Questo semestre insegno un corso sul Vangelo di Giovanni e quindi nelle prossime settimane cerchero' di scrivere qualche riflessione su questo testo che ha avuto una importanza fondamentale nella storia del cristianesimo.
Oggi ho parlato delle questioni introduttive e, siccome non avevo insegnato Giovanni per molto tempo, mi sono accorto, nel leggere le cose pubblicate di recente, che sono accaduti negli ultimi anni mutamenti di non poco conto. Un cambiamento radicale riguarda il problema della datazione del testo. Piu' o meno tutti i lavori su Giovanni pubblicati negli ultimi 30 anni danno per scontato che il Vangelo sia stato scritto negli anni 90 del primo secolo: questa datazione dipende da vari ragionamenti, ma in assoluto l'elemento piu' importante e' l'esistenza di un piccolo frammento di papiro (detto tecnicamente P52), che e' conservato a Manchester e che contiene parte di quattro versetti del capitolo 18 (per una presentazione molto dettagliata di questo papiro si puo' vedere qui). P52 fu pubblicato nel 1935 e l'editore di allora, Colin Roberts, uno dei piu' grandi papirologi di tutti i tempi, lo dato' nella prima meta' del II secolo. La cosa suscito' una specie di rivoluzione, perche' questa scoperta metteva definitivamente a tacere tutti gli studiosi che nell'Ottocento (per esempio, il celebre F.C. Baur) avevano proposto di datare il Vangelo al 160 o anche dopo.
Nel 2005, pero', Brent Nongbri ha pubblicato sulla Harvard Theological Review un articolo nel quale dimostra che tutti hanno accettato la datazione di Roberts senza darsi pensiero di rivedere i documenti e che esistono in effetti papiri della fine del secondo e perfino dell'inizio del terzo secolo che sono assai simili a P52. Ovviamente nessuno degli autori piu' recenti si e' preoccupato di citare Nongbri, ma se si toglie di mezzo P52 le conseguenze sono notevoli. Solo un esempio: nessuno scrittore cristiano sembra citare Giovanni prima di Ireneo alla fine del secondo secolo (forse c'e' un riferimento in Giustino, ma la cosa e' assai discussa). Molti autori ortodossi (come lo stesso Ireneo o Origene) scrivono su Giovanni proprio per strapparlo agli eretici (Tolomeo o Eracleone) e inducono a prendere in seria considerazione l'ipotesi che il Vangelo sia stato prima gnostico e solo in un secondo tempo opportunamente "de-gnosticizzato". Riaprire la questione della datazione permetterebbe anche di riaprire la questione dei rapporti con lo gnosticismo senza tante preoccupazioni dogmatiche (sul dualismo, per esempio).
9 commenti:
Il vangelo di Giovanni rappresenta l'ago della bilancia che permette di elevare la figura di Gesu e di portarla alla dimensione di Cristo figlio di Dio ... per questo e' stato incorporato nel canone neotestamentario ... rappresenta il confine massimo fino al quale l'ortodossia ha accettato di spingersi per poter dimostrare la divinita' dell'uomo Gesu che negli altri vangeli non viene menzionata ...
Sono molto concorde con Greco sulla suggestiva definizione di "ago della bilancia" e di "confine massimo" per il vangelo giovanneo. Trattazione sempre molto interessante anche da parte del prof. Bazzana, di cui troppo tardi ho scoperto il blog. Saluti. Giuseppe Ferrari
Caro Greco,
indubbiamente Giovanni ha avuto un'importanza determinante per lo sviluppo del cristianesimo ed e' questo il motivo per cui e' tanto interessante studiarlo. Grazie per l'interessante osservazione.
Caro Giuseppe Ferrari,
grazie per l'apprezzamento.
Buongiorno Giovanni, devo avvisare i lettori che il documento sul P52 da me realizzato non è più disponibile al link indicato. Il nuovo link dal quale scaricare il documento pdf è il seguente:
http://philologynt.altervista.org/Site/attachments/048_P52.pdf
A proposito della datazione del P52, ci sono anche un interessantissimo articolo di C. M. Tuckett (P52 and Nomina Sacra), nonché le nuove considerazioni di R. S. Bagnall nella macroarea dei più antichi papiri neotestamentari (Early Christian Books in Egypt).
