martedì 20 settembre 2011

Omelie postmoderne?


Alcune settimane fa, sul suo blog, Sandro Magister, giornalista dell'Espresso, ha dato spazio, come usa spesso fare, alla ripresa di un articolo di Pietro De Marco, in cui l'autore esprime giudizi negativi su due omelie ("tipiche di quel cattolicesimo colto, postmoderno, che va per la maggiore in alcune chiese e monasteri") ascoltate durante l'estate. La seconda delle prediche era dedicata al passo matteano (15:21-28) in cui si narra l'incontro fra Gesu' e una donna siro-fenicia: siccome nel corso su Matteo dell'anno scorso ci siamo occupati un po' di questa pericope, la cosa mi ha interessato.
A quanto pare, De Marco ha ascoltato questa omelia "con profondo disagio", perche' il predicatore l'avrebbe letta come il racconto di una "conversione" di Gesu' stesso, che, nello scambio di battute con la donna, arriverebbe a mutare radicalmente il suo iniziale atteggiamento di avversione per una "pagana". Per De Marco, il sacerdote avrebbe sacrificato la cristologia, che si legge nelle dichiarazioni della siro-fenicia, per buttarsi in una "banalizzazione neomoraleggiante (e postmodernamente tutta affettiva) della pastorale". Certo, e' difficile giudicare di un'omelia che e' solo riferita indirettamente, ma e' probabile che il predicatore abbia imboccato questa via tutto sommato apologetica per cercare di dare una spiegazione per il comportamento problematico di Gesu'. Notoriamente, crea difficolta' agli esegeti il fatto che Gesu' chiami una povera donna che lo sta supplicando "cagna" e che poi rincari la dose lodandola solo dopo che ella stessa ha dichiarato che questa ("cagna") e' proprio la designazione adatta per lei.
E' interessante che, alla fine dell'articolo di De Marco, Magister abbia linkato il testo dell'omelia che Ratzinger ha tenuto nella stessa domenica sullo stesso passo. A differenza di De Marco, il Papa e' consapevole dei problemi posti dalla narrazione ("puo' sembrare sconcertante..."), ma la sua soluzione e' diversa: qui, sulla scorta di Agostino, si immagina che Gesu' tenga questo atteggiamento per infiammare il desiderio della donna. Si tratterebbe di una pedagogia divina (credo che sia anche quello che De Marco definisce "maieutica") che condurrebbe, secondo le parole di Ratzinger, alla umilta' e semplicita' ("si', figlio di Davide, sono proprio una cagna, come dici tu! Ma fammi la grazia!"). E' un po' sorprendente questa lettura offerta dal Papa, che sembra dipingere l'immagine assai autoritaria di un Dio che attende che l'essere umano si auto-umilii all'estremo prima di andare in suo aiuto. Peccato, perche' sarebbe stato interessante accostare quello che Gesu' fa in questo passo (con una donna, cananea e apparentemente senza un gran ruolo sociale) con la scena di Mt 8:5-13, in cui il nazareno e' piu' che pronto a correre a casa di un uomo, centurione e probabilmente cittadino romano. Matteo non si azzarda a dare del "cane" a un soldato dell'impero: scherza con i fanti...
Tornando alla questione del postmoderno, tuttavia, cosi' apocalitticamente condannata da De Marco come una "infezione", non mi sembra di vedere una gran differenza fra le due omelie (e probabilmente nemmeno con l'opinione di Agostino, che certo "postmoderno" non era). Un testo fa difficolta' dal punto di vista esegetico e, piuttosto che affrontarne di petto le implicazioni ideologiche, si va creando una storia intima dei personaggi (la "conversione" di Gesu' oppure, piu' tradizionalmente, la pedagogia dell'umiliazione) che non ha alcun riscontro nello scritto. Non si tratta di qualcosa di moderno o post-, ma di una strategia che e' sempre stata praticata.

15 commenti:

Anonimo ha detto...

