mercoledì 13 ottobre 2010

Risposta sulle datazioni

"Mi ricordo di un tuo post dove parlavi di argomenti convincenti per datare gli Atti nella prima metà del II secolo in base a dei paralleli con Giuseppe Flavio. Volevo sapere di cosa pensavi dei riferimenti presunti agli Atti nella lettera di Policarpo ai filippesi (scritta tra il 110 e il 140) e nella lettera di Ignazio (morto circa nel 117) ai magnesiani e dell'assenza negli Atti di riferimenti alla distruzione di Gerusalemme e alla morte di Paolo. Aggiungendo il fatto che le Antichità Giudaiche furono scritte nel 94 mi sembra che si possa ammettere comunque come molto plausibile una datazione degli atti anteriore al II secolo, cioè negli ultimi anni del I secolo".
Questa domanda mi e' stata posta alcuni giorni fa da un lettore: ho pensato di promuoverla all'inizio di questo post, perche' mi sembra che la risposta che posso dare abbia delle interessanti ramificazioni metodologiche. Il lettore fa riferimento ad un paio di post che ho scritto un po' di tempo fa, riprendendo, in modo del tutto non originale, alcune argomentazioni di Richard Pervo sulla datazione degli Atti degli apostoli. In breve, Pervo nota che gli Atti dipendono dalle Antichita' giudaiche di Giuseppe Flavio e quindi devono essere stati scritti dopo il 94: questo puo' voler dire che sono stati scritti immediatamente dopo (come pensa Michele, il mio lettore) o molti anni dopo, nel II secolo (come pensa Pervo e come penso anch'io).
Quali argomenti ci sono a sostegno delle due posizioni? Michele propone di valutare i "riferimenti" ad Atti nelle opere dei Padri apostolici, in particolare due lettere di Ignazio di Antiochia e una di Policarpo di Smirne. Per brevita', mi limito ad un esempio tratto da quest'ultima. Al paragrafo 2, Policarpo scrive, parlando di Gesu', "che viene come giudice dei vivi e dei morti": questa espressione sarebbe un "riferimento" ad Atti 10:42, nel senso che, anche la', Pietro dice che gli e' stato ingiunto di testimoniare che Gesu' e' "giudice dei vivi e dei morti".
Ora, questo parallelo del tutto vago puo' essere preso come prova della dipendenza di Policarpo dagli Atti solo se si e' gia' accettata la tradizione patristica (dogmatica e teologica, ma assolutamente non storica) secondo la quale tutti i libri del Nuovo Testamento sono stati scritti nella generazione degli apostoli, mentre quelli dei "Padri apostolici" tutti nelle generazioni successive ed ispirandosi ai primi. Penso che il circolo vizioso insito in tale ragionamento sia evidente. Al contrario, osservazioni come quella sopra riportata rafforzano l'argomentazione di Pervo, perche' mostrano come gli Atti presentino idee ed espressioni comuni anche ai Padri apostolici della prima meta' del II secolo e, quindi, debbano molto probabilmente venire dallo stesso periodo.

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Grazie della risposta. Nel mio intervento avevo anche fatto notare l'assenza negli Atti di riferimenti alla distruzione di Gerusalemme e alla morte di Paolo che in alcuni esegeti come Guthrie a volte viene usata come indizio per datare gli Atti negli anni 60 del I secolo. Questa ipotesi anche a me sembra molto debole.

Sarebbe interessante chiedersi inoltre chiedersi quanto si può valutare come attendibile storicamente la testimonianza scritta di una tradizione. Chiaramente è inevitabile che una storia tramandata per tradizione finisca nel corso dei decenni e dei secoli a subire modifiche anche inintenzionali finendo per differenziarsi anche molto dalla storia ricostruita dagli storici, tuttavia penso che ci possano essere tradizioni più attendibili storicamente di altre. Le testimonianze dei Padri che ho citato prima ad esempio risalgono a poco più di 50 anni dopo dall'accadimento dei fatti narrati negli Atti. Mi interesserebbe sapere come uno storico nota, in questo caso ad esempio, che la precisione storica della tradizione è già diminuita notevolmente.

