domenica 20 febbraio 2011

Cosa cercare in una predica?


Alcuni giorni fa sono stato a cena con alcuni colleghi e poi ho chiaccherato un po' con uno di loro sulla via verso casa. Il collega in questione si occupa di una religione non cristiana, ma al tempo stesso e' anche un sacerdote cattolico: quando siamo scivolati a parlare di lavoro, io gli ho detto che sto insegnando un corso sul Vangelo di Matteo e lui si e' mostrato interessato, perche' gli capita spesso di predicare su passi di Matteo in queste domeniche dell'anno liturgico.
Mi ha quindi raccontato di aver recentemente commentato i versetti del "discorso della montagna", in cui Gesu' proibisce il divorzio (Mt 5:31-32). Mi ha detto di aver sottolineato come il testo in effetti non usi il termine "divorziare", ma piuttosto qualcosa che suona come "buttare via": questo vorrebbe dire che Gesu' non intendeva condannare tanto il divorzio in se' quanto un atteggiamento di scarso rispetto nei confronti delle donne. Al mio collega premeva mettere l'accento su questo punto, perche' sapeva che nella sua comunita' ci sono molte persone divorziate e non voleva essere troppo duro.
Devo confessare di essere rimasto senza parole: il termine che viene usato nei due versetti in questione (apoluo, in greco) e' infatti un vocabolo che ricorre sistematicamente nei documenti per indicare tutte quelle occasioni in cui un contratto e' reso nullo o un certo rapporto viene legalmente interrotto (ad esempio, quando un soldato viene congedato). Questi dati inducono a ritenere che, anche nel passo di Matteo, il verbo sia usato con il suo senso tecnico legale, per indicare proprio il "divorzio" e non metaforicamente una scarsa attenzione per le esigenze delle donne. Anzi, se si ritiene (come fanno molti) che questo comando derivi dal Gesu' storico, la formulazione di Mt 5:32 denota tutt'altro che attenzione per le esigenze delle donne, quali soggetti deboli in tutti i casi di divorzio nell'antichita'. Nel contesto della societa' antica, la proibizione di sposare una donna che abbia subito un divorzio o una separazione avrebbe creato una massa di donne abbandonate e quindi prive di qualunque sostegno sociale ed economico, ma a cui Gesu' proibirebbe di dare o di trovare assistenza nel modo socialmente piu' accettabile e naturale.
Come detto, sono rimasto senza parole di fronte al fatto che un intero dibattito storiografico rimanesse ignorato e che, al contrario, venissero presentati come dati storici elementi che non lo sono affatto. Cio' mi ha sorpreso tanto piu' in quanto veniva da una persona la cui competenza, in un altro campo, e' degna del massimo rispetto. Non voglio pero' dire che questo sia un caso isolato: purtroppo, e' cosa che si tocca con mano quasi ogni domenica.
Qualcuno mi ha ricordato (e sono d'accordo nella sostanza) che le prediche domenicali non sono adatte per fare lezioni di storia e che le aspettative sono ben altre, ma e' proprio questa la domanda a cui non so dare risposta: quali sarebbero, dunque, queste aspettative? Nello specifico, io approvo quello che il collega cercava di comunicare al suo uditorio, ma c'era bisogno di proporlo come dato storico (e a prezzo di massacrare la storia)? Esistono metodi alternativi e altrettanto efficaci?

5 commenti:

Tanzen ha detto...

Caro Giovanni, metodi alternativi ne esistono. Dubito però abbiano qualche efficacia.
Il tuo amico stava predicando, indi parlava dal pulpito, parlava come autorità religiosa che, al fedele, dovrebbe apparire quasi come una suprema corte in grado di dare l'interpretazione autentica delle leggi.
"Interpretare" a quel modo il termine "divorzio" lo metteva in condizione di andare incontro ad una realtà sempre più frequente in una ecclesia (assemblea dei fedeli) sempre più distante dal dogma della Ecclesia (istituzione). Si ritorna sempre al solito problema delle religioni: l'inamovibilità, almeno in principio, dei dettami divini frutto di una rivelazione. Da storico sai fin troppo bene come questi dettami sia contestuali ad un dato clima religioso, ad una data area geografica, ad usi e costumi del tempo ecc ecc. Su alcuni si è nicchiato e oggi i cristiani mangiano crostacei che è una meraviglia nonostante l'AT li mettesse al bando. Per altre cose invece si è scelta l'inamovibilità. Per altre, anche peggio, si è scelto di "adattare" i contesti usando un insegnamento di 2000 anni fa per spiegare un qualcosa che al tempo non esisteva o non si poteva nemmeno immaginare.
L'efficacia della predica del tuo amico sacerdote risiede nell'andare incontro alle esigenze, non ai desideri, dei fedeli. Fedeli che, sinceramente, faticano a credere di dover essere esclusi dalla Comunione in ragione di un divorzio dei quali non si sono "pentiti" mentre pluriomicidi "pentiti" o (ogni riferimento non è casuale) immondi puttanieri divorziati ma ora non più ufficialmente pubblici concubini possono invece avervi accesso.
Il tuo amico sacerdote si è trovato a scegliere tra la rilettura funzionale della storia per esigenze attuali e la riproposizione di una storia che oggi non riesce più a dare risposte che non siano condanne e messe al bando. Il suo gesto è sbagliato per gli addetti ai lavori. Terribilmente umano per i fedeli.

