venerdì 31 dicembre 2010

Verbum Domini III: Bibbia ebraica


La Verbum Domini dedica un'attenzione tutta particolare all'esegesi della Bibbia ebraica (o Antico Testamento, come si continua ancora a ripetere). Diversi paragrafi sono dedicati alla questione dell'unita' fra i due Testamenti (39-41) e si cercano di conciliare le due visioni del NT come "compimento" dell'AT e dell'AT come dotato del suo "valore inerente di rivelazione". Non c'e' dubbio che la soluzione di tale tensione sia perseguita in buona fede (43), ma alcuni elementi inducono a dubitare dell'efficacia dei risultati. Per esempio, il fatto che questa trattazione "incornici" un paragrafo (42) che discute i passi "oscuri" della Bibbia pare scelta infelice: si puo' avere l'impressione che episodi "violenti e immorali", bisognosi di accurata contestualizzazione storica, si trovino solo nell'AT, mentre quelli del NT (si pensi agli immensi bagni di sangue dell'Apocalisse) sono passati sotto silenzio.
In realta', al fondo si trova un piu' generale problema ermeneutico: il paragrafo 41 invita a leggere l'AT in chiave tipologica, che sarebbe "un procedimento intrinseco agli eventi del testo sacro" e come tale e' stato compreso ed utilizzato da secoli di esegesi cristiana. Tuttavia, altrove (35) Ratzinger aveva messo in guardia contro il rischio si revocare in dubbio la storicita' di eventi quali l'istituzione dell'Eucaristia o della resurrezione di Cristo. Questo non puo' che configurarsi come un doppio standard in cui l'AT e' decisamente subordinato al NT.
Tale concezione ha indubiamente una radice nella teologia di Ratzinger: in questo contributo apparso su Religion Dispatches (che invito a leggere per intero perche' estremamente interessante), Kevin Spicer, professore di storia allo Stonehill College, richiama un significativo passo del libro-intervista "Luce del mondo". La' il papa dice di aver modificato la famosa preghiera per la conversione degli Ebrei "in modo tale che essa esprima la nostra fede che Cristo e' il salvatore di tutti, che non ci sono due canali di salvezza, cosicche' Cristo e' anche il redentore degli Ebrei e non solo dei Gentili". Spicer fa giustamente osservare che Ratzinger possiede una mente accademica, esercitata a notare sottili sfumature e distinzioni. In questo caso, il netto rifiuto di accettare la possibilita' che esistano "due canali di salvezza" pare proprio un modo di rispondere ad alcuni teologi e biblisti (parte della cosiddetta New Perspective on Paul) che, negli ultimi 50 anni, hanno riletto Paolo in questo modo arrivando a sostenere che l'apostolo dei Gentili era proprio questo, un apostolo che si rivolgeva ai soli Gentili, lasciando intatto il valore della Prima Alleanza stretta da Dio con il popolo ebraico. Non mi pronuncio sui meriti storici di tale posizione, ma mi pare chiaro che essa sia l'unica che possa onestamente evitare il supersessionismo (o anche qualcosa di peggio) cristiano nei confronti del giudaismo.
Update (11/01/2011): L'ultima frase del post puo' apparire ambigua, come mi e' stato fatto notare sul bel blog "Paulus 0.2". Ho risposto nei commenti cercando di spiegare come la penso.

12 commenti:

Tanzen ha detto...

"Cristo è il Salvatore di tutti e non ci sono due (o più, nota mia) canali di salvezza".

Quanto discutere con amici cattolici su questo tema! La cosa paradossale è che il non credente, il sottoscritto, risultava più "Cristocentrico" di loro. Io sostenevo che, alla luce della loro dottrina, solo la fede in Cristo, e le opere conseguenti, derivanti comunque da un impianto morale fondato sull'etica ed i comandamenti cristiani, possono portare - non assicurare - la salvezza. Loro mi rispondevano di no: anche un buddhista, se brava persona, si sarebbe potuta salvare. Anche io mi potrò salvare! (speriamo...)
In effetti, sul piano logico, il Cristocentrismo salvifico sembra porsi in contrasto con l'ideale di un Dio misericordioso e buono che, dinanzi al poveraccio eschimese che mai ha sentito parlare di Vangeli, Apostoli e Cristi, mosso da com-passione si presume si muoverebbe in favore della persona non cristiana ma comunque "buona". La fede in Cristo sarebbe quindi un accessorio nemmeno sufficiente a garantire la salvezza, tantomeno una necessità in vista della stessa. In tal modo, sempre logicamente, il Dio Buono renderebbe inutile, superflua, la fede cristiana preferendole le opere e l'etica "universale" (probabilmente legata ai Comandamenti mosaici e a quelle norme ritenute universali).
Mi ha sempre incuriosito questo processo di compassione e misericordia cristiana che porta molti dei suoi fedeli a disconoscere la propria dottrina in ragione della salvezza dell'altro. E' uno dei lati più belli del cristianesimo: dare la propria fede dottrinale - perché nei fatti è picconare la dottrina nella quale si afferma di credere - per la salvezza dell'altro. Peccato si noti così poco...

