giovedì 13 gennaio 2011

Insegnare la fallibilita' della scienza


"Rationally Speaking", il bel blog di Massimo Pigliucci, professore di filosofia alla City University di New York, portava la scorsa settimana un post dedicato all'interessante "Problema della replicabilita' nella scienza". Come spesso mi accade, ho imparato molte cose che non sapevo da questa trattazione di Pigliucci e consiglio anche la lettura degli articoli linkati, perche' rendono ancora piu' evidente e interessante il tema (incidentalmente, raccomando anche il post piu' recente che Pigliucci ha dedicato a una critica, molto sensata a mio parere, della pubblicita' che l'associazione "American Atheists" ha diffuso negli USA e a cui ho accennato anch'io parlando di "miti").
In sostanza, Pigliucci riferisce di alcuni studi recenti che mostrano, per un numero crescente di scoperte scientifiche, problemi di replicabilita': vale a dire, quando si cerca di ripetere l'esperimento che ha condotto alla scoperta, i risultati o non si ripetono o si ripetono con significative discrepanze. Giustamente, Pigliucci definisce questo fatto sorprendente o perfino problematico. Potenzialmente, esso metterebbe in crisi tutta una certa retorica, assai diffusa e assai influente, sull'assoluta affidabilita' dei risultati di indagini scientifiche. Sono inesperto e quindi non voglio entrare nel merito della questione e delle ragioni che Pigliucci suggerisce, ma mi ha molto interessato la riflessione di Ioannidis con cui si chiude il post: "Se non parliamo al pubblico di questi problemi, allora non siamo meglio di quei non-scienziati che rivendicano falsamente la capacita' di operare guarigioni. Se le medicine non funzionano e non siamo sicuri di come qualcosa debba essere curato, perche' dovremmo affermare qualcosa di diverso? Alcuni temono che si potrebbero ricevere meno finanziamenti se smettessimo di affermare che possiamo provare che abbiamo delle cure miracolose".
Mutatis mutandis, e' lo stesso dilemma di cui discutevo recentemente con alcuni studenti di dottorato: alla prima lezione di un corso di "Introduzione al NT", con la classe piena di studenti che non sanno nulla della disciplina e che probabilmente seguiranno solo questo corso sul NT nell'intera loro vita, diremo che abbiamo certezze (per esempio, sulla questione sinottica o sul Gesu' storico) o diremo che, si', c'e' un'opinione maggioritaria, ma ci sono anche altre teorie e, alla fine, la storia e' una scienza assai parziale? Attenzione che il problema non e' solo cosa fa piu' bene agli studenti, ma va considerato anche l'interesse del docente (anche se non ci sono certo in ballo i finanziamenti delle ricerche mediche o altre cose simili): quanti studenti ci saranno in classe alla seconda lezione del professore socratico, che "sa di non sapere"? E quanto a lungo gli sara' rinnovato il contratto, se pochi o nessuno vanno a sentire le sue lezioni?

9 commenti:

Anonimo ha detto...

In sostanza, Pugliacci riferisce di alcuni studi recenti che mostrano, per un numero crescente di scoperte scientifiche, problemi di replicabilita': vale a dire, quando si cerca di ripetere l'esperimento che ha condotto alla scoperta, i risultati o non si ripetono o si ripetono con significative discrepanze.



Potenzialmente, esso metterebbe in crisi tutta una certa retorica, assai diffusa e assai influente, sull'assoluta affidabilita' dei risultati di indagini scientifiche


No,Giovanni,quello dell'assoluta affidabilità è solo un mito prodotto dalla scarsa familiarità con il lavoro dello scienziato.

Non è che una indagine scientifica di per sè sia criterio sufficiente di affidabilità,perchè entrano in ballo molti fattori.Se eè possibile (direi quasi impossibile) replicare un'esperimento con condizioni assolutamente equivalenti (compreso persino il gradi di umidità dell'aria,o la concentrazione di polveri nell'albiemete della sperimentazione) a quello che lo ha preceduto,un risultato della sperimentazione non va valutato in base alla replicabilità assolutamente esatta (al 100%),è ovvio che questo è assolutamente impossibile,è un mito per l'appunto prodotto dalla scarsa familiarità con il lavoro dello scienziato.Relativamente all'altra questione,che un risultato possa risentire di taluni fattori di sperimentazione,compreso lo stesso atteggiamento dello scienziato innanzi all'oggetto di indagine,è naturale (anzi arcinoto) aspettarsi lievi discrepanze,sopratutto nell'ambito della sperimentazione medico-farmacologico.Persino le analisi cliniche possono variare di tolleranza in base al metodo di analisi che si utilizza.