Anonimo ha detto...

Per ciò che concerne la tematica della vita famigliare credo che ci si possa trovar di fronte al distacco maggiore tra esigenze della ricostruzione storica ed esigenze pastorali.
Oltre alle omelie (che non ne trattano frequentemente) ci sono i corsi prematrimoniali, in molte diocesi italiane obbligatori per accedere al sacramento nuziale. In una qualunque libreria confessionale si possono trovare decine di manuali per tali corsi o per la pastorale famigliare in cui viene esposto punto per punto come Gesù "vorrebbe" che si svolgesse la vita di coppia, con abbondanza di citazioni vetero e neotestamentarie.
Posso ben riconoscere eticamente validi molti dei principi di siffatta pastorale. Ma dal punto di vista storico è dura da mandare giù. Le pastorali famigliari chiudono completamente gli occhi sul fatto che i vangeli testimonino di un Gesù certo non misogeno, ma perlomeno "altero" e "insensibile" a certe problematiche (e in ciò deve essere stato un ebreo sui generis, forse anche per questo era antipatico a molti). Nel corso dei secoli invece le istituzioni ecclesiastiche (in forza della loro missione che si è voluta "universale") hanno accolto e rimodellato svariate esperienze più o meno formali dal punto di vista giuridico (istituzinalizzazione del padrinato, tolleranza degli sponsali, possibilità di dispense, per non parlare dei diritti feudali...) utilizzando le citazioni evangeliche spesso come mero strumento atto a legittimare l'istituto storicamente determinatosi.
Il problema, forse, è che le chiese hanno via via concepito il proprio ruolo come necessariamente destinato ad abbracciare tutti gli aspetti della vita di una persona e di una società. E di conseguenza i fedeli si sono aspettati (e si aspettano) risposte per tutti gli ambiti della propria esistenza, vita famigliare inclusa. E' questa missione colossale (e la corrispondente aspettativa) che non si vuole tradire. Chi ne paga il prezzo è in certi casi la storia (non vorrei mai trovarmi dalla parte della Missione ché soffrirei come il grande inquisitore dei Karamazov...). Se si iniziasse a cedere alle esigenze del metodo storico comincerebbero a scricchiolare troppe fondamenta dell'edificio frutto di secoli di tradizioni. E poi?
Etienne

Tanzen ha detto...

L'osservazione di Etienne è pertinente e più che fondata. Ritengo tuttavia che ormai, in seno alla società cristiana, fatta eccezione per gli spiriti più vicini all'integralismo - intendo una adesione completamente acritica alla Parola che bypassa la ragione in ogni decisione: quelli che pregano invece che portare il figlio in ospedale per la chemioterpia, per capirsi... -, si stia producendo uno iato incolmabile che vede l'adesione di facciata ad una data way of life pubblica con rivendicazione, nel privato, della totale libertà di scelta anche, e soprattutto, a discapito dell'insegnamento cristiano in materia di famiglia e di sessualità.
I giovani fanno sesso prima del matrimonio, convivono, spesso hanno figli e la cosa non è da loro vista in contrasto con la loro esperienza di fede NONOSTANTE la Chiesa gli ricordi che invece lo è. In questi contesti la Chiesa ha perduto ogni forma di autorità morale (nessuno si confessa per essersi masturbato o per aver fatto l'amore con la fidanzata e ormai la maggior parte dei sacerdoti hanno come "lasciato perdere" su queste cose: non le domandano nemmeno più). Del resto la ragione, ed il portafogli, sembrano avere molto più appeal per i giovani intenzionati a procreare. La condanna della contraccezione, fatta eccezione per gli integralisti di cui sopra, è vissuta con indifferenza dalla stragrande maggioranza dei cristiani che vi ricorre senza problemi di coscienza. "Andate e moltiplicatevi" funzionava in un mondo spopolato con miseria e malattie che si portavano via 1 figlio su 2 prima dei 6 anni e 1 su 3 tra i 6 ed i 20. Oggi questo comandamento, unito al divieto di contraccezione, provocherebbe il collasso ambientale e demografico del pianeta in pochi anni: potenza della moltiplicazione. La Chiesa questo lo sa bene eppure finge di non considerarlo perché troppo difficile e imbarazzante sarebbe, su questo tema, così delicato per il misogeno clero cattolico, rimangiarsi la Parola. Meglio quindi spingere verso la catastrofe certi - ne siamo sicuri? (i ragazzi del mio gruppo, in oratorio, mi hanno risposto, al 95%, di NON credere che Cristo tornerà in terra nel lasso temporale della loro vita: ciò significa solo l'aver perso la fede nella Parusia, non altro)- che Gesù tornerà prima e andremo tutti in un posto migliore. Io preferisco dare ragione a Faber, "Non disperdere il seme, feconda una donna ogni volta che l'ami, così sarai uomo di fede. Poi la voglia sparisce ed il figlio rimane, e tanti ne uccide la fame, forse ho confuso il piacere e l'amore, ma non ho creato dolore".