Anonimo ha detto...

Nello sviluppo storico della dottrina della salvezza nel cattolicesimo negli ultimi 150 anni mi pare risaltino due elementi: uno di relativa discontinuità ed uno di continuità. Quello di discontinuità riguarda proprio la salvezza. Prima si proclamava il motto "extra ecclesia nulla salus", e si predicava di conseguenza la dannazione per i non battezzati ed il limbo per gli infanti morti senza battesimo. Qualcosa è cambiato con il decreto "Ad gentes" e con la costituzione "Lumen gentium" dove si riconosce la presenza di elementi di verità e grazia pure in altre confessioni, religioni e tradizioni. Dopo questa presa di posizione conciliare fu modificato anche il Catechismo della C.C. Nell'ultima edizione del 2005 è scomparso il termine Limbo ed è affermato che i bambini morti senza battesimo sono affidati alla misericordia divina, mentre possono essere salvati anche quegli adulti che, senza conoscere la Chiesa, si sforzano di agire rettamente (riassumo dai paeragrafi 1258-1261, 1281-1283).
Senza dubbio varie contingenze storiche e culturali hanno condotto a questi parziali cambiamenti.
La vera ed a mio avviso decisiva costante riguarda la dimensione "ecclesiocentrica" (più che cristocentrica) della salvezza. Dalle affermazioni magisteriali si evince che la salvezza non è dischiusa ai non battezzati che agiscono rettamente; ma i criteri per valutare la rettitudine di questo agire permangono appannaggio della Chiesa di Roma (e non risiedono dunque nella ragione o in altri ambiti). Questo è il vero elemento di continuità. Esso non riguarda solo gli ultimi due secoli, ma è una di quelle caratteristiche della Chiesa romana definibili "di lungo periodo": a livello magisteiale le autorità eccesiastiche (non solo il papa, ma anche precedentemente i concili e poi i dicasteri, etc) hanno prodotto una quantità numerosissima di posizioni, talvolta non coincidenti tra loro e influenzate dai differenti contesti. Ma si è sempre salvaguardato il ruolo del "vertice" nello stabilire cosa recuperare di volta in volta dal grande (e spesso "provvidenzialmente" confuso) calderone della Tradizione. In base a cosa? Alla ragionevolezza, alla "aequitas" canonica e, in fondo, anche alla convenienza: per riottenere la liberazione di alcuni prigioneri Gregorio VII non esitava ad affermare, nell'epistola al re musulmano Anzir di Mauritania (1076), che i due veneravano quello stesso Dio biblico che avrebbe condotto nel seno di Abramo anche il monarca islamico, qualora questi avesse agito rettamente, ovvero avesse restituito i prigionieri (Epistola XXI). Anche le posizioni espresse nella Dei verbum di Benedetto XVI mi pare vadano ricondotte al citato ecclesiocentrismo.
Saluti,
Etienne

Anonimo ha detto...

A Tanzen: l'affermazione "extra ecclesia nulla salus" mi risulta che non sia mai stata intesa nel senso "solo chi è battezzato ha la possibilità di accedere alla salvezza". Già nel I secolo Giustino Martire, nella sua Apologia affermava che al di fuori della rivelazione divina agli ebrei e al di fuori del messaggio di salvezza portato da Gesù, Dio si può rivelare e si era rivelato, seppur in modo parziale ai pagani mediante i "semina verbi". L'esistenza di vie misteriose e nascoste che potevano portare alla salvezza i pagani ignari del messaggio cristiano mi sembra che in ambito cattolico non sia mai stata dunque negata. Al massimo c'era qualche dubbio riguardo solo al destino dei bambini morti prima dell'età della ragione senza battesimo, ma è comunque scorretto vedere nel limbo una loro dannazione, semplicemente era solo una condizione "ai limiti della saggezza".

Tutt'altra cosa è invece affermare l'indifferentismo, ovvero che "ogni religione è ugualmente buona e quindi non criticabile" e affermare ad esempio che certe religioni americane precolombiane che praticavano sacrifici umani sono di valore salvifico equivalente a tutte le altre.

