ermeneutica coerente. Grazie dell'osservazione.
Caro don Donato,
calma calma, non e' ancora il momento di accendere il rogo!
Come scrivo nell'articolo e come dice lo stesso Samuelsson nei post linkati, non era questo quello che si intendeva dire.
Cara Frances,
grazie del contributo. Sono contento che tu che sei un'esperta abbia un'opinione ugualmente non positiva del lavoro di Caragounis: devo dire che anche il tono acido e ostile (che l'autore ha usato anche in altre occasioni) non aiuta ad apprezzare le sue affermazioni.
Dear Friends,
If you want further information about my doctoral thesis, Crucifixion in Antiquity, please visit my website http://www.exegetics.org.
Regards,
Gunnar Samuelsson
Dear dr. Samuelsson,
I updated the post accordingly.
Thanks for letting me know and good luck with your book!
Premesso che - dal mio modesto punto di vista - non penso che l'affissione su un palo o su una croce muterebbe di uno iota il contenuto dei Vangeli (e di conseguenza la teologia cristiana), anzi creerebbe una miglior corrispondenza tra il serpente di Gv 3:14 e di Nm 21:9, in relazione a Caragounis io mi soffermerei di più sull'affermazione che non sull'autore. Perlomeno è questo il metodo che adotto in critica estetica, mi rendo conto che argomentare di filologia neotestamentaria comporta più conflitti ideologici e maggiori difficoltà. Mi soffermerei, in particolare, soltanto sulla prima parte dell'affermazione, quella relativa ai soli parlanti del primo secolo (l'excursus bimillenario mi pare eccessivo). E' attestato che già i parlanti greco nel primo secolo - o immediatamente dopo - utilizzavano stauroo per indicare la croce? Se così fosse, limitatamente a ciò, l'affermazione di Caragounis non mi sembrerebbe stravagante anche perché (mi riferisco alla mancata perfetta simmetria di Gv con Numeri prima citata), nel secondo secolo inventarsi la croce sarebbe potuto apparire come una specie di eresia.
Lino
interessante modo di procedere: invece di fare una critica dell'opera in oggetto si critica chi ne ha fatto la recensione..
Ovviamente attenderò con impazienza che chi si è pronunciato contro Caragounis ci faccia conoscere la sua diretta opinione sulla tesi di Samuelsson e sulla sua metodologia.
d'altra parte il giudizio del prof. Bazzana ("La cosa non sembra enormemente importante dal punto di vista scientifico") non è così dissimile, se non nei toni, da quello che dice Caragounis.
Caro Lino,
grazie del commento (in particolare per l'osservazione su Gv) e scusa del ritardo nella risposta.
Appunto quello che poni tu e' il quesito che si e' posto anche Samuelsson nell'intraprendere la sua ricerca storico-lessicale. Il risultato pare essere interlocutorio: per chi scriveva nel primo secolo, stauros e affini potevano indicare la croce, ma anche altre possibilita' come l'impalamento, l'impiccagione eccetera. La tradizione cristiana ha poi fatto il resto e sedimentato l'immaginario che abbiamo oggi.
Se ti interessa c'e' oggi anche un contributo di Hurtado che richiama ad un altro recente lavoro che raggiunge risultati analoghi a quelli di Samuelsson: http://larryhurtado.wordpress.com/2010/07/22/more-on-crucifixion/
Caro Domenico,
grazie dell'osservazione, ma non vedo niente di male nel fare alcune osservazioni su di una recensione pur non avendo letto il libro recensito.
Forse non mi sono spiegato bene, ma la critica a Caragounis si appunta unicamente sulla metodologia che questo autore adotta: che lo faccia in una recensione piuttosto che in un volume (come ha fatto in passato) essa rimane, a mio avviso, sbagliata e questo lo dico senza pregiudizio sulla tesi argomentata da Samuelsson.
Sul fatto poi che la mia posizione sia simile a quella di Caragounis non vedo come questo sia possibile: Caragounis sostiene di poter capire cosa pensavano coloro che usavano stauros e vocaboli consimili nel primo secolo, mentre io ritengo che questo sia impossibile.
Grazie a te, Giovanni, per la risposta e per la segnalazione del lavoro di Hurtado. Riguardo alla metodologia di Caragounis, effettivamente per renderla manifesta sono sufficienti appena un paio di affermazioni. Io - sebbene sia credente - la considero esiziale per l'analisi dei testi, più prossima a una specie di esoterismo linguistico di matrice junghiana che non a un criterio scientifico. Potessi dialogare con lui, gli chiederei che cosa gli viene in mente a leggere la parola talanton, se il senso originale, quello postumo del dono tanto caro alle interpretazioni correnti oppure il simbolico, il solo che consente l'accesso alla mashal collegandola alla madre di tutte le parabole, quella di Mt 13,1-23. "Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus" ha scritto Umberto Eco parafrasando un verso di Bernardo Cluniacense. In realtà noi non possediamo la rosa del passato bensì soltanto una serie di petali, stratificazioni di significati da sfogliare, nella semantica così come nella simbolica. Il metodo Caragounis non è del tutto nuovo: analogamente praticato nel campo del simbolismo, ha determinato lo svilimento e ridicolizzato i simboli. In agosto, libero dal lavoro, completerò un breve saggio dal titolo “Per un approccio razionale al simbolo antico” che sintetizza le mie precedenti pubblicazioni. Se ti farà piacere, te ne invierò il file. Ciao. Lino.
E' vero che il possesso del greco moderno non implica la comprensione corretta del greco koinè, ma neppure è paragonabile la distanza tra queste due fasi della lingua greca al rapporto tra italiano e latino: il greco s'è evoluto assai meno, e il mantenimento del sistema flessivo, che in italiano è invece sparito, ne è un esempio. Quanto alla semantica, già nel II sec. stauros era chiaramente percepito come "croce", al punto che Luciano ci riferisce di come la gente pensasse che la parola sTAUros derivasse dal nome della lettera tau (=T) (Lis. Consonantium, 12). Etimo certamente falsa, ma indicativa di qual era la croce in mente ai grecofoni del periodo.
Vorrei segnalare che in appendice a questo pdf ci sono tutte le attestazioni patristiche e apocrife prima del IV secolo che attestano l'esistenza di una croce a due braccia:
www.infotdgeova.it/downloads/croce.pdf
Ad maiora
Caro/a Polymetis,
anche se in ritardo, grazie per il commento e le informazioni.
Saluti
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