
La settimana scorsa, alcuni blog hanno diffuso la notizia che il professor Roberto De Mattei, vicepresidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche italiano e docente di storia del cristianesimo presso l'Universita' europea di Roma, aveva rilasciato delle dichiarazioni a Radio Maria nelle quali sosteneva che il terremoto del Giappone (come anche altre catastrofi naturali) dovesse essere considerato una punizione divina per le disubbidienze umane. La reazione di indignazione ha condotto a proporre una raccolta di firme a sostegno di una petizione per le dimissioni di De Mattei dal CNR.
Il caso fornisce uno spunto interessante per riflettere sui rapporti fra religione e scienza. Non c'e' alcun dubbio che le opinioni di De Mattei siano indegne e moralmente ripugnanti, ma possono essere davvero considerate sufficienti per chiedere la sua rimozione dalla posizione che occupa presso un'istituzione scientifica come il CNR? Nella sua replica, De Mattei ha buon gioco nel ribattere che le sue convinzioni in materia di teodicea sono del tutto simili alla fede nella transustanziazione eucaristica, nel senso che esse cadono al di fuori dei confini epistemologici della ricerca scientifica. E' impossibile che la "esperienza e comprensione del mondo mediata dal metodo scientifico" possano stabilire se Dio esiste o no: figuriamoci appurare se questo essere ha voluto o meno un terremoto.
Tuttavia, penso che De Mattei dovrebbe lasciare la carica che ricopre la CNR, ma per altri motivi, che vengono in evidenza proprio nella sua apologia, pubblicata sul "Corriere della Sera". Il professore dice chiaramente che egli non puo' dare il suo assenso alle teorie darwiniane perche' obbligato dalla testimonianza della Scrittura e del magistero a credere nell'esistenza storica di una coppia di progenitori, Adamo ed Eva, da cui sarebbe derivato l'intero genere umano (incidentalmente, aggiungo che questo dovrebbe toglierci ogni senso di superiorita' nei confronti degli evangelici americani, visto che le loro posizioni piu' insostenibili si trovano pienamente rispecchiate in autorevoli esponenti del cattolicesimo italiano).
Naturalmente, questo cozza contro le opinioni della maggioranza non solo dei biblisti, ma anche dei paleontologi, degli archeologi, eccetera. Come puo' uno studioso che ha queste idee rappresentare adeguatamente un centro di ricerca che dovrebbe avere profilo internazionale? Quale rapporto di lavoro potra' stabilire con gli altri ricercatori che da lui dipendono e che, nella stragrande maggioranza, non la pensano come lui?