mercoledì 15 dicembre 2010

Segni messianici


La lettura evangelica di domenica conteneva la famosa riposta di Gesu' alla richiesta di Giovanni il Battista sull'avvento del Messia: in Matteo 11:4-5 Gesu' risponde indirettamente alla domanda facendo notare che si stanno realizzando tutta una serie di eventi miracolosi che la Bibbia ebraica associava con i tempi messianici. Di conseguenza, anche se non viene detto esplicitamente, si dovrebbe concludere che il periodo dell'attesa messianica e' finito.
Il predicatore della messa a cui ho assistito ha cominciato il suo commento con una domanda interessante: come possiamo credere che il tempo messianico si sia compiuto in Gesu' di Nazaret, se vediamo ogni giorno, non i segni elencati in Matteo, ma un mondo colpito da disgrazie e soprusi che causano sofferenza e morte anche di esseri umani innocenti? Il quesito non e' di poco conto e ammetto che ci vuole coraggio a porlo cosi' chiaramente nel contesto di un'omelia, ma la soluzione proposta mi ha lasciato un po' perplesso.
In sostanza, ha proseguito il predicatore, questa apparente assenza dei segni messianici va intesa come un richiamo alla parte che ciascuno di noi deve fare nel portare a realizzazione il regno di Dio. Come esemplificazione, ecco una storia, con la quale si e' conclusa anche l'omelia. Una famigliola torna a casa e trova l'edificio distrutto da un incendio. Mentre il padre va in paese per comprare qualche genere di prima necessita', la madre e i figli si danno da fare per ritrovare fra le ceneri qualcosa che si possa essere salvato. Viene recuperato una vaso mezzo bruciato e la madre lo riempie di splendidi fiori di campo raccolti in un prato li' vicino. Quando il padre torna e si siede a mangiare il poco che ha con la sua famiglia, vedendo la bellezza dei fiori sente rinascere in se' la speranza e l'intima convinzione che tutto andra' bene.
Ora, quando io sento un predicatore che decide di raccontare un'altra storia per spiegare la storia che ha appena letto nella Bibbia, mi preoccupo. Di solito, questo e' il segno che il "mito" (uso questa espressione in senso tecnico, visto che ho avuto occasione di parlarne recentemente) originario non e' piu' comprensibile o, meglio, non puo' piu' svolgere la sua funzione e ci si arrabatta a sostituirlo con un altro.
In questo caso, il mito apocalittico dei segni messianici pare problematico di fronte allo sfacelo del mondo contemporaneo e la soluzione trovata e' quella di ribaltare del tutto il senso del passo evangelico. Mentre Gesu' invita a prendere atto delle prove della potenza divina che trasforma il mondo, il mio predicatore mi dice che queste prove io le posso vedere solo se mi metto nella giusta predisposizione d'animo. Alla fine, la colpa e' mia perche' non mi sforzo abbastanza?

7 commenti:

Anonimo ha detto...

Quando uno storico parla di omiletica, non può che uscirne un discorso strano. Durante la preparazione di una predica ci si può permettere di fare bene o male di tutto, anche spiegare un passo biblico con un'altra storia. E francamente non vedo cosa ci possa essere di male in questo. Durante una predica proporre un'analisi storico critica è fuori luogo, qualcosa che non ha senso proporre.
Questa è per lo meno la mia opinione in merito. Le esigenze e le aspettative sono ben altre.
Ciao, Elijah

Anonimo ha detto...

Il problema del comprendere quanto certi significati morali esposti in un testo antico (e non solo religioso ma anche storico e letterario in genere) sono comprensibili e attualizzabili nella nostra epoca è un argomento che può spesso venire in mente quando si studiano testi di queste epoche antiche.

Secondo me nel caso del vangelo bisogna notare che spesso Gesù si rivolge ai poveri e dunque a persone che da sole non avevano molte capacità di agire per migliorare la società e dunque è facile che agli occhi di questi ultimi bastava poco per vedere "segni messianici" e interventi dall'alto. Dunque c'è da chiedersi a quali persone Gesù si sarebbe rivolto al giorno d'oggi e come avrebbe descritto questa epoca odierna se lui fosse vissuto oggi.

Poi alla fine, bisogna ammetterlo, esistono predicatori di ogni tipo. Ho vaghi ricordi di una predica un po' scomoda sulla lettura del brano dove Gesù rispondendo ai sadducei negatori della resurrezione afferma che nella vita eterna non esisteranno più mogli nè mariti.

Il predicatore faceva notare, al contrario di certe visioni "pubblicitarie" del paradiso, che nella vita eterna perderemo ogni nostro ricordo delle altre persone, anche quelle più care, poichè nella vita bisogna a un certo punto ammettere che tutti i più grandi legami, anche se conclusi prematuramente e tragicamente, sono pur sempre qualcosa di provvisorio, qualcosa che sì di importante, ma non così importante da far sì che l'amore verso queste persone si trasformi in una "dipendenza" tutt'altro che disinteressata verso esse. Anche qui, a prescindere dalla condivisione del contenuto della predica, bisognerebbe chiedersi, oltre a quanto questo messaggio è vicino a quello probabilmente originario di Gesù, a come è composto il pubblico destinatario di questa omelia, dato che non bisogna sottovalutare la varietà di atteggiamenti e aspettative dei vari uditori riguardo a questi temi.

