Tabor si concentra su una questione filologica classica e assai interessante: uno dei grandi rami della tradizione del Nuovo Testamento e' il cosiddetto "testo occidentale", che noi conosciamo soprattutto attraverso un famoso manoscritto del V secolo (detto D) e molte traduzioni antiche, fra cui quella latina e quella siriaca. In genere, il testo occidentale viene considerato non originale dai filologi, perche' spesso ha delle aggiunte al testo dei libri del Nuovo Testamento: ad esempio, il testo occidentale degli Atti degli apostoli e' piu' lungo di quasi un 10% rispetto a quello che conosciamo attraverso gli altri manoscritti antichi. In questi casi si applica una regola (lectio brevior potior), che stabilisce che il testo piu' lungo e' di sicuro secondario: il principio e' che e' piu' facile per uno scriba aggiungere qualcosa piuttosto che toglierlo quando sta copiando uno scritto che considera sacro.
Ci sono pero' una manciata di eccezioni che si concentrano nel finale del Vangelo di Luca: in questi pochi casi, il testo occidentale e' piu' corto di quello degli altri manoscritti. In teoria, dovrebbe valere la regola generale, ma sfortunatamente alcuni di questi passi hanno un'importanza teologica non da poco. Ad esempio, Lc 22:19b-20 andrebbe eliminato, ma se leggete il passo senza la seconda parte del versetto 19 e senza il 20, vi accorgete che Gesu', all'Ultima Cena, non consacra piu' il calice del vino! Anzi, per dirla tutta, sembra che Luca inverta l'ordine delle consacrazioni rispetto a quello che si trova in Matteo, Marco e anche in Paolo: verrebbe quindi prima il vino e poi il pane. Per non avere di questi problemi, quasi tutti i filologi hanno sempre dimenticato la regola della lectio brevior e hanno mantenuto il testo teologicamente meno problematico.
Bisogna dire che questa scelta editoriale non e' totalmente immotivata: in effetti il testo piu' lungo si trova in tutti i testimoni piu' antichi e migliori (e anche nei papiri che sono piu' antichi dei manoscritti). D'altra parte, Tabor fa notare una cosa vera: un'Ultima Cena in cui manca ogni riferimento alla morte di Gesu' sarebbe piu' coerente con la teologia del Vangelo di Luca, per cui la morte di Gesu' non e' mai sacrificio espiatorio. E' molto difficile decidersi, ma non mi sento ancora pronto ad abbracciare la scelta di Tabor: rimango ancora convinto che si debbano guardare prima i dati testuali e solo in un secondo tempo le idee teologiche.
4 commenti:
Sono d'accordo con te, anche perché D ha tutta una serie di "non interpolazioni" (che termine goffo) e di aggiunte che sembrano, almeno a mio avviso, alterare un po' la teologia di Luca: quindi perché partire dalla teologia di Luca estrapolata dal testo Occidentale per poi giustificare (o preferire) le scelte di D?
Detto questo, D ha dei testi per me molto belli e significativi, tipo Lc 6:4D "Lo stesso giorno, vedendo un uomo che lavorava di Sabato, gli disse: 'Uomo, se davvero sai quello che stai facendo, sei benedetto; ma se non lo sai, sei maledetto ed un trasgressore della legge'". Chissa perchè...
Caro Luca, sono in principio d'accordo, ma con piu' esitazioni di quante non ne ho esplicitate nel post.
Anzitutto, mi sembra che le "non-interpolazioni" non vadano contro la teologia di Luca (nel caso di cui parlavo, per esempio, sarebbe piu' sensato parlare di una Ultima Cena senza sacrificio espiatorio, perche' questo tema e' del tutto assente dall'orizzonte teologico di Luca.
In secondo luogo, si dice spesso che i papiri confermerebbero la maggiore antichita' del testo alessandrino, ma diciamocelo chiaro: cosa sono questi papiri? La situazione non e' affatto buona, perche' fino al IV secolo abbiamo solo 4 papiri e tutti di pochi versi tranne P75 che e' l'unico a coprire anche il capitolo 22.
Per questo il testo occidentale resta sempre interessante. Ciao.
vero. grazie per la risposta :)
Grazie per la domanda!
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