venerdì 9 aprile 2010

Abramo fra mito e storia

La domenica delle Palme la trasmissione di Radio 3 "Uomini e profeti" ha dedicato una delle puntate della sua serie "biblica" alla discussione di alcuni testi della Genesi in cui compare Abramo. In studio c'era il professor Jean Louis Ska del Pontificio Istituto Biblico di Roma e il risultato e' stata una puntata di grande spessore, che potete scaricare qui in podcast.
La discussione e' stata ricchissima di spunti, ma voglio concentrarmi su una riflessione che Ska ha fatto proprio all'inizio, quando l'intervistatrice gli ha chiesto di dire qualcosa sul fatto che la figura di Abramo oscilla fra mito e storia (e' curioso che la stessa domanda non sia stata mai posta prima: a proposito di Adamo, per esempio). Ska ha risposto molto bene affermando che l'insistenza nel fare di Abramo a tutti i costi un personaggio "storico" e' un cattivo risultato dell'apologetica cristiana degli ultimi due secoli: la paura di ammettere che anche un solo particolare della Bibbia fosse "mitico" ha infatti prodotto mostri di cui e' ancora difficile liberarsi oggi. Ska ha poi aggiunto che in effetti nemmeno gli storici (almeno quelli piu' avveduti) pretendono piu' di stabilire "fatti" con la loro ricerca e che quindi una discussione condotta con i canoni del positivismo ottocentesco ha perso ormai molto del suo significato.
Trovo l'analisi di Ska molto buona, ma vorrei andare un po' piu' in profondita'. Un antropologo della mia universita', Michael Herzfeld, alcuni anni fa, richiamandosi alla riflessione filosofica di Giambattista Vico, ha sostenuto che, anche se e' vero che i "fatti storici" non esistono, il fatto stesso che alcuni credano nella loro esistenza genera conseguenze storiche che vanno analizzate e debitamente studiate. Abramo e' una figura mitica, ma (come osserva Ska) su questo mito Israele ha costruito la propria identita' e il proprio senso di comunita': in seguito, sono arrivati personaggi come Paolo che hanno preso il mito di Abramo e l'hanno riempito di un altro significato per creare una comunita' alternativa. Da qui e' nata una battaglia secolare con in palio non solo il "mito", ma il potere che deriva dal controllarlo per farne il fondamento di un'identita' e del diritto di appropriarsi di un'eredita' ancestrale. Questo scontro e' "storico" e sullo studio di questi temi deve concentrarsi il lavoro storiografico piuttosto che sul miraggio irrealizzabile di raggiungere "fatti" incontrovertibili.
Mi dispiace di non essere stato io l'intervistatore perche' c'e' una domanda che avrei voluto fare a Ska e che ancora mi frulla in testa: dopo aver parlato con tanta chiarezza della questione di Abramo, il professore avrebbe detto le stesse cose anche su Gesu'?

7 commenti:

Tanzen ha detto...

Proprio in questi giorni mi trovo alle prese con un "problema" simile. Nel tentativo di ricostruire il martirologio donatista, ovvero di stabilire una collezione di martiri oggetto di venerazione o semplicemente di tributo da parte della chiesa di Donato, mi sono imbattuto nella questione della "storicità" delle fonti che menzionano i martiri. Le passiones e gli acta martyrum, e con esse le epigrafi, possono avvalorare la storicità dei personaggi in esse narrati? Ovvero: l'attestazione letteraria od epigrafica delle passiones può essere considerata una fonte "storica"? Senza scendere troppo nel particolare: su due piedi mi verrebbe da dire di no. L'intento di chi ha iscritto su papiro o inciso nella pietra quei nomi non era biografico ma agiografico, indi viziato alla radice da un sentimento religioso che può giustificare la creazione mitica a scopi pratici (polemici, apologetici, liturgici, teologici e bla bla bla). D'altro canto su questi personaggi non disponiamo di altre fonti: questo è ciò che passa il convento. Rimane quindi da chiarire se questa documentazione, letteraria ed epigrafica, sia così compromessa alla radice da squalificare in partenza ogni tipo di ricerca storica sui suoi contenuti - diverso il discorso sulla sua produzione. Io ritengo di no: in primis perché, parlando ipoteticamente, è sempre meglio avanzare una teoria, un dubbio, una interpretazione, piuttosto che tacere. In secundis, più metodologicamente, perché ritengo che, per la storia del movimento donatista, e per la storia in generale, non sia tanto importante il martire quanto il culto dello stesso ed i suoi effetti nel tempo.
Un po' come avviene per Gesù: conoscere il Gesù della storia non altera il risultato prodotto nella stessa dal Cristo della fede. Certo, l'ipotesi del mito di Gesù sconvolgerebbe la ricerca storica ma i suoi effetti più dirompenti si verificherebbero nell'oggi e nel minuscolo campo storiografico interessato alla storicità della figura gesuana. Per tutti gli altri storici del cristianesimo cambierebbe poco o nulla: falsato il dato d'inizio non si rende necessariamente falsa la storia che da questo è scaturita. Mito o non mito la figura di Gesù avrà comunque prodotto effetti sulla storia e sono questi effetti che legittimano la ricerca sulla sua figura.