Caro Giovanni, per quanto mi riesce di capire le due prediche non sono in contraddizione, ne' odorano di post-modernismo. La pedagogia del maestro riluttante che cambia idea dopo insistenti richieste, tra l’altro, non sembra circoscritta al cristianesimo. Nel Gotamīsutta, per esempio, il Buddha acconsente solo dopo reiterate richieste all’ingresso delle donne nel Saṅgha monastico (Aṅguttara Nikāya, VIII.51, PTS IV.274 ss., anche in Mahāpajāgotamīvatthu, Aṭṭhagarudhammā e Bhikkhunīupasampadānujānaṃ, Vinaya IV.402-404 , PTS II.252 ss.). Difficile capire quali significati attribuire a questi episodi, ed eventualmente dedurne una comune strategia pedagogica. L’esegesi di Ratzinger, tuttavia, mi sembra plausibile, ovvero porre l’enfasi su una necessita’ di partecipazione del discepolo all’insegnamento, cosi’ pretendendo che questi si affranchi da una posizione passiva e inerte. Nel buddhismo questo intento e’ ravvisabile, per fare qualche esempio tra i piu’ noti, nella formale triplice richiesta rivolta al Buddha o nell’attesa di giorni imposta agli aspiranti monaci zen, ma anche nella celebre prova della costruzione delle torri da parte di Milarepa per convincere il maestro Marpa, per non parlare della drastica dimostrazione data da Huike per attingere agli insegnamenti di Bodhidharma. Tutti questi episodi dimostrano che chiedere non basta, occorre una particolare determinazione e una radicata pazienza per diventare davvero discepoli.
Ripeto, non so quanto lo sfondo comune agli episodi summenzionati, ammesso che ci sia, si possa applicare all’episodio della cananea, ma questo tipo di pedagogia nel buddhismo e’ piu’ di una mera ipotesi suggestiva, e mi sembra offrire chiavi esegetiche tutt’altro che post-moderne anche per l’episodio in questione, cristologia permettendo. Meno convincente mi sembra l'idea che nell'episodio Gesu' denunci una iniziale avversione per i pagani, ma non so se esistono episodi simili a conferma.
Cari saluti, Giuliano

Anonimo ha detto...

Ciao Giovanni, ben tornato con il blog.
Il problema è che a livello di esegesi, almeno per un'esegesi improntata al metodo storico, è forse una fatica inutile cercare di capire perché Gesù si sia comportato così, semplicemente perché non lo si può sapere. Una interpretazione altrimenti fondata può invece ben trarre svariate e differenti conseguenze come mi pare sia stato fatto.
A me comunque sembra un problema pure fare ipotesi sul perché Matteo abbia riportato l'episodio in quel modo. Il paragone con altri percorsi di iniziazione religiosa secondo me ha un valore, almeno in questo caso, solo relativo poiché non è qui in questione una proposta di discepolato (come pure ce ne sono nei vangeli e lì il paragone varrebbe), ma "semplicemente" una richiesta di guarigione. Almeno nei sinottici di solito in questi casi viene sottolineata la fede dei richiedenti, che però sono quasi sempre giudei. E la grazia irrorata da Gesù non sembra guardare ad altri elementi se non, appunto, a quello della fede. Questi "segni" dovevano infatti essere un segno dell'imminenza dell'instaurazione del Regno nel quale avrebbero trovato riscatto e conforto (anche materiale) tutti gli afflitti, gli esclusi e i sofferenti, indipendentemente dalla loro buona condotta, purità, giustizia (il discepolato quindi sarebbe in questo caso escluso) Proprio per questo l'episodio appare strano.
Interessante è il parallelo con il centurione romano: Matteo, così come Luca, non lascia mai che i romani siano trattati male (nè dal Gesù nè dal Battista). E questo è certo più comprensibile.
Un saluto,
Etienne

Anonimo ha detto...

Caro Etienne,
la sua mi sembra un’obiezione sensata, pero’ presuppone una definizione marcata di discepolato che non so quanto sia giustificata dai contesti illustrati nei Vangeli: e’ possible dire che nel momento in cui Gesu’ compie un miracolo non stia anche (se non principalmente) insegnando, ovvero prendendosi cura dell’anima tanto di chi riceve il miracolo, quanto di chi assiste e di chi ascoltera’ (o leggera’) di questo episodio?
A mio avviso l’interpretazione agostiniana riadottata da Ratzinger descrive proprio la necessita’, in una relazione maestro-discepolo, di una dinamica attiva da parte del discepolo-postulante, quella dinamica che in questa glossa e’ espressa dal termine “desiderio”. Sembrerebbe non troppo azzardato ascrivere a questo fattore chiamato desiderio, parafrato con “fede” da Ratzinger, una valenza soteriologica che prescinde dall’intervento del maestro (miracolo o insegnamento che sia) o che comunque ne favorisce o intensifica l’efficacia. Non mi sentirei neanche di escludere che la guarigione sia in se’ una forma di iniziazione religiosa: in molte (o tutte?) tradizioni la valenza di un miracolo e’ piu’ pedagogica e persuasiva che correlata all’esito ‘fisico’ del miracolo.
Mi rendo conto che il comparativismo religioso e’ un terreno scivoloso (e di fatto non mi piace), ma talvolta si possono trovare utili analogie (motivo per cui leggo con interesse questo blog!).
Per quanto riguarda l’atteggiamento di Gesu’ (e degli evangelisti) verso il centurione romano, sono abbastanza curioso di sapere se ci sono studi a riguardo, soprattutto sul significato della figura che e’ al contempo non-giudeo e autorita’ militare.
Buona giornata,
Giuliano

