sabato 2 ottobre 2010

La parabola dell'assassino


Fra le perle del Vangelo di Tommaso si trova ovviamente il logion 98, che di solito riceve il titolo di "parabola dell'assassino".
"Gesu' disse: Il regno del padre e' simile ad un uomo che voleva uccidere un personaggio potente. Egli estrasse la sua spada nella propria casa e la infisse nel muro per verificare se la sua mano sarebbe stata abbastanza forte. Poi egli uccise il personaggio potente".
Il raccontino e' breve e succinto, ma non e' difficile capire quale significato possa avere nel Vangelo di Tommaso: il punto centrale e' che l'assassino si prepara, con una vera e propria esercitazione, per portare a termine felicemente il compito che si e' assegnato. Questo tema dell'esercizio (si potrebbe forse anche dire, dell'ascesi) ricorre assai spesso nei logia di Tommaso: rispetto ai Vangeli canonici, in cui il regno di Dio sembra arrivare quasi senza apporto umano e improvvisamente, Tommaso sottolinea come l'avvento del regno richieda un impegno serio e una partecipazione effettiva da parte degli esseri umani. Probabilmente, questo e' anche uno dei motivi che ha reso il Vangelo cosi' simpatico a molti studiosi "moderni", che vogliono avere un messaggio di Cristo che responsabilizzi un po' di piu' le persone.
Tuttavia, il fatto che un'azione violenta sia al centro di questa storia e che l'assassinio non sia minimamente condannato lascia sempre sorpreso il lettore. Personalmente, non credo che ci sia nella parabola un riferimento al periodo turbolento che precedette la rivolta giudaica del 66 e alle azioni dei cosiddetti "Sicari", ma comunque mi fa un certo effetto che qualcuno chiami questa storia la "parabola dell'attentato" (soprattutto considerando i tempi in cui ci troviamo a vivere). Occorre comunque riconoscere che questo tipo di narrazioni moralmente "problematiche" non sono affatto inusuali all'interno dei Vangeli: basti solo pensare alla famosa "parabola dell'amministratore disonesto" (Lc 16:1-9) che e' causa di spettacolari arrampicature sugli specchi quando deve essere commentata nelle omelie domenicali. In piu', vale anche la pena di osservare che nel Vangelo di Tommaso (ma lo stesso discorso si potrebbe fare anche per quelli canonici) la violenza non e' una tema affatto evitato o condannato. Indicativo e', ad esempio, il logion 16 in cui si dice che e' sbagliato credere che Gesu' sia venuto a portare la pace: egli, al contrario, porta fuoco, spada e guerra.

10 commenti:

Anonimo ha detto...

Caro Giovanni,
quali sono per te le migliori edizioni del Vangelo di Tommaso in circolazione? Quali i migliori commenti? Quale mi consiglieresti?

Sulla parabola in questione che dire? Premessa la mia scarsa preparazione sul testo di Tommaso, credo che se il logion può esser ricondotto ad una tradizione gesuana, esso non fa che confermare che narrazioni ed exempla per noi problematici dovevano risultare invece assai familiari ai destinatari del tempo. Così come il darsi da fare per recuperare la pecora smarrita doveva esser piuttosto ovvio per un pastore non proprietario del bestiame, che doveva per giunta rendere conto del proprio operato al padrone del gregge, allo stesso modo mi sembra che la metafora d'un addestramento al combattimento dovesse risultare ben comprensibile ai membri di una società cui non era aliena la pratica della giustizia privata.
Saluti
Etienne

Anonimo ha detto...

Il tema della concezione della moralità nel corso della storia lo trovo molto interessante, anche se secondo me l'essere molto generici finisce per dare troppi giudizi di valore affrettati (naturalmente non è compito dello storico dire se un'azione è stata assolutamente buona o no).

E' chiaro che in un'epoca diversa dalla nostra in cui non c'era suffragio universale, divisione dei poteri e processi in cui il re e mendicante erano uguali di fronte alla legge, poteva succedere che uccidere un potente che abusava troppo dei suoi poteri era forse l'unico mezzo (o almeno il meno peggiore) per non peggiorare una situazione sociale insopportabile per la maggioranza. Ovviamente non dico che questo possa essere stato per forza il caso della parabola raccontata dal vangelo di Tommaso ma è un modo per comprendere quanto il contesto storico e sociale faccia comprendere la morale del tempo.