Certamente è chiaro che si è meno disposti a criticare la propria visione religiosa piuttosto che quelle altrui ma questo è un atteggiamento certo non solo limitato alla chiesa cattolica. La visione ecclesiocentrica (se intesa nel senso non di "comunità dei fedeli" ma di "autorità delle gerarchie cattoliche romane") mi sembra poi non proprio quella più conforme alle origini cristiane, dato che (senza necessariamente affermare il "solus Christus") ancor prima delle fede nelle autorità e della fede nella propria comunità dei fedeli (spesso in opposizione alle altre) ci si basa in una fede in una persona mediante la quale Dio si rivela dando valore secondario a norme astratte. Il cristocentrismo può essere inteso quindi non come "chi dice che ha fede nella persona chiamata Cristo che insegna la chiesa è salvo" ma "chi ha fede non in un Dio lontano e fatto di astratte e rigide norme e formulazioni ma in un Dio persona concreta la cui relazione si basa sull'esperienza pratica e personale, allora questa è la strada per la salvezza".

Tutto questo naturalmente senza ovviamente evidenziare che tutte le altre religioni siano tutte legaliste o abbiano fede in un Dio lontanissimo e astratto, semmai bisognerebbe evidenziare i punti in comune che queste religioni hanno con la propria e magari evidenziare alcuni valori positivi che la propria religione ha poco sviluppato e che può scoprire dalle altre (ad esempio il valorizzare la natura e gli animali senza renderli solo mezzi per l'uomo, concetto tipico di certi pensieri orientali e spesso poco presente nell'occidente cristiano, anche se anche non mancano eccezioni come Francesco d'Assisi). Insomma, dare valore alla propria strada, senza negare però che ci sono punti buoni anche nelle altre e punti da sviluppare nella propria.

Ciao.
Michele

Anonimo ha detto...

errata corrige: alla fine del primo paragrafo volevo dire naturalmente "ai limiti della salvezza".

Comunque sia mi risulta che visioni di pluralismo religioso nel mondo cattolico e più in generale cristiano da Giustino in poi siano sempre esistite (vedi la famosa novella medievale dei "tre anelli")senza contare poi il fatto che nei vangeli si parla di rapporti di Gesù con centurioni e la samaritana (che se non erro erano considerati veri e propri pagani, da cui l'uso che ne fa Gesù nella famosa parabola).Insomma anche mediante la storia si può vedere come certe domande sono sempre state poste ed è interessante quindi studiarla per conoscere come in passato sono state date risposte.

Ciao.
Michele

Tanzen ha detto...

La Chiesa, e ancor prima la Bibbia, ha dato più volte voce a pareri contrapposti, antitetici. A seconda del "contesto", fosse esso storico, geografico, culturale la Chiesa, o meglio alcuni suoi esponenti, hanno alle volte fermamente negato quanto affermato dai predecessori o dai successori. Nulla di male in ciò, tutto molto "umano": i tempi passano e con essi gli uomini e le loro mentalità, indi anche le idee, le interpretazioni, le regole, le etichette.
La religione però non dovrebbe sottostare al mutare dei tempi in quanto si dovrebbe fondare, agganciare, ad un nucleo di idee, norme, teorie rivelate da Dio. Norme non soggette al mutare del tempo. Principi inalterabili. Vie di salvezza universali e quindi valevoli ora e sempre.
Hai perfettamente ragione quando porti il caso di Giustino e del logos spermatikos: per il Martire un po' di salvezza era in ogni creatura umana. A tutti era quindi offerta e a tutti era quindi possibile coglierla indipendentemente dall'accettazione, o anche dalla semplice ricezione, del messaggio salvifico gesuano.
Paolo sembra pensarla in maniera diversa: " lo stesso è il Signore di tutti e spande le sue ricchezze su tutti coloro che lo invocano, e chiunque avrà invocato il nome del Signore sarà salvato". Qui mi pare che l'Apostolo non lasci troppo spazio a chi "non invochi", ergo non accetti, non creda al Cristo.
Insomma, la molteplicità delle posizioni è certamente un fatto vero ed attestato storicamente. La domanda da porsi è se questa sia un bene, una ricchezza, per la religione cristiana oppure no?
La questione si complica ulteriormente dopo che il Concilio ha stabilito l'infallibilità pontificia in materia di fede: l'auctoritas del vicario di Cristo diviene Legge. Se il Papa dicesse che solo ed unicamente nella fede in Cristo risiede la Salvezza il cattolico fedele alle regole autoimpostate dalla Chiesa stessa dovrebbe accettare il tutto o cambiare confessione.
La pluralità di opinioni è il sale della democrazia, non della religione: la religione si pone come tale perché portatrice di una Verità. Una Verità che non prevede interpretazioni pena lo scadere nell'essere solo una verità tra le tante, una opinione del rango delle altre. Tale Verità esige l'illustrazione di una via di salvezza chiara e distinta, per dirla cartesianamente. Privata di ciò non sussiste più come religione ma solo come semplice speculazione metafisica. A meno di non pensare che Dio, volutamente o meno, si sia "dimenticato" di spiegare nelle sue Rivelazioni la cosa più importante: "come soddisfarlo guadagnandosi la sua fiducia e la sua benevolenza".
Personalmente io non credo, però mi interesso del credere e mi piace discuterne con quanti hanno fede perché convinto che vi possa essere un arricchimento reciproco. Non discuto per convincere un credente del fatto che la sua fede si fonda su delle favole, su delle leggende sorte per spiegarsi i grandi perché della vita. Discuto perché, nel bene e nel male, la religione impregna il mondo in cui vivo e quando mi ci imbatto lo voglio fare ad armi pari così che le mie ragioni si possano confrontare con quelle dei credenti sulla via di una sintesi hegeliana che porti armonia tra le posizioni.