Matteo

G. Bastia ha detto...

"dopo aver parlato con tanta chiarezza della questione di Abramo, il professore avrebbe detto le stesse cose anche su Gesu'?"

Non so la risposta dell'intervistato. Però, essendo io un cattolico praticante, non posso non dirmi colpito dal fatto che spessissimo durante le omelie i prdicatori, nel descrivere fatti e vicende di Gesù, usano parole come "è un fatto simbolico", "questo episodio è metafora di..." ecc... Anche la vita di Gesù tende ad essere interpretata sempre più in senso simbolico, non come un fatto reale, ma come una costruzione letteraria volta a voler dedurre la tale lezione morale. Ora, in questo periodo, mi sto interessando di neostoicismo e, in particolare, di Epitteo. Questo filosofo-moralista non rigettava tutto il conglomerato mitologico-religioso greco del suo tempo, penso che non avesse "fede" personale nelle fatiche di Eracle/Ercole o altre vicende simili, non so quanto credesse agli oracoli del suo tempo, probabilmente non molto, però utilizzava costantemente certi miti per metafore e per trarne degli insegnamenti morali validi per i suoi scolari. Il suo utilizzo del patrimonio religioso del tempo, sebbene probabilmente non lo interessasse più di tanto, mi ha fatto molto riflettere sull'operazione che oggigiorno sempre più predicatori cristiani compiono, tale per cui Adamo ed Eva sono un "mito" per dire certe cose, così come Abramo, persino molte gesta di Davide e Saul, fino a gran parte dei detti e fatti gesuani.

Giovanni Bazzana ha detto...

Caro Matteo,
grazie per l'ottimo contributo relativo all'interessante (e ahime' non abbastanza studiato) problema degli scritti donatisti. Mi sembra che ci siano tutti gli elementi di cui parlavo nel post: in fondo e' molto piu' interessante studiare cosa queste figure abbiano prodotto che non i minuti particolari storici del loro martirio.
Sulla storicita' di Gesu' dissento parzialmente, perche' non credo che le conseguenze sarebbero cosi' marginali. Probabilmente hai ragione tu in relazione alla piccola cerchia degli storici, ma negare la storicita' (intesa nel suo senso piu' positivista) di Gesu' avrebbe di certo effetti dirompenti sulle chiese cristiane. Come dicevo nel post, fin dall'Ottocento i teologi e gli apologeti hanno investito tutto sulla difesa di un concetto di storicita' che alla fine era stato imposto loro dall'Illuminismo: se venisse a essere negato quello, si troverebbero in una posizone assai sbilanciata ed e' a questo rischio che cercava saggiamente di mettere riparo Ska nell'intervista.
Un abbraccio.

Giovanni Bazzana ha detto...

Caro G.,
grazie per il paragone assai significativo: anch'io ho di frequente la stessa sensazione e credo che ci sia una ben precisa ragione ermeneutica.
Tu menzioni Epitteto, ma un metodo allegorico assai simile lo puoi trovare applicato alla Bibbia a partire da Origene per arrivare fino all'epoca Illuminista. Da quel momento in poi, con il culmine a cavallo fra Ottocento e Novecento, si pensa che la ricerca storica possa accertare come si sono svolti i "fatti" o quali erano le interpretazioni "originali". Per fortuna, ora stiamo abbandonando quel tipo di dogmatismo, ma, come dico sempre agli studenti, non si puo' piu' tornare indietro a prima del peccato originale.
Non e' che Origene fosse piu' stupido di noi (anzi, probabilmente era molto piu' acuto) o che non si accorgesse degli errori fattuali o storici della Bibbia: in realta', nel suo impianto gnoseologico e ontologico le cose importanti erano altre. Il problema e' che oggi questi fondamenti del pensiero sono totalmente cambiati e non si puo' ritornare a pensare come i Padri con un colpo di bacchetta magica. Io credo che il disagio dei predicatori derivi in gran parte da questo: sono come su un letto di Procuste fra l'esigenza di fare discorsi tradizionali (ma senza basi filosofiche condivise) e il desiderio di accontentare il positivismo che e' ancora molto diffuso. Non li biasimo anche perche' vedo che pochi teologi affrontano di petto queste questioni e cercano di fornire risposte che non siano semplificazioni in una direzione o nell'altra.
Un saluto.