Claudio

Il Censore ha detto...

«"Rationally Speaking", il bel blog di Massimo Pugliacci,»

Ehm... si chiama Pigliucci...

Per quanto riguarda l'argomento trattato da Pigliucci, il problema pare risiedere nel modo in cui sono "stabilite" le verità scientifiche: sotto quali condizioni possiamo dire che X è la soluzione del problema Y?

Tutta una serie di biases porta a pronunciarsi a favore di una soluzione piuttosto che a favore di una non soluzione; in altre parole, le soluzioni, a prescindere da quanto siano forti, tendono ad essere sostenute molto più delle conclusioni negative.

Lo stesso problema, in fondo, che si trova alla base del dilemma del professore socratico di cui parla lei.

Saluti.

Tanzen ha detto...

Il dubbio vende. Vende un sacco. Insinuare dubbi (specie in una materia come la religione che, di per sé, si pone come una disciplina che non ammette critica alcuna) solitamente cattura gli studenti più che far loro credere di sapere tutto e di essere lì solo per trasmettere una serie di nozioni nell'ambito del rapporto maestro-discepolo.
Un buon metodo didattico che sia anche accattivante penso debba prevedere l'esposizione di una o più tesi/interpretazioni entro le quali spingere a forza gli studenti per poi guidarli in una critica razionale. Alla fine nessuno se ne andrà senza essersi fatto una opinione - possibilmente sorretta da valide argomentazioni - della questione: del resto anche il non avere una opinione è, in fondo, una opinione.

Anonimo ha detto...

Una teoria è scientifica se è falsificabile, questo sosteneva Karl Popper. Non tutti sono d'accordo con Popper, ma vedendo le cose così ovviamente in ambito scientifico la verità assoluta non esiste e mai esisterà. Il sapere scientifico è un sapere ipotetico. Si lavora e procede sempre e solo per ipotesi da verificare e confutabili, non con certezze assolute.
Una teoria è sempre solo più o meno probabile rispetto ad altre, ma mai certa e definitiva.
Il tentativo di replica nella scienza non è un'opzione, ma un obbligo e un dovere.
Ciao, Elijah

Anonimo ha detto...

La cosa migliore quando si parla di scienza è provare a come effettivamente gli scienziati nella vita reale applicano il metodo scientifico nel loro lavoro quotidiano e soprattutto conoscere la storia effettiva delle scoperte scientifiche nelle varie epoche.

Si scopriranno in tal modo un sacco di eventi sorprendenti, teorie un tempo considerate scientifiche a tutti gli effetti (il fluido calorico di Lavoisier, l'etere di Maxwell, l'atomo di Thomson...) oggi sono state fatte sparire dai libri di fisica relegandole nelle eventuali cenni storici. Viceversa ipotesi ritenute per molto tempo vicine alle superstizioni come la deriva dei continenti di Wegener e le forze gravitazionali agenti a distanza di Newton (ritenute dagli scienziati cartesiani proprietà inosservabili al pari degli angeli) oggi sono scienze insegnate in ogni università del mondo.

Che insegnamento possono trarre dunque gli studiosi di scienze umanistiche (come storia, antropologia, sociologia...) dal metodo che utilizzano gli scienziati della natura? Che certo i dati sono sempre parziali e interpretabili in modo vario, ma esisteranno sempre interpretazioni più convincenti di altre.