Ciao.
Michele

Anonimo ha detto...

Le esigenze e le aspettative sono ben altre.


La tendenza di certi predicatori è quella di andare oltre l'aspetto etico-narrativo,se si supera questa soglia,allora trovo corretto che si applichi il metodo critico come fa Giovanni.Da quello che Giovanni dice,pare proprio che quel predicatore travalicasse abbondandemente l'ambito etico-narrativo.

Claudio

Johannes Weiss ha detto...

Alcuni studiosi aggiungerebbero che è stato Gesù stesso a reinterpretare il mito apocalittico, abbandonando l'escatologia futura del Battista per una sorta di "escatologia potenziale" (l'espressione è di Patterson) in cui il regno di Dio è visto come un'utopia pratica realizzabile unicamente là dove si attui un certo comportamento.
Ciò che questi studiosi attribuiscono al Gesù storico, mi sembra invece più verosimile come ermeneutica teologica ad uso di quei fedeli che non si sentono più in grado di prendere sul serio la speranza in una redenzione universale.
E alla fine non mi sembra nemmeno una cattiva soluzione: penso infatti che l'escatologia universale imminente del Battista, di Gesù e di tanti altri, sia proponibile oggi, nel migliore dei casi, solo come un'utopia che ispira, sollecita e sostiene un'azione che cerca di non rassegnarsi all'esistente.
Il predicatore potrebbe però qui allargare la portata degli esempi oltre la sfera individuale-familiare, abbracciando anche quella sociale-politica.

P.S. è facile accorgersi che grandi chiese istituzionali come quella cattolica, pur continuando ad affermare a parole nel Credo e nei catechismi un'escatologia universale della storia, di fatto (salvo le poco fortunate eccezioni di qualche corrente teologica) la neutralizzano ampiamente proiettandola in un futuro vago e indeterminato incapace di avere reale presa sul presente e che lascia in definitiva campo libero nelle coscienze dei fedeli alle preoccupazioni per l'escatologia individuale. Una soluzione d'indubbia prudenza (e convenienza), che paga con la perdita di spirito profetico e critico la garanzia rispetto alle delusioni di messianismi e millenarismi.

Anonimo ha detto...

"Di solito questo è il segno che il mito originario non è piu' comprensibile o, meglio, non può più svolgere la sua funzione e ci si arrabatta a sostituirlo con un altro"...

Forse anche tanti miti cristiani successivi (agiografie, racconti edificanti) sono nati per assolvere questa funzione...

Etienne

Tanzen ha detto...

"Di solito questo è il segno che il mito originario non è piu' comprensibile o, meglio, non può più svolgere la sua funzione e ci si arrabatta a sostituirlo con un altro".

Centro. Il punto credo sia sostanzialmente uno: nessuno, nemmeno il Papa, sembra più aspettarsi il ritorno del Messia. Il cristiano medio si è stancato di aspettare o non è nemmeno consapevole di stare aspettando: non ho mai conosciuto un solo cristiano che fosse "preoccupato", o meglio in attesa, della Parusia: tutti davano per certo - per certo! Alla faccia della fede, del credere in qualcosa... - che sarebbero morti e sarebbero andati in Paradiso (quanta fiducia). Il cristianesimo ha perso irrimediabilmente la fede in un Regno in terra e lo riesce, a stento, ad immaginare solo ed esclusivamente nell'aldilà. La dimensione terrena dell'apocalittica è morta e sepolta: la trascendenza, la metafisicità sono tornate... di là.
Del resto è palese come agli occhi di molti, oserei dire quasi dei più, il cristianesimo stia progressivamente perdendo, almeno in buona parte dell'occidente, la propria dimensione religiosa per consolidarsi quale filosofia morale con qualche residuo di religiosità più legata a tradizioni popolari e folkloristiche che a credenze reali (un po' come quelli del "difendiamo il crocifisso contro la moschea perché è la nostra tradizione. Dei suoi insegnamenti però chissenefrega): di qui, probabilmente, il ricorso a "nuove storie" a causa del passaggio dell'impianto religioso cristiano verso la categoria del mito a conferma di quell'adagio secondo il quale i miti non sono altro che religioni passate di moda.

Giovanni Bazzana ha detto...

Cari amici,
grazie a tutti per i commenti che ho trovato tutti interessanti e arricchenti (in particolare, a Etienne, che ha scritto in modo tanto conciso quanto illuminante).
Non posso rispondere dettagliatamente a ognuno, ma vorrei solo aggiungere una parola di risposta alla prima osservazione di Elijah.
Si tratta in realta' di una domanda, presentata con la premessa che accetto interamente la tua obiezione e che non voglio far diventare i miei gusti personali il parametro assoluto secondo cui giudicare la bonta' delle prediche. Tuttavia, detto questo, ti chiederei se fra le "esigenze e aspettative" legittime e che possono ricevere qualche attenzione (almeno saltuariamente) non ci dovrebbero essere anche le mie, che possiamo chiamare, volendo, da "storico". E se no, per quale motivo, visto che ci si puo' permettere di fare di tutto?
Un saluto a tutti.