G. Bastia ha detto...

Penso di debba essere un certo limite all'allegoria e all'utilizzazione di materiale mitologico. Per esempio Epitteto a un certo punto, nel tracciare una distinzione tra il sentirsi isolati interiormente (ερημια) e il sentirsi soli in senso fisico (μονια), fa un paragone con l'antica dottrina della conflagrazione (εκπυρωσις) del mondo, che deriva da Eraclito, poi fu ripresa dalla stoà antica e nel corso dei secoli era evidentemente arrivata al neostoicismo, dal momento che la utilizza anche Seneca in una sua lettera. Epitteto dice che dobbiamo prendere a modello Zeus il quale pur essendo fisicamente solo in quanto come noto nella εκπυρωσις si distruggeva tutto l'universo e con essa tutti gli dèi e tutti gli esseri soprannaturali e solo Zeus rimaneva, ma non per questo era "isolato", in quanto presideva a tutta una serie di attività, pur essendo fisicamente solo. Ora, il paragone letterario è certamente suggestivo, qui Epitteto usa una dottrina antica che alcuni potrebbero bollare come superstizione o antica fantasia indimostrabile, da un punto di vista letterario rende benissimo il concetto di quel che vuol dire e applicare all'uomo quotidiano (del suo tempo) per aiutarlo a vivere meglio ma, mi chiedo, che motivazioni può dare, che consolazioni, il rifarsi a cose del genere? Io stesso non sono in grado di stabilire quanto Epitteto "credesse" poi materialmente a queste cose, sebbene fossero dei concetti di cosmologia stoica di una certa rilevanza. Sta di fatto che ne parla e da queste e altre cose trae indicazioni di vita, di come rapportarsi alle cose, ecc... Nel caso "cristiano" va certamente bene applicare alla vita quitodiana tutta una serie di metafore o fatti altamente simbolici. Ma se venissero a cadere dei pilastri fondamentali, come la risurrezione di Cristo, come il suo rapporto privilegiato col "Padre" (che poi con questo nome, ο πατηρ, si è tanto speculato ma poi, pensandoci bene, è un modo di appellare o designare la divinità usato benissimo anche dai Greci per Zeus, fin dai poemi omerici, altro che rapporto speciale tutto "ebraico" tra Gesù e il Padre...), come tutti i miracoli, come l'istituzione del discepolato, la forza della preghiera, ecc..., mi chiedo che senso avrebbe rifarsi ancora a questa religione.

Carissimi saluti.

Tanzen ha detto...

Caro Giovanni,

concordo pienamente con quanto detto. Forse mi sono espresso male ma quel che intendevo è proprio quel che mi hai ribattuto: concordo infatti sul fatto che gli effetti di una ipotetica scoperta del mito di Gesù comporterebbero enormi conseguenze:
-per gli storici che ne analizzano la figura
-per i fedeli (era a loro che facevo riferimento scrivendo che "i suoi effetti più dirompenti si verificherebbero nell'oggi": con quell' "oggi" intendevo fare riferimento ai fedeli, ai cristiani contemporanei).
Ma la scoperta di una eventuale "bugia" sulle origini non provocherebbe una perdita di valore delle esperienze storiche del cristianesimo. In fondo, è un po' questo il bello della storia: passa sopra la bontà/correttezza dei concetti limitandosi a registrarli.

Giovanni Bazzana ha detto...

Caro G.,
capisco il tuo punto di vista, ma vorrei chiarire un aspetto, perche' mi sono accorto di non essere stato forse abbastanza chiaro.
Penso che la risposta di Ska che io commentavo abbia avuto il pregio di mettere un limite a certe pretese di una ricerca storica che viene troppo spesso pensata ancora in termini positivisti. Ci sono alcuni temi (tu citi la resurrezione) su cui la storia non potra' mai pronunciarsi ne' in senso ne' nell'altro. in piu', direi che e' utile e sano riconoscere che la storia non e' l'unica forma di conoscenza o razionalita' a disposizione degli essere umani. Percio', anche se la ricerca storia approda a conclusioni inconcludenti, ad esempio, sul problema del Gesu' storico, cio' non vuol dire che, ad esempio, la fede nella divinita' di Cristo debba crollare o debba essere squalificata come irrazionalita' o come superstizione. Condivido il pensiero di Ska anche quando lamenta il fatto che l'apologetica cristiana contemporanea si e' fatta imporre l'agenda da un certo liberalismo teologico ottocentesco in un modo che ha generato problemi per entrambe le discipline che chiamiamo storia e teologia.
Ricambio i saluti.