Anzitutto, il testo si trova nel Vangelo di Giovanni (8:7) e fa parte di una pericope (vale a dire, un episodio) molto famoso per diversi motivi: si tratta della "pericope dell'adultera" (Gv 7:53-8:11), nella quale si racconta di come Gesu' salvi una donna che correva il rischio di essere lapidata perche' colta in flagrante adulterio. Questo testo si legge in tutte le edizioni critiche e in tutte le traduzioni del Nuovo Testamento, ma molto probabilmente non e' originale perche' manca nei due piu' importanti codici antichi (il Sinaitico e il Vaticano) e nei piu' antichi papiri. Per questo motivo, le edizioni critiche lo pubblicano (siamo tanto abituati a leggerlo), ma di solito lo mettono fra due parentesi quadre per dire che non dovrebbe in realta' esserci.
Chi ritiene che invece il testo sia originale, tuttavia, porta un forte argomento, simile a quello della lectio difficilior di cui ho parlato altrove. In effetti, la storia dell'adultera presenta un problema teologico gravissimo: se leggete attentamente il testo, vedrete che Gesu' perdona la donna, senza che questa si sia mai pentita del proprio peccato. Questa difficolta' avrebbe fatto si' che la pericope sia "sparita" dalla maggior parte dei manoscritti. In tal senso, potremmo dire che la ragazza di Bari ha usato una citazione che calza a pennello con la situazione di Berlusconi.
Ovviamente c'e' dell'altro: nella pericope dell'adultera compare uno dei Gesu' piu' dichiaratamente "femministi". Egli interviene a salvare a donna, che, in posizione di debolezza nella societa' del tempo, sta per subire la cruenta vendetta dei maschi dominanti: uno dei particolari piu' interessanti del racconto e' infatti che, benche' la donna sia stata colta in flagrante, non c'e' nessuna traccia di un uomo che venga punito insieme a lei. Guardando all'applicazione della storia a Berlusconi si vede bene che anche questo ha fatto la stessa fine di molti altri testi evangelici sul perdono e la remissione dei peccati: ormai questi racconti non servono piu' a proteggere i deboli, ma sono utilizzati per giustificare tutti i peccati e le malefatte di quelli che il potere lo tengono saldamente in pugno.
3 commenti:
In Giov.8,6 : " ... Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere con il dito per terra." Nelle note della Bibbia di Gerusalemme si legge che il significato è oscuro non ancora interpretato. Lo tengono oscuro per avallare le malefatte? Se scrivesse oggi Gesù
leggeremmo un nome conosciutissimo a molti italiani anzi più di uno. Fine della farsa!.
Saluti. G. Nicora
Beh, effettivamente l’affermazione della lettrice (secondo la quale Gesù avrebbe scritto a terra i peccati degli astanti) mi appare immotivata. Non mi sembra però, caro Bazzana, meno arbitraria la sensazione di Raymond Brown sull’ininfluenza della scena di un dito che scrive sulla terra (gê): io, come principio di autorità, preferisco riferirmi a Marco Tullio Cicerone ("le Immagini sono similissime alle Lettere; la disposizione e l'alloggiamento delle Immagini alla Scrittura"). L’Ars poetica - anche quella di Quinto Orazio Flacco (vv. 25-26) in materia di sintesi e oscurità – docet.
Interessandomi prevalentemente d’immagini letterarie, faccio notare che, appena un passo prima che Gesù si metta a scrivere per terra, scribi e farisei gli chiedono: “ Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?” (Gv 8,5). Ora nella pericope compaiono tre voci molto espressive: Mosè, nomos-Legge e entellomai-comandare; esse, associate all’immagine successiva di un dito che scrive, nel contesto veterotestamentario giudaico conducono inevitabilmente a Dt 9,10: “il Signore mi diede le due tavole di pietra, scritte dal dito di Dio, sulle quali stavano tutte le parole che il Signore vi aveva dette sul monte...”. Le ricorrenze, dal punto di vista dell’analisi, non mi sembrano insignificanti.
In una lettura “laica” del testo, io non trovo alcun riferimento al “perdono”. L’adultera è semplicemente rinviata a casa, al pari del Tribunale che è inabile a giudicare perché non costituito da “giusti”. La causa del contendere tra scribi, farisei e Gesù non è il peccato o la sua remissione bensì la pena prevista (la lapidazione) per la trasgressione della Legge (tal è il concetto di peccato nell’ebraismo). Non è la Legge di Mosè a essere sconfessata (cfr. “va' e d'ora in poi non peccare più”) bensì la durezza della condanna. Senza l’immagine del dito che scrive per terra, il comportamento di Gesù apparirebbe insensato, essendo egli (secondo la caratterizzazione che i testi danno del personaggio) un giusto e pertanto abilitato a condannare: è soltanto il senso dell’immagine del dito che scrive per terra che dona logicità allo scritto, che gli consente di avocare a sé sia la fonte della Legge sia la pena da infliggere. L’argomentazione sviluppata nei brani dell’adultera – come sempre avviene nelle discussioni con gli scribi e i farisei - è la Legge; la adultera, da questo punto di vista, addirittura può essere considerata – lei sì – ininfluente e sostituibile da ogni altro peccatore (in senso mosaico) passibile di pena di morte. Sia originale o no, la “lectio difficilior” del “dito che scrive” mi pare ben compresa dai farisei i quali, appena un paio di pericopi dopo, a seguito della citazione della “luce”, accusano Gesù di dare testimonianza di se stesso.
Ancora una volta le chiedo scusa della lunghezza del commento: la responsabilità, però, è sua che mi spinge a meditare le riflessioni dei suoi ottimi post. Con stima.
Lino
Caro Lino, grazie per la riflessione densa di contenuti: in realta', non penso che tu sia tanto lontano da Brown. In effetti, lui dice solo che se l'autore del Vangelo avesse pensato che le parole scritte da Gesu' per terra fossero state importanti allora ce le avrebbe comunicate. Al contrario, evidentemente, come scrivi tu in modo persuasivo, per Giovanni l'importante era il gesto.
Grazie ancora per l'attenzione.
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