Anonimo ha detto...

Caro Giuliano,
è vero che nei vangeli alcuni episodi di guarigione rappresentino occasioni di discepolato, ed è bene perciò distinguere un discepolato di conversione (istanze di perdono e riconciliazione)da un discepolato di sequela. Mi sembra al contempo innegabile che nella maggior parte delle narazioni questi gesti vogliano però o fornire un insegnamento (ad esempio relativizzare se così si può dire alcuni precetti rituali, si pensi ai miracoli operati di sabato o ai discorsi sulla purità) o annunciare l'imminenza del Regno di Dio (non un premio o un paradiso per i discepoli, ma un evento di redenzione sabbatico ed escatologico ricollegato alla tredizione dei profeti veterotestamentari).
Oggi invece nelle omelie si fa spesso riferimento a un presunto rapporto intimo e personale che il Signore voleva e vorrebbe instaurare con il discepolo. Fermo restando che non possiamo certamente sapere se davvero gli evangelisti volessero trasmetter tale messaggio, mi pare invece che se di "degenerazione postomoderna" si debba parlare, ad essere incriminata debba essere pure tale impostazione omiletica che vuole adattare le narrazioni evangeliche al nostro contesto moderno in cui è concepibile ed usuale un simile tipo di rapporto in cui Gesù diventa una sorta di "amico intimo". Nei sinottici invece il discepolato è frequentemente associato all'instaurazione del Regno ed alla figura del Figlio dell'uomo. Alcuni studi sostengono addirittura che i discepoli sarebbero in un certo modo "parte" del Figlio dell'uomo stesso (non quindi una persona ma un concetto escatologico), dovendo preparare la signoria divina e restaurare le 12 tribù.
Un saluto cordiale,
Etienne

Giovanni Bazzana ha detto...

Cari Giuliano ed Etienne,
grazie per i commenti e per aver dato vita ad una conversazione che, senza andare mai molto off topic, si e' mantenuta ricca e civile (virtu' spesso assenti sul web).
Mi limito a commentare su un punto maggiore e ad aggiungere due note marginali.
La questione che vi divide mi sembra essere un classico problema di storia delle forme: nella sua formulazione originaria la Formsgeschichte attribuiva una sola "funzione" a ciascun "genere" o "forma". Quindi, come dice Etienne i racconti di miracoli hanno intento escatologico o di validazione messianico-cristologica. Tuttavia, e' chiaro che la situazione e' ben piu' complessa (e anche lo stesso Bultmann poi ammetteva vari gradi di contaminazioni fra forme differenti). Il racconto di miracolo puo' quindi assumere il carattere di istruzione per il discepolato (per esempio, nel celebre episodio marcano dell'indemoniato geraseno), come suggerisce Giuliano, soprattutto se noi lo guardiamo dal punto di vista della ricezione di un lettore (visto che storicamente sulla intenzionalita' dell'autore possiamo veramente dire ben poco).
Una piccola nota sulla questione dell'avversione per i pagani, perche' questo problema e' centrale per l'interpetazione dell'intero Vangelo. Matteo e' molto ambiguo da questo punto di vista: e' il testo che ha il comando finale ad andare a tutte le genti insieme alla proibizione (10:23) di predicare fuori d'Isarele. In piccolo, questa pericope ripropone il medesimo nodo di un Gesu' che non vorrebbe fare il miracolo per la siro-fenicia, ma alla fine, controvoglia, lo concede.
Una piccola domanda finale per Giuliano, visto che non conosco affatto le tradizioni buddhiste: nei paralleli che menzionavi, si trovano episodi in cui il maestro, oltre al semplice mostrarsi ritroso, assume anche un'atteggiamento tanto duro come il Gesu' di questa pericope?
Saluti a entrambi.