Di solito infatti le teorie più vincenti rispetto alle altre soddisfano due criteri: il principio del rasoio d'Occam (una teoria è migliore di un'altra se spiega gli stesse fatti con un minor numero di elementi di teoria) e il principio di ragion sufficiente (una teoria è migliore di un'altra se c'è un maggior numero di fatti a cui si riesce a dare ragione del loro accadimento). Naturalmente questa è la mia impressione da persona non addetta ai lavori fino in fondo, mi piacerebbe sapere da uno storico come Giovanni se ritiene che questi due criteri siano i più frequenti per far convincere di più certe teorie di ricostruzioni storiche sono più probabili rispetto ad altre.

Ciao.
Michele

Giovanni Bazzana ha detto...

Oops.
Grazie Censore per la correzione (devo avere spalato troppa neve...)

Giovanni Bazzana ha detto...

Cari Claudio e Censore,
grazie delle riflessioni: come scrivevo, non voglio entrare nel merito del punto sollevato da Pigliucci (right!), perche' non sono competente. Come confermano anche i vostri interventi, i ricercatori nei vari settori delle scienze naturali sono piu' che consapevoli dei limiti metodologici e epistemologici delle loro discipline. La cosa mi conforta, perche' onestamente non posso dire lo stesso del mio campo, nel quale regna ancora un positivismo in molti casi indisturbato.
La domanda del post era pero' piu' rivolta alla questione del rapporto fra "esperti" e "non adetti ai lavori" (per questo facevo l'esempio di un corso base e non di un seminario per studenti di un livello avanzato). In questo senso, penso che ci sia chiaramente una "postura" retorica che sembra debba essere mantenuta per assicurare autorevolezza e privilegi all'esperto.
Ancora una volta, questo e' certamente vero per la mia disciplina e spesso si assomma, in modo complicato (e, secondo me, pernicioso) alla questione del rapporto fra storia e teologia. Ho la sensazione, tuttavia, che (parlando, questa volta, da "non addetto ai lavori") lo stesso sia vero anche per le scienze naturali. Basta pensare a come erano concepiti i manuali che utilizzavo al liceo o basta guardare uno dei cosiddetti programmi "di divulgazione scientifica" alla televisione.
Saluti

Giovanni Bazzana ha detto...

Caro Tanzen,
ok, anche a me piace il dubbio (si vede che la scuola e' la stessa...), ma vorrei fare una domanda da avvocato del divolo.
Seguendo lo stesso principio, chiederemo al professore di biologia di presentare l'evoluzione e il creazionismo come due tesi/interpretazioni ugualmente accettabili?
Ciao

Tanzen ha detto...

Bella domanda. Mi sentirei di rispondere in chiave prettamente "statistica": la tesi creazionista non ha, che io sappia, elementi scientifici utili da porre sul tavolo ed anzi ha una serie di dati tangibili che hanno demolito le prime formulazioni della teoria creazionista (quando si diceva, fino a pochi decenni fa - e in alcune parti degli USA lo si dice ancora... - che il mondo ha 6000 anni).
La tesi evoluzionista ne ha decine, tutti liberamente consultabili e logici.
Il buon docente, credo, dovrebbe fare un accenno anche alla teoria creazionista sottolineandone però le enormi vulnerabilità rispetto a quella evoluzionista e, alla fine, propendere di conseguenza per quest'ultima.
Per la storia del cristianesimo - ma ancor più per una teologia aconfessionale - il discorso è simile e diverso allo stesso tempo.
Non abbiamo alcuna "prova" diretta dell'esistenza storica di Gesù (ma manco di Cesare, se per questo). Le "fonti" sono scientificamente ritenute "viziate" o, quantomeno, assai poco imparziali. Si è sprovvisti di fonti non alterate o non sospette che parlino di Gesù ecc ecc. Insomma, i dati in nostro possesso sono pochi, spessissimo inaffidabili e per la maggior parte prodotti e riprodotti decenni dopo gli eventi da personaggi che non assistettero agli eventi. Su questi testi, inoltre, le interpolazioni sono numerose.
Mi viene quindi molto più facile sostenere che, nel caso di queste discipline, il dubbio sia più "legittimo" e più "spendibile" che in quelle scientifiche.
Se non ci accorda che 2+2=4 non si potrà mai fare una discussione di matematica tra due persone. Se non ci si accorda che Gesù fosse il Messia si potrà invece discutere proficuamente di storia del cristianesimo.
Spero di essere riuscito a farmi capire...