mercoledì 29 settembre 2010

Morale sessuale cristiana


Girellando su internet, ho scovato qualche giorno fa questo splendido blog di Arturo Vasquez, un americano di chiare origini messicane, che parla di religione (e, in particolare, di cattolicesimo) in modo tanto illuminante (per chi viene dall'Europa) quanto scanzonato e divertente. Per darvi un esempio dell'atteggiamento che mi piace tanto vi consiglio la lettura di questo post, dedicato allo scottante problema dell'attegiamento ecclesiastico verso la morale sessuale (dei laici). L'incipit vale oro: se si fosse posta a un Padre della chiesa la questione della liceita' dell'uso della pillola anticoncezionale, questi non avrebbe risposto si' o no, ma non avrebbe risposto niente perche' tutti i Padri pensavano che qualunque cosa avesse a che fare con il sesso fosse disgustosa.
Il punto di Vasquez e' che fino ad un tempo relativamente recente il clero cattolico si guardava bene dall'occuparsi di materie sessuali, mentre la situazione sembra essersi ribaltata proprio in concomitanza con il declino del controllo ecclesiastico sulla societa'. Su questa conclusione c'e' poco da discutere visto che le norme, pur continuamente ripetute in modo sempre piu' dettagliato, non vengono rispettate quasi da nessuno. Mi sembra che anche la conclusione generale di Vasquez sia da sottoscrivere: "forse e' venuto il momento per il magistero istitutuzionale di tirare fuori la testa dalla fogna e rendersi conto che la nostra morale sessuale e' un ideale alla cui altezza non si puo' vivere".
Mi piace accostare a quanto scritto da Vasquez questa intervista di Daniel Schultz a Walter Brueggemann, un biblista e teologo di cui non sono un grandissimo ammiratore, ma che in questa occasione da' davvero il meglio di se'. La discussione ha molti punti notevoli, ma vorrei richiamare le battute in cui l'intervistatore e l'intervistato danno un quadro eccezionale della complessa questione dell'aborto. Tutte le relazioni sessuali sono relazioni di potere come anche le loro conseguenze: percio' le battaglie sulla regolamentazione della riproduzione sono a tutti gli effetti battaglie per la regolamentazione della posizione delle donne nella societa'. Non e' corretto, quindi, fermarsi a discutere di protocolli terapeutici o di altri tecnicismi, ma il problema va posto in termini di fedelta' (non solo dei due partecipanti in una relazione sessuale, ma anche, per esempio, dei dottori) e la fedelta' e' un concetto privo di senso se non e' sostenuta da un'uguaglianza radicale.

9 commenti:

Anonimo ha detto...

Non sono un grande lettore di studi sul femminismo e la condizione della donna nel corso della storia ma da quello che so a volte mi sembra che ci si dimentichi nei discorsi sulla morale e sui vari valori ( come uguaglianza, giustizia, libertà...) che prima di essere in grado di pensare ai valori è necessario vivere e per vivere è necessario mangiare.

Se penso alla nostra società quando era ancora in un'epoca basata sull'agricoltura e non su industria e servizi, a quel tempo per vivere occorreva occuparsi di lavori pesanti, dove la donna, essendo fisicamente svantaggiata (e avendo il più il bisogno di avere molti figli data l'elevata mortalità infantile e dato che più figli davano più forza lavoro che a quel tempo era sicuro da trovare) per necessità si occupava di lavori di casa o lavori perlomeno che da soli non davano autonomia economica a una famiglia. Perciò trovarsi un marito era una necessità per sopravvivere e non essere più un peso per la famiglia.

Come si fede qui non c'è un discorso di sottomissione della donna all'uomo, c'è un discorso di sopravvivenza. E' superfluo dire che una visione del matrimonio in tal senso i sentimenti non erano le fondamenta principali su cui si basava (e aggiungerei che dato che "il padre è sempre incerto" non è che farsi problemi di fedeltà fosse primario e nessuno criticava la chiesa sul divieto dei rapporti prematrimoniali).

Oggi naturalmente con la società industrializzata, con l'elevato costo per avere figli, con le difficoltà di trovare un lavoro la visione della vita di coppia e della famiglia è molto diversa e si esita a dire alle adolescenti di costringere a far usare preservativi ai loro partner per evitare gravidanze indesiderate. Mi piacerebbe conoscere qualche buona lettura sulle osservazioni fatte qua sopra.

Ciao.
Michele

Anonimo ha detto...

Ma,io trovo sempre discutibili certe prese di posizione,come quella relativa alla fedeltà matrimoniale,bisogna sempre vedere se la chiave di lettura è religiosa (e assolutistica) o sociologica o antropologica,come dice giustamente Michele.

Claudio

Unknown ha detto...