Anonimo ha detto...

Il problema dello iato tra norme canoniche e prassi dei fedeli è oggi particolarmente evidente riguardo quanto scritto da Tanzen. Ma onostamente è una questione vecchia quanto le chiese: ci sono numerosissimi casi, non solo riguardanti precetti catechetici e diritto canonico in cui i vertici delle chiese hanno ignorato la distanza tra realtà e regolamentazione o finzione giuridica, considerando quest'ultima davvero decisiva.
Per secoli le donne hanno mantenuto la verginità preconiugale (ma in questo caso la predicazione ecclesiastica non ha fatto che corroborare e adeguarsi ad una prassi largamente diffusa in quasi tutte le società antiche) ma per gli uomini il discorso è stato notoriamente diverso. Fermo restando che il matrimonio come "sacramento" nacque nl corso del Concilio di Trento (1545-1563), alcuni episodi sono testimoniano eloquentemente la atavicità di tale iato, seppure in ambiti non sempre identici: in passato, in larghe parti della cristianità si tollerava "una prova", per cui al fidanzamento (sponsale) seguiva un tentativo di fecondazione che, se fallito causa infertilità, poteva esser seguito dal ripudio leggitimo da parte dell'uomo (nella diocesi di Oristano il S. Uffizio intervenne contro il vescovo a inizio '900 mettendo fine a secoli di tolleranza di tale arcaica e per quelle società comprensibile prassi). A fine '500 nel Regno di Castiglia l'inquisizione di Toledo condusse una vera e propria proganda per spiegare ai giovani hidalgos che consumare rapporti con prostitute costituiva peccato (e in certi verbali traspaiono le risposte attonite dei cavalieri i quali spiegavano ai chierici che non si trattava di adulterio ma di prestazioni regolarmente pagate).
Questa lunga parentesi per dire che, se ho ben inteso il post, l'accento andrebbe posto non tanto sui contenuti della pastorale famigliare e sulle discrepanze tra teoria e prassi, quanto piuttosto sulla legittimità di tale pastorale: alla luce dei sempre parziali risultati del metodo storico critico si può continuare a ricondurre a Gesù una sì ampia gamma di insegnamenti? Si può sostenere che Gesù si sia realmente interessato a certe questioni? Pastorale minimalista o massimalista?
Etienne

Tanzen ha detto...

Credo che quello sollevato da Etienne rappresenti il vero problema del ricorso al cristianesimo quale strumento ermeneutico per la comprensione della quotidianità e lo sviluppo di una morale universale.
E' un problema comune a tutte le religioni rivelate che hanno visto la "chiusura" della rivelazione. Il problema è che la Rivelazione è rimasta indietro rispetto ai tempi. I problemi di oggi non sono gli stessi di 2000 anni fa e i poveracci di quel tempo non potevano nemmeno lontanamente pensare che l'uomo sarebbe arrivato a cose come la fecondazione eterologa o la clonazione di organi e tessuti da trapiantare. Sono tutti "problemi" ai quali la Rivelazione chiusa con il Canone non può rispondere a meno di interpretazioni di quanto scritto da parte di una autorità autoproclamatasi tale o che finge di trovare nelle Scritture le prove di una esclusiva per questa missione.
Se a ciò aggiungiamo il fatto che noi supponiamo solo ciò che sia stato detto da Gesù non possiamo fondare con certezza alcun insegnamento morale al nazareno né pensare seriamente che il suo presunto insegnamento possa offrire risposte convincenti a tutti i problemi dell'uomo contemporaneo.
Paradossalmente sembra quasi che gli eretici di un tempo, in primis Montano, avessero forse già colto, alla lontana, il problema e che il loro annuncio di una Rivelazione profetica permanente servisse proprio ad impedire che la fossilizzazione della Legge ne provocasse la sua caduta per incapacità manifesta di dare risposti ai problemi dell'esistente.
In tutto questo il sacerdote del post compie una azione sbagliata dal punto di vista storico e probabilmente anche "cattolico" ma nel suo gesto io credo si debba leggervi il grido di disperazione di un chierico consapevole del fatto che la Scrittura necessiti di nuove interpretazione che la pongano in grado di offrire conforto alla gente di oggi e soluzioni ai suoi problemi. Queste interpretazioni finiscono ovviamente per essere libere e senza controllo dando vita, in un certo senso, ad una nuova fase di profetismo ermeneutico in cui si rilegge l'antico per dare vita al nuovo: non si producono nuovi testi ma semplici nuove interpretazioni che, nei fatti, se non risultano nuovi scritti nei fatti producono nuove tesi che annullano quelle precedenti.
Credo che, sotto sotto, il sacerdote stia cercando di evitare che la sua religione scompaia per incapacità di dare risposte all'oggi sulla base di istanze maturate due millenni addietro. E' il vunlus della religione rivelata: si condanna non all'universalità ma alla vetustà. E prima o poi, nonostante i lifting, i punti cedono e tutto collassa: basta vedere la faccia di Berlusconi.