sabato 3 aprile 2010

Venerdi' santo, sacrificio e violenza

La notizia dell'omelia che oggi padre Cantalamessa ha tenuto al Papa e' rimbalzata subito anche qui e si e' mescolata con un paio di idee che mi stavano in testa da alcuni giorni. Vi stupira' sapere che non si tratta ne' dell'antisemitismo ne' della questione della pedofilia, anche se mi sembra vergognoso e indegno della statura intellettuale di Cantalamessa arrivare a paragonare i problemi di un'istituzione che ha coperto abusi su bambini indifesi ed e' stata riconosciuta come fonte di autorita' appena due giorni fa dai vincitori delle elezioni in uno stato sedicente laico come l'Italia con le sofferenze di milioni di esseri umani che non hanno goduto per secoli nemmeno dei piu' elementari diritti civili solo perche' appartenevano ad una religione minoritaria.
Ma la questione che mi interessa e' quella del sacrificio. Cantalamessa ha commentato brani della Lettera agli Ebrei nella quale la morte di Gesu' e' presentata come un sacrificio espiatorio. Al contrario di molti teologi, Cantalamessa ritiene che si debba continuare a parlare di sacrificio in questo campo, perche', seguendo il pensiero di Rene' Girard, Cristo, facendosi vittima, avrebbe finalmente spezzato la connessione fra violenza e religione che era invece tipica dei culti pre-cristiani. Questa tesi profondamente razzista e' facilmente confutata anche solo quando si guarda al fatto che la violenza e' tutt'altro che assente dalla lunga storia del cristianesimo, ma vorrei soffermarmi su due punti specifici.
Anzitutto, vale la pena di chiedersi come mai Cristo muoia. Si dira': per espiare i peccati dell'umanita'. Giusto, ma come mai i peccati andavano espiati? Perche' Dio aveva bisogno di essere soddisfatto. E che modo a scelto Dio per l'espiazione? Quello della morte e della sofferenza di un innocente, Gesu' di Nazaret. Si puo' fare il gioco delle tre carte teologico come Cantalamessa (e come Girard) fin che si vuole, ma la logica e' questa: l'immagine di Dio che viene fuori e' quella di un sanguinario che necessita almeno di una morte per concedere la salvezza al mondo (vorrei aggiungere malignamente che Cantalamessa se la prende tanto con i media e la televisione, ma forse dovrebbe dare una nuova occhiata - se ha lo stomaco adatto - alla Passione di Mel Gibson, che e' stata approvata anche dal Papa come rappresentazione fedele degli eventi).
Il secondo punto dipende dal primo, ma e' anche piu' inquietante. Sia all'inizio che alla fine dell'omelia, Cantalamessa accenna al fatto che il sacrificio di Cristo ci e' proposto come oggetto di imitazione e che "in ogni vittima della violenza Cristo rivive misteriosamente la sua esperienza terrena". Anni fa, prima ancora che scoppiasse lo scandalo della pedofilia, Elisabeth Schussler Fiorenza aveva scritto (profeticamente, direi) che molte donne e bambini abusati, anche da sacerdoti, avevano taciuto proprio perche' convinti di imitare in questo modo il sacrificio silenzioso e volontario di Cristo. Non c'e' dubbio che Cantalamessa faccia bene a richiamare l'attenzione sul problema dei soprusi maschili nei confronti delle donne, ma e' notevole (per non dir di peggio) come egli non si renda conto che proprio la retorica del sacrificio impedisce di riconoscere che botte, violenze sessuali, umiliazioni fisiche e psicologiche non sono per niente cose che avvicinano a Cristo, ma semplicemente violazioni dei diritti umani che vanno denunciate e perseguite con fermezza e rigore.

5 commenti:

Tanzen ha detto...

In un certo senso non dovrebbe stupire l'immagine di Dio che esige il sacrificio del Figlio per l'espiazione del peccato adamitico. E' lo stesso Dio che pretende, senza riscuotere, il sacrificio di Isacco e che ferma Abramo pochi istanti prima dell'omicidio.
Lo stesso peccato adamitico, la disubbidienza del singolo al comandamento divino, si ripercuote su miliardi di esseri umani caduti, come discendenza, espulsi dall'Eden e divenuti cittadini del mondo. Quel che oggi appare, giuridicamente, un obbrobrio degno delle società più retrograde è fissato nella teologia cristiana.
Scandagliata secondo il principio di ragione la teologia cristiana questa comincia a far acqua da tutte le parti e ad assomigliare ad un abito sgualcito e logoro a cui occorre, ad ogni nuovo strappo, apportare una pezza incuranti del fatto che l'abito abbia perso la sua tinta unita per rivelarsi come il costume di arlecchino.

Matteo Dalvit

Giovanni Bazzana ha detto...

Caro Matteo,
benvenuto qui e grazie del tuo commento.
Non sono infatti per niente stupito che la lettura sacrificale sia presente nei testi del NT, visto il contesto culturale in cui sono stati elaborati, ma mi stupisce molto che si tenti di riproporre concetti del tutto desueti ancora oggi (e con le conseguenze negative di cui parlo nel post).
Tra l'altro, osserverei che certamente questo tipo di teologia e' stata "fissata" da tutta una corrente di pensiero, ma che, al contrario, gia' nel NT stesso esistono molte letture diverse della morte di Gesu'. Luca, per esempio, non sa nulla del sacrificio espiatorio di Gesu', ma ci propone la sua morte come un nobile martirio da imitare; molto si discute se Giovanni abbia una concezione sacrificale e personalmente ritengo abbastanza chiaro che il quarto Vangelo pensi a Gesu' come a un redentore "gnostico", che scende nel mondo e attraverso la sua morte ritorna nel divino mostrando ai discepoli la via per raggiungere la stessa destinazione.
Le alternative sono molte e mi rimane difficile capire perche' si resti attaccati ad una sola che poi e' cosi' tanto problematica.
E' molto bello incontrarti qui: un abbraccio e a presto.