Non mi sento di sottoscrivere appieno le considerazioni, pur interessanti di Michele. Tempo fa avevo trovato e commentato un "manuale del confessore" del 1887 dove veniva analizzato il VI comandamento secondo le conoscenze e la morale dell'epoca.
Un documento interessante, che svela con quale mentalità veniva visto il sesso all'epoca e, non credo di essere in torto, anche nelle epoche precedenti (le cose cambiavano ad un ritmo decisamente più lento di quanto non avvenga oggi).
Per quel che riguarda il discorso della sottomissione della donna visto come conseguenza della sopravvivenza, poi mi sento di avanzare alcuni dubbi: innanzitutto il fatto che in epoche ancor più "difficili" molte società erano di tipo matriarcale, cosa che di prevede ovviamente principi morali assai differenti. In secondo luogo non è assolutamente vero che nella società contadina la donna, ovviamente svantaggiata da un punto di vista di mera forza fisica, era inadatta a lavori usuranti e relegata al focolare: le donne lavoravano per ore nei campi, anche in stato di gravidanza, fino almeno ai primi anni del dopo guerra (ho testimonianza diretta di nonni e genitori).
Personalmente, sono dell'idea che per secoli il concetto stesso di moralità, almeno per come lo intendiamo noi oggi, sia stato plasmato dalla religione, considerazione che include sia gli aspetti positivi che quelli negativi. L'incapacità dei fedeli di ottemperare alla morale sia più frutto del benessere, oggi decisamente maggiore che in epoche passate. Benessere e sue implicazioni, come Michele a mio avviso giustamente sottolinea.
Spero di non essere andato OT.

Saluti

Anonimo ha detto...

Ciao McG.

Come ho già detto, non ho studiato molto antropologia e storia delle società passate, dunque potrei sempre sbagliarmi. Comunque sia pensavo che l'ipotesi di società antiche matriarcali fosse definitivamente tramontata in antropologia con gli studi di Goldberg e più recentemente di Philip Davis e Cynthia Eller. Magari puoi darmi altre letture al riguardo.

Io non ho negato che le donne in società contadina non potessero fare lavori pesanti, tuttavia dicevo che in passato fare molti figli era conveniente e non dispendioso a causa dell'elevata mortalità dei tempi e del lavoro immediato da trovare (l'istruzione se non era assente durava molti meno anni di ora). Tutto ciò non poteva non avere conseguenze nella morale sessuale. Aggiungo che la divisione della sfera di valori religiosa da quella morale, politica e culturale è un fenomeno tipicamente moderno, dunque in precedenza potrei dire che erano praticamente inscindibili tra di loro. Se vuoi puoi precisare meglio l'idea che ti sei fatto tu al riguardo.

Ciao.

Tanzen ha detto...

Io credo che, nel corso dei secoli, la ricezione da parte del popolo della morale ecclesiastica non sia affatto cambiata. Il sesso prematrimoniale esisteva allora come oggi. Specie per gli uomini, per i quali il ricorso alla prostituzione era una sorta di rito di iniziazione all'età adulta. Quanto alle contadinotte basta ricordare gli aneddoti dei vecchi del paese per capire come un po' di paglia o un prato verde consentissero agli "amanti" di fare quello che oggi i giovani - e i meno giovani - fanno a casa o nei motel.
Credo sia cambiata, complice la secolarizzazione, la visione del fenomeno che, da illecito, è divenuto ora lecito agli occhi del popolo ma non ancora del clero.
La continenza è bella e buona ma si poteva, forse, promuovere in un tempo in cui, a 25 anni, una donna era considerata una zitella irrecuperabile e l'età da matrimonio partiva dai 14-15 anni. Oggi ci si sposa, in media, a 30-32 anni (in MEDIA). Non serve un genio per capire come le medesime disposizioni non possa sussistere salvo in rarissimi casi che probabilmente vedranno la beatificazione dopo il loro decesso.
Quanto all'uso degli anticoncezionali: fintanto che madre natura, tramite le malattie, si premurava di tenere sotto controllo la bolla demografica il divieto dell'anticoncezionale poteva anche starci. Il richiamo era pure giusto: bisognava fare figli per non scomparire come genere umano. Oggi la situazione si è ribaltata: non bisogna fare figli per non far scomparire il genere umano. La medicina è una gran bella cosa ma crea anche problemi immensi: oggi sono ancora qui con noi persone che la natura avrebbe condannato a morte senza appello e che i farmaci e l'assistenza sociale tengono letteralmente in vita. E' uno splendido gesto d'amore verso il prossimo ma comporta delle conseguenze che non possono essere fuggite. Una politica demografica incontrollata che vieti il ricorso agli anticoncezionali e che veda i rapporti sessuali esclusivamente come finalizzati alla riproduzione (fai sesso per fare un bambino e basta, non per piacere) non è giusta o sbagliata ma semplicemente irresponsabile e folle.
Su questo pianeta non possiamo starci in molti più di quelli che si è già. Non c'è spazio/cibo/acqua per tutti (cinesi e indiani se ne sono già accorti). E Gesù non sembra essere così intenzionato a tornare sulla terra. Indi, per precauzione, direi che sarebbe meglio prendere la pillola e usare un preservativo: il genere umano deve perpetuarsi e per farlo ha bisogno di vedere calare il numero di abitanti del pianeta. A meno che Gesù non chiami per avvisare del suo imminente ritorno. Allora sesso e procreazione libera per tutti!

Unknown ha detto...