P.S. Onestamente l'idea del parallelo con il centurione mi e' venuta mentre stavo scrivendo il post: non mi pare di conoscere nessuno che l'abbia avanzata (ma mi parrebbe strano). Sto cercando.

Anonimo ha detto...

Cari Etienne e Giovanni,
grazie a entrambi per le delucidazioni.
Riguardo alla ‘durezza’ del maestro, direi che si’, ci sono molti aneddoti buddhisti in cui la relazione maestro-discepolo appare particolarmente dura, specialmente quando e’ molto stretta. Forse ce ne sono soprattutto nel Rinzai Zen, ma una statistica improvvisata sarebbe troppo sommaria.
Tuttavia, vorrei fare un’osservazione al riguardo, riferita proprio all’episodio riportato da Matteo: l’interpretazione dell’atteggiamento di Gesu’ come duro mi sembra abbastanza soggettiva, dal momento che Agostino e Ratzinger, per esempio, tendono a porlo su un piano secondario (che sia per ragioni apologetiche non basta a confutarne l’interpretazione). Ancora piu’ interessante e’ che la cananea stessa non lo trova duro ne’ si mostra offesa. In qualche modo il contesto sembra addolcire questo scambio e riesce addirittura a renderlo maieuticamente efficace. Con questa osservazione vorrei anche interrogarmi/ci sull’efficacia degli strumenti a disposizione per un’esegesi storico-testuale.
Percio’ quello che mi chiedo e’ se le diverse possibili risposte a questo passo siano da ascrivere in parte a ragioni linguistiche, di cui riconoscerei in due aspetti:
1) a secondo di come lo traduciamo, il passo puo’ suscitare risposte diverse;
2) la valenza semantica della frase originale non e’necessariamente offensiva nel contesto dei Vangeli.
Rispetto al primo punto, le traduzioni che ho letto parlano di bambini e cagnolini, che puo’ essere una similitudine discriminatoria (tra popolo di Israele e pagani), ma non offensiva quanto apparirebbe a un lettore moderno leggere che Gesu’ le ha dato esplicitamente della cagna.
Per il secondo punto, credo che il contesto in cui la parola “cane” e’ usata faccia a tutt’oggi la differenza; se in alcune culture espressioni come “hai il fiuto di un segugio” o “tenace come un mastino” possono suonare addirittura lusinghiere, in altre culture sarebbero comunque offese da lavare con il sangue, perche’ il cane e’ un animale generalmente disprezzato.
Se la risposta a questi punti e’ negativa e la frase di Gesu’ va considerata “dura” da ogni punto di vista, resta da interrogarci circa la valenza pedagogica di questa presunta durezza, ed e’ riguardo a questo che ho tentato una grossolana comparazione con testi che mi sono piu’ familiari. L’unica risposta che al momento ho trovato plausibile e’ che questa durezza (o nel migliore dei casi ritrosia) costituisca al contempo una sorta di test di ammissione e un insegnamento (come ho detto, non necessariamente diretto solo alla persona in questione). Ma, appunto, dovremmo prima accertare che di durezza si tratta.
Mi scuso per la verbosita’ e ringrazio per le occasioni di riflessione che questo blog offre.
Buona giornata,
Giuliano

Giovanni Bazzana ha detto...