Anonimo ha detto...

Il sacrificio.
L’Italia è l’unica nazione al mondo nella quale, durante il rito della
celebrazione eucaristica, si legge la parola sacrificio: “Prese il pane,
benedì, lo spezzò, lo diede ai suoi discepoli e disse loro: «Prendete e
mangiate questo è il mio corpo in sacrificio per voi»”.
L’unica nazione al mondo dove esiste la parola sacrificio è l’Italia. Il
testo ufficiale della chiesa cattolica non è in italiano, ma in latino e in
latino c’è dato. Se voi avete occasione di andare in Francia, in Spagna,
in Inghilterra e partecipare alla messa, non sentirete questa parola
sacrificio, ma “Questo è il mio corpo dato o donato per voi”.
Perché abbiamo questo ‘sacrificio’?
All’epoca della riforma liturgica, si scontrarono - e fu uno scontro
violento - le due fazioni, di quelli che chiameremo progressisti, che
volevano dare a tutto l’insieme il titolo di ‘cena del Signore’, e quello
dei conservatori, che volevano dare a tutto l’insieme il titolo di
‘sacrificio di Cristo’.
Come sempre succede quando ci sono due fazioni contrarie, si arrivò
al compromesso: chiamiamola ‘cena del Signore’ ma infiliamoci il
‘sacrificio’. La parola sacrificio è solo nella lingua italiana.
Noi abbiamo quattro narrazioni dell’ultima cena:
1. nel vangelo di Matteo (Mt 26, 26-30),
2. di Marco (Mc 14, 22-26),
3. di Luca (Lc 22, 15-20)
4. e nella prima lettera di Paolo ai Corinzi (1 Cor 11, 23-25)
e in nessuna di queste c’è il termine sacrificio.

Giovanni Bazzana ha detto...

Caro/a anonimo/a,
grazie dell' osservazione: non ci avevo mai fatto caso!
Comunque, devo dire che almeno per Marco, Matteo e la 1 Corinzi mi pare difficile non pensare che il linguaggio evochi delle metafore sacrificali.

francesco ha detto...

Non occorre essere specialisti della storia della chiesa per sapere che le raccolte delle "verità di fede" sono lo sfocio di intese raggiunte dopo faticose trattative tra i vari schieramenti teologici presenti nelle assemblee conciliari. La scelta finale può essere ritenuta dettata dallo Spirito santo, ma di fatto esprime la volontà, la linea della corrente maggioritaria, capeggiata da validi o abili oratori e qualche volta spalleggiata da determinanti forze esterne. Non basta sempre aver ragione per vincere una "causa", occorre insieme anche molta fortuna. Sempre i "padri" fanno riferimento alle Sacre Scritture, ma rimangono vincolati alla loro estrazione culturale e alle scuole in cui è avvenuta la loro formazione. Certamente in tutti (è da supporre) c’è il sincero desiderio di confrontarsi con il volere ultimo di Dio, con le proposte di Cristo, ma forse c’è anche la ferma preoccupazione di far valere le loro vedute, le proprie interpretazioni del messaggio "rivelato". Per quanto si voglia le risposte sono sempre particolari, quindi limitate, soggettive. La parola di Dio, la predicazione di Gesù si trova già, nel nuovo testamento, in versioni, interpretazioni contingenti (mai allo stato puro); qualsiasi ripetizione segna sempre un’ulteriore relativizzazione che ci allontana sempre più dalla forma o formulazione originaria.
Il così detto "Concilio di Gerusalemme" (At 15, 1-23), più problematico di quanto appaia, emana un decreto in nome di Dio, ma è una proposta di uomini. Ritorna qui la fatidica frase: "È parso bene allo Spirito santo e a noi" (v. 28), ma alla fine si tratta di un tentativo di giudei-cristiani di imporre loro usanze e pratiche ai convertiti dal paganesimo. La chiesa madre di Gerusalemme, guidata da Giacomo e dal collegio degli anziani (vv. 2-4), cede alle pretese degli exfarisei di assoggettare i gentili alla circoncisione e all’osservanza della legge mosaica per non urtare la suscettibilità dei loro connazionali (At 15, 5,10,19,20-21).
È il primo di una serie di compromessi in cui l’ultimo è quello che si registra nel corso del Vaticano II che pure è l’assise più democratica e più aperta che si abbia avuto nella storia della chiesa. Non di meno anche qui le varie componenti teologiche si ritrovano intersecate nei vari documenti che hanno redatto. Non c’è "Costituzione" o "Decreto" in cui le due anime del Concilio, la destra e la sinistra, i conservatori e i progressisti, non siano in un modo o in un altro presenti nella stesura finale. Lo Spirito santo non può essere posto all’origine delle aspre diatribe, dei dispacci, delle accuse che partono dall’una all’altra corrente e non appare può darsi nemmeno nella loro reale o apparente ricomposizione finale. Questa è sempre frutto di una scelta concordata tra le forze in lotta.
Lo Spirito santo è troppo rispettoso della libertà dell’uomo per intromettersi nelle sue decisioni, tanto più quando queste sono prevalentemente o esclusivamente accademiche. Il credente può scorgere una presenza dello Spirito di Dio nell’aula conciliare, ma questa non si confonde con le voci più autorevoli o più autoritarie che qui riescono a farsi sentire e a dominare. I documenti del Vaticano II non sono da ritenersi né dettati, né proposti dallo Spirito santo, anche se una sua imprecisa azione possa, debba essere, a livello di fede, ipotizzata.