Chissà che fra cento anni noi ai nostri discendenti potremo apparire dei barbari immorali per come trattiamo gli animali negli allevamenti intensivi, per il fatto che usiamo mezzi di trasporto enormemente inquinanti, dispendiosi e causatori di terribili incidenti e per il fatto che usiamo ogni giorno cibi e prodotti provenienti da multinazionali che violano i diritti umani. Noi in nostra difesa diremo che è il contesto storico che ci impedisce di far proibire immediatamente queste azioni, ma questo non è certo un motivo per non impegnarci affinchè a lungo termine queste azioni vengano percepite da tutti come ingiuste. Forse è questo uno degli insegnamenti che può dare la conoscenza della storia.

Ciao.
Michele.

Giovanni Bazzana ha detto...

Caro Etienne,
grazie della riflessione, che sottoscrivo.
Per quanto riguarda le edizioni e traduzioni del Vangelo di Tomaso, e' incredibile quante ce ne siano in circolazione, considerando che il testo e' un apocrifo ed e' stato pubblicato poco piu' di cinquantanni fa!
Comunque, non avendo letto tutto quello che e' disponibile, ti indico qualcosa che mi e' parso utile. In inglese, senza dubbio la "classica" edizione di Layton con la traduzione di Lambdin, ma direi che uno dovrebbe anche consultare i due commenti, molto importanti, di Marvin Meyer e Richard Valantasis (quest'ultimo molto innovativo e interessante). I lavori di DeConick, invece, mi hanno lasciato molto perplesso. In tedesco, i commenti non sono granche', ma c'e' forse la traduzione migliore, che e' stata curata da un gruppo di studiosi berlinesi e compare anche nelle edizioni piu' recenti della Sinossi di Aland anche in traduzione inglese. Mi e' piaciuto il commento di Plisch anche se e' un po' succinto e introduttivo. In italiano la classica traduzione di Moraldi mi sembra assai datata e non so se c'e' in giro qualcosa di nuovo, ma so che Gianotto (di cui mi fido abbastanza) ha pubblicato una traduzione francese del Vangelo nella raccolta di Scritti cristiani apocrifi della Pleiade.
Ciao.

Luca Marulli ha detto...

Per quanto riguarda il tema della "violenza" associata a Gesù, mi sembra di ricordare (correggimi se sbaglio) il tuo intervento alla SBL 2009 quando mostrasti che il verbo "bussare" usato in Lc 11:9-10 e poi in Apocalisse 3:20 ("sto alla porta e busso") significa in realtà bussare con violenza; quasi a buttar giu la porta. Dunque il senso di Apo 3:20 dovrebbe essere: "sto alla porta e picchio (!); se apri, bene; senno sfondo ed entro lo stesso, ma poi sono guai...", altro che il Gesù gentile che sussurra alla porta del cuore (almeno in questo contesto). Mi sbaglio?

Un abbraccio forte a tutti e tre, caro.

Luca

Anonimo ha detto...

@ Luca
Non conosco l'intervento dell'ttimo Giovanni Bazzana alla SBL 2009 e il tuo commento mi ha incuriosito. Il verbo "bussare" di Lc 11:9-10 come buttare giù la porta? Ma non è questo uno dei casi nei quali una (sia pur vera) accezione di un termine in un testo si pone in contrasto con il senso complessivo del testo medesimo? Intendo dire che in Lc 11:9-10 leggiamo che occorre bussare "con perseveranza", "senza stancarvi", "ripetutamente", che chi "chiede riceve".
Mi pare che un violento bussare, che lo sfondamento di una porta sia poco coerente con la perseveranza, che una porta si sfonda sì ma non ripetutamente, che più che chiedere "picchiando" si pretende.
La domanda, naturalmente, è rivolta a Giovanni, con grande curiosità.
Lino

P.S. X Giovanni Bazzana
Chi si arrampica sugli specchi di Lc 16:1-9? Mai nessun testo ebbe un senso più aperto. Spero che tu, un giorno, voglia affrontare l'argomento.