Ciao.
Michele

Anonimo ha detto...

"Al contrario, osservazioni come quella sopra riportata rafforzano l'argomentazione di Pervo, perché mostrano come gli Atti presentino idee ed espressioni comuni anche ai Padri apostolici della prima metà del II secolo e, quindi, debbano molto probabilmente venire dallo stesso periodo".

Non so, Giovanni Bazzana. Lo affermo - beninteso - da semplice scrittore e saggista di letteratura degli ultimi secoli, non da storico di cristianesimo antico o da filologo. Borges, in una sua "finzione", fece riscrivere da Pierre Menard due capitoli del Don Chisciotte. Ora, pur “vivendo” Pierre Menard in Francia tre secoli dopo Cervantes, egli riuscì perfettamente a immedesimarsi nelle idee e nel linguaggio di Don Chisciotte; addirittura Menard combatté contro i Saraceni! Perciò, partendo da pensieri propri, Pierre Menard poté “creare” un’opera uguale eppure distinta. Intendo dire: come riconoscere i due capitoli del Don Chisciotte di Cervantes da quelli di Pierre Menard se il secondo si è totalmente immerso nel linguaggio, nel pensiero e nelle azioni del primo?
Ciao. Lino

Giovanni Bazzana ha detto...

Caro Michele,
prima di tutto un'osservazione tecnica: i commenti passano attraverso una moderazione che in realta' non ho mai usato, ma che mi fa sentire un po' piu' sicuro. Siccome c'e' una certa differena di fuso orario fra me e l'Europa, non posso sempre immediatamente "sdoganarli" e quindi questo puo' creare un fastidioso ritardo nella loro pubblicazione. Mi scuso e vi ringrazio ancor di piu' per aver voluto comunque comunicare il vostro pensiero.

Mi scuso anche per non aver effettivamente risposto alle tue due osservazioni sulle "assenze" nell'opera lucana. L'assenza della distruzione di Gerusalemme mi sembra minore, perche' in fin dei conti la cosa e' ben descritta nel Vangelo al capitolo 21, mentre l'assenza del racconto della morte di Paolo e' cosa piu' interessante e devo dire in gran parte misteriosa. A me piace l'idea che, siccome il testo e' in gran parte apologetico nei confronti dell'impero, sarebbe stato molto male avere l'eroe che viene martirizzato proprio alla fine. E' meglio, invece, che finisca parlando in piena liberta'.
(continua)

Giovanni Bazzana ha detto...

(continua dal commento precedente)
Sull'attendibilita' storica di Luca, io, in pricipio, non farei nessuna differenza con l'opera di un contemporaneo che scrive su cose che sono avvenute piu' o meno alla stessa distanza temporale, Tacito. Dal punto di vista storiografico, non esiste storia se non ci sono almeno due fonti indipendenti che si possono confrontare. Per quanto riguarda il Luca di Atti, in gran parte lui e' l'unico testimone di quanto narra e quindi la sua "storia" rimane inverificabile, una narrazione e nient'altro. Puo' diventare "storia" in determinati casi, per esempio quando abbiamo a disposizione testimonianze dirette di Paolo (come dice Etienne in un commento che e' finito sul post dedicatao a Enzo Bianchi): in questi casi, non sembra che Luca appaia molto affidabile, ma io giudicherei comunque caso per caso evitando le generalizzazioni.
Ciao.

Giovanni Bazzana ha detto...

Caro Lino,
scusa il ritardo, ma sono perfettamente d'accordo. Come dicevo ai miei studenti alcuni giorni fa, potrebbe anche essere possibile che tutto il Nuovo Testamento sia stato scritto inventando di sana pianta nel IV secolo: in quel caso, tutte le nostre elucubrazioni si rivelerebbero solo fantasticherie. Questo e' il limite della storia (come anche di tutte le altre scienze che hannoa che fare con la realta' fenomenica): si procede per approssimazioni. Grazie per il richiamo anti-positivista.
Ciao