Cara Frances,
grazie per i consigli e per l'aggiornamento: complimenti poi per la nuova versione del sito, ancora piu' bella, ma sempre ugualmente interessante.
Grazie Giovanni. L'articolo sul P52 andrebbe aggiornato con le nuove considerazioni di R. S. Bagnall. Il suo libro ha già suscitato polemiche per alcune sue affermazioni riguardo la datazione dei più antichi papiri neotestamentari, tra cui il P52.
Cara Frances,
in effetti ho letto il libro di Bagnall, ma solo nella versione francese, e ho letto anche un paio di recensioni, una credo di Hurtado sulla RBL (in cui, pero', ho avuto la sensazione che i recensori cercassero di evitare il problema piu' grosso per discutere invece di questioni secondarie).
Comunque, mi pare che sulla questione di P52 Bagnall si limiti ad approvare (cosa che ha gran peso comunque) le osservazioni di Nongbri, no?
In generale, tu cose pensi dell'argomento "statistico" di Bagnall?
Caro Giovanni, sono felice di rispondere alle tue domande. Spero che questo lungo post non annoi te e i lettori.
La mia impressione è che Bagnall sia nel giusto sulla datazione dei papiri cristiani più antichi. Il suo ragionamento è molto semplice e logico: dato per scontato un certo margine cronologico tra la diffusione del Cristianesimo in Egitto, nelle aree urbane e poi nelle aree extraurbane o comunque periferiche della regione, i papiri più antichi non possono risalire al I secolo. Bagnall è il continuatore della linea moderata di E. G. Turner, la quale supporta una datazione un po’ più bassa, + 20-50 anni rispetto a quella standard. Va detto che le argomentazioni di Bagnall sono di carattere extrapaleografico, sociologiche e demografiche e basate sul buon senso della ricerca accademica.
Il bersaglio di Bagnall non è tanto la datazione standard dei papiri cristiani, sulla quale c’è consenso unanime, quanto la “Fantapapirologia” o “Papirologia alla Indiana Jones” (espressione coniata da B. D. Wallace), cioè quella corrente della Papirologia che ha i principali esponenti nella scuola di Madrid, e rappresentanti quali Thiede e alcuni papirologi italiani. Tutti sapranno delle proposte di retrodatazione dei papirologi Thiede e Kim rispettivamente per il P67 e il P46, la cui datazione standard è tra la seconda metà del II e l’inizio del III secolo d.C. Ebbene la critica di Bagnall si scaglia proprio contro queste proposte di retrodatazione. I critici del Thiede e di Kim non sono mai mancati, ma data l’autorevolezza di Bagnall nel campo e data la sua parziale estraneità alla ricerca biblica, le sue opinioni suonano alquanto oggettive.
Sulla datazione del P52, Bagnall segue Turner e Nongbri. A questa corrente si oppone L. H. Hurtado, ma le sue argomentazioni a favore di una “datazione precoce” sono basate quasi esclusivamente sulla presenza e natura dei nomina sacra. Ma il papirologo non può azzardare una datazione alta senza tener conto del contesto socio-culturale di provenienza dei papiri. Bagnall, per esempio, tiene conto anche dell’andamento demografico della popolazione cristiana in Egitto nei primi secoli. È innegabile che è soltanto in conseguenza della crescita demografica dei cristiani d’Egitto nel III secolo vi sia stato un influsso culturale apprezzabile nella regione e quindi la produzione e la diffusione di una letteratura.
In definitiva l’atteggiamento prudente di Bagnall mi sembra plausibile e condivisibile. Mi piacerebbe che questo atteggiamento facesse breccia anche tra i biblisti nostrani, a volte troppo disponibili ad appoggiare proposte e tesi sensazionalistiche.
Cara Frances,
grazie dell'ottima sintesi: di sicuro io non mi sono annoiato.
Sono contento di vedere che anche tu sembri pensarla come me sul libro di Bagnall. Se fosse preso seriamente potrebbe avere conseguenze notevoli, secondo me.
Ovviamente, tutto il mondo e' paese e qui come in Italia vedo che tutti preferiscono evitare di fare i conti con questo testo, visto che altrimenti troppi interessi, accademici e non, ne verrebbero scombussolati.
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