Anonimo ha detto...

A Tanzen: se ti interessa approfondire la storia del problema della possibilità di valori assoluti e atemporali della propria religione alla luce della consapevolezza delle conoscenze storiche e delle conoscenze delle altre religioni e culture ti consiglierei l'opera di Ernst Troeltsch "L'assolutezza del cristianesimo e la storia delle religioni" dove si narra la crisi della sostenibilità di tale assolutezza che si era diffusa soprattutto nel mondo protestante negli ultimi tre secoli passati.

Occorre poi far notare che questo problema della contrapposizione fra affermazione di valori assoluti (spesso ritenuti anche "esportabili" con modalità alquanto discutibili) e consapevolezza di sistemi valoriali diversi (a volte difficili da non criticare come l'infibulazione o il rifiuto di medicine basate sulla scienza nata in occidente) non è certo un problema in cui si imbattono solo le religioni. L'affermazione dell'esistenza di diritti umani (di vita, di uguaglianza rispetto alla legge, di libertà di pensiero ed espressione...) ritenuti oggi dall'occidente secolare come "universali" è nata dalla più laica delle rivoluzioni dell'età moderna.

Chi di noi infatti si sentirebbe di affermare nel modo più tranquillo che si tratta di diritti che in quanto umani sono contingenti ed effimeri e dunque non c'è da non preoccuparsi se in qualche paese domani possa accadere che vengano limitati o perfino soppressi? Come si vede questo problema riguarda tutti noi uomini, religiosi e non religiosi e non riguarda solo gli appartenenti a generiche religioni o a una certa religione specifica. Lascio ai lettori il piacere di proporre risposte certo non da trovare in modo immediato, sapendo comunque che anche trovare nuove domande è importante e impegnativo.

Ciao.
Michele

Anonimo ha detto...

...ma cosa c'entra Troeltsch? Era un protestante liberale, e non è certo a lui che ci si può rifare là dove il problema, come ha detto molto giustamente Etienne, è la chiesa e la sua centralità.

A me sembra in ogni caso che si debba distinguere il problema della relazione del cristianesimo con le altre "religioni" (sempre che si possa parlare di "religioni") e quello invece del rapporto con l'ebraismo, che non è affatto sullo stesso piano, né sul piano dogmatico né su quello storico culturale. Altrimenti si produce un pastrocchio un po' new age del "volemose bene".

Ymmanuel

Anonimo ha detto...

A Ymmanuel: effettivamente hai ragione, abbiamo un po' divagato il tema e dall'ecclesiocentrismo siamo venuti a parlare del problema del cristianesimo come "religione assoluta".

Hai effettivamente ragione, Ymmanuel che bisogna distinguere i rapporti che ha il cristianesimo con le altre "religioni" (e come tu dici bisogna stare attenti perchè il concetto di "religione" che usiamo noi occidentali è recentissimo e presuppone distinzioni tra morale, politica e cultura che nè forme di cristianesimo del passato nè la maggior parte delle altre "religioni" di oggi possiede).