Giovanni Bazzana ha detto...

Cari amici,
scusate per questa risposta cosi' in ritardo, ma ho avuto piccoli, ma fastidiosi, triboli familiari che mi hanno forzato a stare lontano dal blog per un po'.
Rispondo insieme a Luca (bentornato!) e a Lino su Lc 11:9-10 (in realta', io direi Q 11:9-10) in breve, perche' la ricerca e' tuttora in corso e non ho ancora dato alle stampe i risultati.
Mi sembra che questi due versetti siano uno dei (molti) casi in cui traduzioni tendenziose ci fanno perdere una parte del significato del testo. Anzitutto, bisogna osservare che il verbo che traduciamo con "bussare" e' usato, in molti testi documentari e anche in alcuni letterari (ad esempio, le prime pagine del Protagora di Platone), per indicare l'atto di "sfondare" o quanto meno di "bussare" con violenza e minaccia ad una porta.
Giustamente Lino si chiede come questa osservazione si integri nel contesto del passo: la mia idea e' che il senso generale non sia affatto "chiedere", ma appunto "pretendere". Qui e' interessante guardare al "chi chiede, riceve", in cui il secondo verbo (lambanw) puo' benissimo essere tradotto con il suo piu' usuale e primario significato di "prendere". Interessante e' anche dare un'occhiata alla piccola parabola che si legge ai versetti 5-8 e all'invadenza che deve essere propria di chi chiede.
Purtroppo, lo spazio e' ridotto per argomentare in modo persuasivo su questo punto, ma spero almeno di aver chiarito un po' come la penso.
Grazie per gli interventi.

P.S. Luca, ci si vede ad Atlanta?

Giovanni Bazzana ha detto...

Caro Lino,
visto che per te le cose sono cosi' chiare, ti riporto solo quello che mi e' capitato di sentire a una Messa un paio di settimane fa. Secondo il celebrante, la parabola ci insegnava che sul lavoro ci si deve sempre comportare in modo onesto e retto!
Intendi questo quando parli di senso aperto?
Grazie e un saluto.

Anonimo ha detto...

Ma no, caro Giovanni! Il comportamento sul lavoro sta molto 'a lato' della parabola dell’amministratore disonesto. Non è questo il punto, né il lavoro né l’onestà né la disonestà: “a lato” della parabola, ovverosia la lezione trasportata dalla mashal, c’è la scaltrezza del truffaldino “figlio di questo mondo” che si preoccupa del suo futuro, una scaltrezza che “i figli della luce” dovrebbero imitare nel preoccuparsi per le loro “dimore eterne”, per il loro futuro ultraterreno. E’ la scaltrezza per la preoccupazione del futuro che lo stesso padrone derubato elogia, non altro. E' il concetto di "scaltro" che è replicato in uscita dalla parabola. Semmai, nella parabola trovo molto interessante il particolare che le ricchezze sono definite tout court “ingiuste”, da cui il riferimento a Mammona e il fastidio dei farisei “attaccati al denaro”.
Una parabola - andrebbe spiegato a quel celebrante - non è come un’allegoria simbolica (il Remez del PaRDeS ebraico) nella quale ogni immagine presente è significativa e va trasposta sul piano allegorico al fine di disegnare un nuovo mosaico concettuale: in una parabola occorre cogliere pochi segni letterali nei quali è racchiusa tutta la lezione; il resto, generalmente, si può trascurare. Il problema di tanti celebranti è che parlano molto e meditano poco.
Grazie a te. Un caro saluto.
Lino

Luca Marulli ha detto...

Ciao Giovanni e grazie del commento. Purtroppo ad Atlanta non ci saro', sigh! Spero che sia tutto ok ora in famiglia.
Un abbraccio
Luca

Giovanni Bazzana ha detto...

Caro Luca,
mi dispiace non avere l'occasione di vederti: speriamo si possa riparare presto.
Noi siamo a posto: solo piccole cosuccie stagionali, ma grazie per avere chiesto. Spero lo stesso anche per voi.
Un abbraccio da tutti noi.