lunedì 4 ottobre 2010

Dove vanno gli studi biblici


Di recente, mi e' capitato di discutere sul blog del problema dei cosiddetti "studi biblici", che si trovano in una posizione abbastanza delicata fra teologia e scienze religiose. Ieri mi sono trovato, su Bible and Interpretation, questo articolo di Michael Legaspi, che affronta un argomento collegato ponendolo sotto l'astuto titolo "The End(s) of Historical Criticism" (difficile da rendere in italiano perche' puo' voler dire "La fine del metodo storico-critico", ma, se si prende "end" come plurale, un'altra lettura possibile diviene "I fini del metodo storico-critico"). In effetti, Legaspi traccia la storia di questo metodo di indagine dalle sue prime applicazioni ai testi biblici nel Settecento fino ai giorni nostri, nei quali, a parere di molti, l'approccio storico-critico sembra destinato a soccombere sotto i colpi del post-modernismo. L'analisi storica di Legaspi e' molto interessante e illumina alcuni aspetti importanti della questione, ma ho delle riserve sul modo in cui l'autore descrive la situazione attuale e le prospettive future.
Legaspi osserva, con precisione, che gli studiosi della Bibbia oggi sembrano piu' vicini agli illuministi che non a coloro che si dedicavano a questi studi nell'Ottocento: in verita', anche grazie alla critica post-moderna, si e' in gran parte passati oltre la sbornia romantica e positivista e ormai pochi fanno seriamente ricerca storica con l'illusione di scoprire la verita' degli eventi passati. Solo nelle istituzioni religiose piu' conservatrici, paradossalmente, si continuano a cercare le "intenzioni" dell'autore o i testi "originali". Al contrario, rimane vivo quello che io considero essere il pregio maggiore della tradizione illuminista: la consapevolezza della propria responsabilita' morale e politica nello svolgimento del lavoro di ricerca. E' proprio questa caratteristica che si trova in una citazione di John Collins, il grande studioso dell'apocalittica giudaica, che Legaspi commenta con insoddisfazione verso la fine dell'articolo. Legaspi ritiene che configurare gli studi biblici come sapere critico sia inutile per il nostro tempo, in cui il pubblico avrebbe piu' bisogno di sapere perche' si deve avere una Bibbia piuttosto che sapere quale reale valore culturale ha la Bibbia ereditata dalle generazioni precedenti.
Personalmente, credo che, anche se oggi avessimo piu' ignoranza biblica di quanta ce ne fosse in passato (assunto assai discutibile), questa sarebbe solo una ragione in piu' per diffondere un sapere critico. Al contrario, quello che Legaspi prospetta non e' altro che un progetto di evangelizzazione, che ha tutti i diritti di esistere, ma che deve giustamente essere tenuto separato dagli studi storici. Questi ultimi non possono ne' devono servire a creare comunita' di fede (lascio volentieri ai teologi tale compito), ma fornire a tutti la possibilita' di scappare quando tali comunita' diventino, come purtroppo succede assai spesso anche oggi, totalizzanti e assolutiste.

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Devo ammettere che da poco esperto degli studi accademici americani non ho ancora ben capito in che ambito di studi vengono collocati questi "biblical studies". Tra gli studi delle lettere antiche? Tra gli studi di storia dell'antico medio oriente? Tra gli studi di scienze religiose che descrivono il fenomeno del sacro senza giudicare le "verità" di una religione? Tra gli studi teologici allo scopo di cercare quali valori devono avere quei testi per un credente d'oggi? Il testo dell'Iliade può essere studiato in modi molto diversi a seconda se lo si fa o in un corso di letteratura greca, o in un corso di storia greca o in un corso di storia delle religioni antiche. Per questo non ha molto senso dire "studi dell'opera X" senza definire le finalità di quello studio.

In quanto al discorso di quanto sia cambiato il metodo storico critico penso che sia effettivamente un retaggio positivistico quello di ritenere che il metodo storico riesca ad approdare a "certezze assolute" ma naturalmente questo non porta affatto allo scetticismo contenente solo "incertezze assolute" ma soltanto a "incertezze relative". Si può dire che alcune ipotesi sono più plausibili di altre fino a nuovi dati e interpretazioni che però per portare a nuove visioni più convincenti degli accadimenti storici devono usare argomentazioni altrettanto convincenti.