Riguardo ai rapporti tra ebraismo e cristianesimo io ritengo che, dato che le loro ascendenze sono vicinissime tra di loro nel tempo e lo spazio, il miglior modo per dialogare tra di loro è cercare di rileggere la storia passata delle origini di questi due mondi, ovviamente non fermandosi a una narrazione basata su una "tradizione" tramandata e accettata acriticamente, ma cercando il più possibile una storia ricostruita che abbia i metodi condivisi da tutta la comunità mondiale degli storici. Se non ci sono un numero minimo di premesse condivise per un dialogo allora il dialogo è già fallito in partenza (vedi il verus Israel e tutto ciò che ne segue). Insomma partire da ciò che unisce il più possibile evitando di evidenziare le differenze più grandi che dividono.

P.S.: Se vuoi puoi dirmi che lettori di Aristotele hai conosciuto tu, che, da quel che ho capito, negano totalmente l'importanza che Aristotele dava al tóde ti", al "questo qui", all'unicità e all'irripetibilità dell'individuo singolo, mentre la mia letteratura secondaria mi dice proprio il contrario. Sono curioso proprio di leggere questi lavori.

Ciao.
Michele

Anonimo ha detto...

Tutto ciò che avete detto circa la sopravvivenza entro il cristianesimo di diverse "anime", ovvero di diverse posizioni in merito al tema della salvezza può essere ammesso.
Tuttavia ogni singola posizione va ricollocata nel suo contesto e ne vanno misurati la risonanza e gli obiettivi.
Un conto è la dottrina di un teologo del II secolo che vive ed opera entro un certo ambiente culturale e istituzionale (privo ancora di strutture giuridiche e legislative propriamente ecclesiastiche). Altra funzione hanno le statuizioni di un concilio provinciale o generale o ecumenico. Altro peso ancora le affermazioni di un pontefice del medioevo (quando la dottrina dell'infabilità veniva usata addirittura in chiave anti-romana per impedire ai papi di discostarsi dai privilegi elargiti dai loro predecessori) rispetto a quelle di un pontefice post tridentino e post-vaticano primo. E così via.
Il ché per dire che possiamo certo accostarle e confrontarle, ma non dobbiamo fare confusione tra le affermazioni di teologi e biblisti - per quanto insigni - e quelle di decreti, canoni e costituzioni. Per quanto mirino magari anche ad influenzare i secondi, i primi operano senza quel potere legislativo rivendicato dagli altri.
In altre parole: la "new Perspective on Paul" si configura come una serie di contributi. La Verbum domini è un documento che viene presentato come verità di fede.
Etienne

Giovanni Bazzana ha detto...

Cari amici,
grazie per l'interessante conversazione (soprattutto a Etienne, per l'accenno, molto intrigante di questi tempi a Gregorio VII) e scusatemi se mi faccio vivo solo adesso.
Aggiungo solo due punti, per sottolineare aspetti che mi sembrano degni di riflessione.
Primo, se parliamo di "extra ecclesiam nulla salus", vale la pena di ricordare che a coniare l'espressione e' stato Cipriano di Cartagine e in contrapposizione a Roma (nientedimeno). Se si studia con attenzione questo caso (e in generale la storia della chiesa africana), e' facile vedere che, anche nella prospettiva "ecclesiocentrica" a cui si faceva riferimento, la nozione stessa di chiesa viene modificata (e sempre lo sara') in accordo con gli interessi retorici e politici del momento.
Secondo, per dirmi d'accordo con il richiamo di Ymmanuel al fatto che il caso dell'ebraismo si configura in modo assai diverso da quello delle altre religioni. E' fondamentale notare che i cristiani adottano come "loro" le Scritture ebraiche, il che comporta (come si e' visto nella storia) assai grave di usurpazione e supersessionismo. Percio' si dovrebbe stare molto attenti a come si entra su questo terreno, molto piu' che in quello relativo ai rapporti con altre fedi e financo con l'Islam.
Auguri a tutti

Anonimo ha detto...

Caro Giovanni,
avrai sicuramente letto le considerazioni innescate dal tuo accenno alla New perspective on Paul (http://letterepaoline.net/2011/01/06/essere-onesti-con-paolo/#comments).
Link tira link e mi sono ritrovato a leggere anche qui, http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1346167 (ci sono degli acenni e della critiche alla concezione dossettiana della salvezza), e qui, http://www.cesnur.org/2010/mi-dema.html (un dibattito intraecclesiale in cui non mancano accenni alla verbum domini).
Saluti
Etienne

Giovanni Bazzana ha detto...

Caro Etienne,
no, non l'avevo visto: grazie delle segnalazioni.