@Michele,
in realtà sono più d'accordo su quello che dici di quello che traspare dal mio commento. Le mie sono e restano puntualizzazioni frutto di opinioni (opinabili e non definitive)derivate da appunti su varie (e disordinate)letture: ad esempio sul "matriarcato" che trasparirebbe dalla mitologia greca nel periodo antecedente agli Achei, (ma mi rendo conto che è un po' poco), o alcune civiltà megalitiche dove la pianta dei templi ricalcavano le forme femminili, alle tesi che vedono l'affermarsi di divinità maschili in sostituzione delle celebri "Veneri" come specchio del passaggio tra società ove la donna probabilmente rivestiva ruoli di potere (magari non un matriarcato vero e proprio, : società matristiche, matrifocali ecc) e la società patriarcale.
In effetti uso la parola "dubbi" perché tali per me sono, quindi ti ringrazio di avermi dato dei riferimenti e mi scuso se non ho modo di contraccambiare (almeno dall'ufficio...).

Giovanni Bazzana ha detto...

Cari amici,
grazie ancora una volta per l'interessante conversazione.
Confesso di non sentirmi molto preparato per una discussione approfondita sul ruolo sociale della donna nella storia, ma vorrei fare comunque una puntualizzazione in merito a quanto detto da Michele. Mi pare che sia un po' riduzionista affermare che la posizione sociale delle donne in un dato tipo di societa' e' direttamente condizionato solo dalle strutture di produzione. Uno schema di questo tipo richiama certe concezioni marxiste e funzionaliste, ma non mi pare che tenga adeguatamente in considerazione il fatto che le sovrastrutture o le costruzioni ideologiche che regolano la definizione dei generi e i loro poteri (in tutti i tipi di socita') hanno una vita largamente independente e influenzano non poco i modi stessi di produzione. Come diceva anche McG in molte societa' mediterranee le donne lavorano anche piu' degli uomini (e anche all'esterno dell'ambiente domestico), ma il potere e quasi tutto nelle mani dei maschi. In altre societa' (in Africa, per esempio) sappiamo da studi antropologici che gli uomini hanno un ruolo economico maggiore, ma l'organizzazione familiare e' matrilineare e matrilocale.
Credo che ogni situazione vada studiata nella sua specificita', ma, per rispondere anche all'osservazione di Claudio (se ho ben capito cosa intendeva parlando di "assolutismo"), direi che posso accettare la pretesa di assolutismo del discorso religioso ponendo pero' una domanda a margine: il principio assoluto starebbe nell'affermare che il preservativo e' sempre assolutamente male o che il disempowerment di una donna e' sempre assolutamente male?
Ciao.

Anonimo ha detto...

A Giovanni Bazzana.

Certo, probabilmente sono stato un po' riduzionista, di fatto mi basavo sulle mie poche letture compiute. Non so se nella tua facoltà studiate anche i legami della religione con antropologia e sociologia, ma immagino che tali studi si compiano più nelle facoltà di scienze religiose che in quelle legate alla teologia come la tua.

Aggiungerei comunque un'altra cosa: il fatto che in un certo periodo nella struttura della società e della famiglia certe persone abbiano il ruolo di comando e altre abbiano ruoli più subalterni non significa affatto che le persone che non comandano siano completamente sottomesse e prive di alcuna possibilità di influenzare le scelte di chi ha il potere.

Magari inoltre può accadere che ha volte chi ha socialmente molto potere non riesca a realizzare felicemente i suoi scopi mentre uno che appartiene a una classe "inferiore" invece si sente molto più soddisfatto e realizzato nella sua vita di chi è socialmente più in alto. E' bene dunque evitare di associare a certe situazioni di altre epoche visioni "moderne" di uguaglianza, potere e libertà, se prima non si studiano bene queste situazioni storiche.

Ciao.
Michele.

Giovanni Bazzana ha detto...

Caro Michele,
quindi mi presenti l'obiezione della agency: in effetti, sollevi un problema di non poco conto e per cui confesso di aver ben poche risposte.
In altri tempi si sarebbe detto che chi si sente felice, pur essendo "sottomesso", deve essere considerato un mistificato, soggetto all'egemonia culturale di chi domina nella societa'. Tuttavia, le esperienze funeste dell'ultimo secolo (in cui si e' creduto di poter insegnare a tutti qual e' l'unica via per essere felici) inducono a riflettere un momento se sia davvero possibile sapere cosa pensa un'altra persona (quindi, prendo la tua obiezione in senso ancor piu' generale e direi che si deve applicare a tutti i casi di rapporti umani e non solo all'indagine storica).
Naturalmente, una buona soluzione sarebbe dire che bisogna garantire la piu' ampia possibilita' di scelta a chiunque e che se poi uno preferisce rimanere sottomesso peggio per lui, ma e' ovvio che anche questo puo' avere dei limiti (un esempio a caso: certo negli USA dell'Ottocento non sarebbe stato difficile trovare neri contenti della condizione di schiavi, ma quindi sarebbe stato giusto decidere di non abolire l'istituzione?).
Difficile questione: grazie per averla posta.