martedì 4 gennaio 2011

Paolo De Benedetti e l'asina di Balaam


Nella puntata di "Uomini e profeti" precedente il Natale, Paolo De Benedetti, professore di Giudaismo alla Facolta' teologica di Milano, ha commentato i capitoli conclusivi del libro dei Numeri e, in particolare, il famoso episodio dell'asina di Balaam che si legge al capitolo 22. La storia e' assai piacevole e il commento di De Benedetti a tratti assai fine: quindi, consiglio a tutti di ascoltarla, se potete scaricare il podcast.
Tuttavia, vorrei scrivere due parole di commento su quanto De Benedetti dice proprio all'inizio della puntata, quando la conduttrice, Gabriella Caramore, lo invita a esprimere un giudizio sulla serie di letture bibliche fin qui offerte da "Uomini e profeti". De Benedetti risponde che meglio non si potrebbe fare e quindi snocciola una serie di "regole" che dovrebbero guidare la corretta ermeneutica biblica. Si tratta, sorprendentemente, di una piccola lezione di metodo storico-critico in tutto simile a quella che il mio maestro ripete sempre agli studenti alle prime armi (prima di tutto critica testuale, poi critica redazionale e delle forme e, per finire, critica letteraria). Dico sorprendentemente perche' pochissimi degli ospiti di "Uomini e profeti" hanno seguito un approccio storico-critico: anzi, molti lo hanno esplicitamente rifiutato. Ma tutto risulta piu' chiaro non appena De Benedetti comincia a commentare.
Come sapete, la storia comincia con il re dei Moabiti, Balak, che si preoccupa per l'arrivo degli Israeliti. De Benedetti ci dice che si tratta della stessa ingiustificata preoccupazione che si prova oggi nel nostro paese per l'arrivo degli immigrati. Metodo storico-critico? Abbiamo qui un esempio della piu' tradizionale esegesi moralistica. A voler essere attenti ai dati testuali sarebbe stato sufficiente guardare la versetto 22:2, dove si dice che Balak vide cosa gli Israeliti avevano fatto agli Amorrei. Subito prima, alla fine del capitolo 21, ci e' stato detto che Israele ha passato a fil di spada il re degli Amorrei, ha cacciato tutti gli abitanti dalle loro citta' e ha occupato tutto il loro territorio: magari Balak non aveva tutti i torti ad essere un po' in apprensione.
De Benedetti continua dicendo che i Moabiti, come noi, non si rendono conto che gli Israeliti/immigrati sono a tutti gli effetti uguali a loro, perche' discendono da Lot, parente di Abramo. La "genealogia", continua De Benedetti, era usata, non solo nella Bibbia e non solo nell'antichita', per riscoprire questa unita' altrimenti offuscata. Stabilire con quali "intenzioni" siano usate certe "forme" letterarie e' un grosso problema del metodo storico-critico e lo si vede bene nel caso della "genealogia". Certamente le genealogie stabiliscono un'unita' originaria, ma sono anche usate per indicare la superiorita' di un popolo (nella Bibbia, sempre Israele) sugli altri. Che gli Edomiti discendano da Esau' serve soprattutto a mostrare che essi sono inferiori ai discendenti di Giacobbe, viste le figure che Esau' fa nella Genesi; allo stesso modo, il fatto che i Moabiti discendano dall'unione incestuosa di Lot con le sue stesse figlie (Gn 19:30-38) non serve certo ad aiutare la loro causa.
De Benedetti concludera' la puntata dicendo che i passi violenti della Bibbia vanno superati perche' il testo biblico "cresce" con i suoi lettori e con la loro "evoluzione" morale: se le cose stanno cosi', che bisogno c'e' di stabilire un testo critico? Non ci basterebbe l'ultima traduzione della CEI?

1 commento:

Anonimo ha detto...

Sempre interessante l'argomento del risalire il più possibile vicini al significato e alle funzioni originarie che ha un testo. Tale argomento tiene occupati non solo gli studiosi dei testi biblici ma più in generale ogni studioso di lettere e di storia.

Un problema ben noto oltre che nei letterati anche in tutti i traduttori è come far sì che il lettore di oggi provi le stesse reazioni che avevano i primissimi lettori di quello stesso testo.

Il metodo storico-critico come è noto ha il compito di avvicinare il lettore all'autore e all'epoca e ambiente in cui è stato scritto, cosa ovviamente possibile fino a un certo punto però, altrimenti non si capirebbe perchè ci siano così tante interpretazioni così differenti delle tragedie di Shakespeare o delle operette morali di Leopardi (e queste ultime come dice il titolo hanno anche un carattere di un insegnamento normativo e morale, come dovrebbero averlo testi biblici). Io personalmente preferisco usarlo il più possibile e trovo molto strano che in varie bibbie non si scriva ad esempio che è ormai assodato che fino a Giosia e Geremia l'idolatria eil politeismo in Israele non era l'eccezione bensì la norma (e tale dato storico-critico non contraddice certo l'ispirazione della Bibbia, come dicono certi letteralisti protestanti, dato che la progressività della rivelazione, cioè che i primissimi ebrei non avevano tutte le conoscenze in religione dei contemporanei di Gesù, è da sempre parte della dottrina cristiana).

Dato che il metodo storico-critico ha dei limiti (non possiamo in modo positivistico arrivare al "vero" senso div quei testi) è inevitabile che qualche letterato provi ad "avvicinare il testo al lettore" (anche a costo di allontanarsi molto dal senso originario)che però chiaramente è enormemente dipendente dal tipo di lettori a cui "avvicinare" il testo e naturalmente meno si utilizza il metodo storico-critico più si è costretti a utilizzare questo secondo metodo, che a volte più che soggettivo diventa quasi arbitrario.

Ciao.
Michele