Caro Giuliano,
grazie della domanda che coglie in effetti il nocciolo della questione rimasta forse un po' in ombra nel mio post.
Di fatto, la "durezza" di un maestro verso un allievo puo' essere un metodo pedagogico (soprattutto in certi contesti culturali) e cosi' appare anche in taluni passi evangelici (celebri, direi, sono certi scambi fra Gesu' e Pietro, per esempio). Su questo non ci piove.
In questo caso si tratta pero' di una vera e propria offesa (tra l'altro senza apparente giustificazione: nei passi summenzionati in cui Gesu' redarguisce e insulta Pietro, quest'ultimo ha dimostrato debolezza nella fede, ma questo proprio non si puo' dire per la siro-fenicia).
La traduzione, purtroppo, e' un grosso problema, perche' il greco kunarion viene reso con "cagnolino" e questo termine ha per noi una connotazione vezzeggiativa, che pero' era del tutto assente nell'antichita' (alcuni esegeti fanno anche il tentativo pietoso di appellarsi a questo elemento per "discolpare" Gesu', ma la cosa e' un patente anacronismo).
Ovviamente, e' importante notare che a essere trattata in questo modo sia una donna e una donna in posizione di debolezza, mentre, scusa se mi ripeto, Matteo racconta tutta un'altra storia quando il personaggio che chiede aiuto e' un uomo e un rappresentante del potere imperiale. Si tratta di un elemento di critica ideologica assai importante e infatti non e' un caso che a fare riflessioni di questo tipo sulla pericope in questione sia stata per prima una esegeta africana, Musa Dube, che ha studiato la recezione del racconto in gruppi di donne del Botswana. Non mi sorprende, ti dico francamente, che questo aspetto del racconto sfugga sia ad Agostino che a B16, visto che nessuno dei due ha un record brillante quando si tratta di attenzione per i punti di vista femminili o per le voci che non vengono dal centro dell'impero.
Ciao.

Anonimo ha detto...

Molto interessante, grazie.
Buona domenica.
Giuliano

domenico ha detto...

1) E se l'intento pedagogico non fosse rivolto alla donna ma ai suoi discepoli?
La donna arriva e chiede aiuto e Gesù tace. Solo dopo che i discepoli lo invitano a cacciarla lui parla. E' come se stesse dicendo ai discepoli: ora vi mostro perchè non la scaccio ma anzi è degna del mio aiuto.

2) solo per il fatto che è donna la definiamo in "posizione di debolezza"? rispetto a che cosa?

3) C'è un motivo certo per ritenere che il centurione non fosse di religione ebraica (un altro autore ci dice che ha finanziato la sinagoga del luogo)?

Giovanni Bazzana ha detto...

Caro Domenico,
1. Potrebbe essere. Come dicevo nel post, ognuno riempie i "buchi" del racconto come gli pare e piace (ma, in questo caso, avremmo comunque il comportamento della donna additato come esemplare: si e' degni dell'aiuto di Dio quando si accettano umiliazioni e offese alla dignita' personale inflitte dai rappresentanti di Dio?).
2. Beh, intanto perche' ha la figlia tormentata da un demonio; poi, direi, rispetto al centurione, che comanda i soldati.
3. No, se non il fatto che di solito i centurioni sono pagani (anche Lc 7:5 non implica necessariamente che il centurione sia di religione ebraica: abbiamo esempi di benefattori pagani per comunita' ebraiche).
Saluti

luca ha detto...

torno "online" dopo un anno di noviziato e sono contento di ritrovare questo blog ancora più pimpante di quando lo avevo lasciato.

sul tema:
1) l'idea che gesù si sia "convertito" riguardo alla sirofenicia non mi pare tanto balzana. se non altro, in giovanni, c'è un episodio simile, in cui viene detto esplicitamente che gesù si "stupisce" della fede del centurione.

2)le riflessioni sulla differenza di trattamento tra la donna e il centurione sono molto interessanti. forse si può ricordare anche che l'insulto "cane" non è casuale, ma è il termine spregiativo con cui gli ebrei definivano i pagani. in questa prospettiva il suggerimento di domenico, secondo il quale la pedagogia di gesù è rivolta ai discepoli, mi sembra sensato. Forse, gesù (nella versione di mc e mt) ha voluto sottolineare la marginalità della donna indicare anche come questa non sia un limite alla salvezza, visto che quello che conta è la fede.

un saluto
luca

Giovanni Bazzana ha detto...

Caro padre Luca,
e' un piacere risentirti e grazie per le parole e per il contributo.
Buono studio!

luca ha detto...

Caro Professore,
non mi dia del padre, please, visto che non sono ancora un prete, ma anche dopo, nel caso lo diventassi, francamente, eviterei...

luca andrà sempre e comunque benissimo!

luca ha detto...

girovagando per la homepage del mio ordine ho trovato questo video:

http://www.youtube.com/watch?v=bjPr8q9JXNE&feature=player_embedded

mooooolto post-moderno (e ritorna il tema della conversione di gesù).

Giovanni Bazzana ha detto...

Caro Luca,
quante belle sorprese riserva sempre l'OP (anche se questa era un tantinello anti-giudaica)!
Grazie e ciao.

P.S. Vada per Luca allora, ma solo a patto che anche tu mi chiami Giovanni...