Con tutta sincerità inoltre non so quanto abbia senso dire che gli storici della Bibbia di oggi lavorino in modo più simile a quello di Spinoza che a quello di Schleiermacher. Il fatto è che spesso nei secoli passati gli studiosi della Bibbia avevano anche interessi teologici, mentre oggi a cause dell'estrema specializzazione è molto raro avere ambiti di ricerca così vasti. Comunque sia trovo il "Trattato teologico politico" seppure datato ancora attuale riguardo al valore e alla non sovrapponibilità degli scopi del teologo da quello dello storico.

Ciao.

Anonimo ha detto...

Ah dimenticavo sono naturalmente Michele, tuo assiduo lettore. Grazie peraltro dell'indicazione del blog "Bible and Interpretation", cercavo proprio un blog sulla storia del giudaismo e dell'antico testamento.

Ciao.

Anonimo ha detto...

Concordo con le considerazioni di Giovanni. Ciò che è in questione è la stessa legitimmità degli studi biblici secondo il metodo storico (-critico).
Alcuni episodi occorsi nella mia giornata di ieri cadono quantomai a proposito: al mattino discutevo con uno stretto familiare intorno all'opportunità, per le istituzioni universitarie pubbliche, di destinare i propri fondi a ricerche storiche relative a epoche più remote di quella moderna. Tale persona criticava, in estrema sintesi, proprio i finanziamenti agli studi di storia religiosa, sostenendo che sarebbe meglio destinare i fondi pubblici a ricerche di più pressante utilità collettiva. Per controbattere ho apportato alcuni esempi, a mio avviso validi, per legittimare la spesa per studi di storia del cristianesimo e delle istituzioni ecclesiasiche.
Nel pomeriggio passeggiando per la mia città sono stato fermato in tre circostanze da rappresentanti di tre distinte "denominazioni" cristiane. Essi non facevano in fondo nulla di nuovo: fondavano le loro argomentazioni dottrinali su brani neotestamentari, ma in maniera del tutto induttiva, prendendo cioè dai testi ritenuti sacri solo quei passi che facevano più buon gioco per legittimare le loro conclusioni, indipendentemente da qualsiasi considerazione sui contesti e le tradizioni testuali dei brani trattati.
Sempre ieri ho ascoltato un rappresentante della confessione qui nominalmente dominante, quella cattolica, strumentalizzare dei brani biblici in maniera almeno discutibile dal punto di vista storico: con una serie di salti mortali degni del miglior acrobata, il sacerdote in questione è passato dall'additare in Paolo di Tarso l'autore indiscusso della 1Tm, citando poi Agostino e Tommaso per affemare che non solo nei vangeli, ma già nel più antico testo della bibbia, il Genesi (!), si parla della Trinità di persone e unità di sostanza della divinità.
Alla sera, tornato a casa, ero in parte amareggiato per gli approcci incauti e spesso aggressivi con cui viene maneggiato il testo biblico. Ero comunque ancor più rinsaldato nella convinzione che la ricerca storica possa ancora servire all'individuo contemporaneo (indipendentemente dalla sua fede) per prendere un'orientamento, una posizione, nella selva pubblicistica in cui è costretto a vivere.
Saluti
Etienne

Anonimo ha detto...

Ma il testo biblico stesso così come ci è stato tramandato è il frutto di "approcci incauti e aggressivi"... Non c'è nulla di filologicamente corretto né nel testo, né nel modo in cui, sin dall'inizio è stato costituito, tramandato, "maneggiato". A me sembra che un simile stupore sia proibito a chi abbia una conoscenza minima di storia biblica

Giovanni Bazzana ha detto...

Caro Michele,
grazie davvero per la tua assiduita' e scusa se questa mia risposta ti arriva cosi' in ritardo.
Tuttavia, la tua perplessita' sullo status dei cosiddetti "studi biblici" e' piu' che giustificata: la situazione americana e' infatti, per quanto ne so io, unica e problematica in modo particolare. Esiste infatti una associazione professionale che riunisce tutti i professori di Bibbia della nazione: la SBL (questa e' la sigla) ha piu' di 8000 iscritti e raccoglie accademici che provengono tanto da dipartimenti di studi religiosi in universita' pubbliche quanto da seminari strettamente collegati a specifiche denominazioni religiose. Gli approcci e i metodi di lavoro sono i piu' diversi e infatti il meeting annuale della SBL (che e' il piu' importante appuntamento mondiale per chi e' interessato agli studi biblici) e' una vera e propria Babele. Su questa base strutturale, puoi ben capire quale confusione si sia sviluppata negli anni e quali tensioni covino sotto la cenere.
Un saluto.