sabato 26 settembre 2009

Febe e le traduzioni italiane della Bibbia

Oggi sono incappato per caso in un articolo di Elizabeth McCabe sulle traduzioni inglesi dei versetti in cui Paolo menziona Febe, una sua collaboratrice della chiesa di Corinto (potete leggere il testo sul sito della SBL, la Societa' Biblica americana): siccome alcuni giorni fa avevo parlato di Giunia, mi pare giusto dire alcune parole anche su questa altra donna misconosciuta.
Febe e' citata nei primi due versetti del capitolo 16 della Lettera ai Romani ed e' probabilmente lei che porta a Roma la missiva di Paolo. Nel primo versetto, Paolo dice testualmente: "Vi raccomando Febe, nostra sorella, che e' anche diakonos della chiesa di Cencre". McCabe fa notare che tutte le traduzioni inglesi evitano di tradurre il greco diakonos con il normale "diacono", ma dicono che Febe e' "al servizio" della chiesa (in effetti, tecnicamente diakonos deriva da un termine che vuol dire "servire"). Ho dato un'occhiata per curiosita' alla traduzione italiana della CEI: non a caso, quella piu' nuova, del 2008, ci da': "che e' al servizio della chiesa di Cencre". La cosa davvero sconcertante e' che la vecchia traduzione, quella degli anni '70, aveva: "diaconessa della chiesa di Cencre"! In realta', la cosa e' sconcertante solo in parte, ma si capisce subito se si fa una piccola riflessione storica: negli anni '70 nella chiesa cattolica italiana non c'erano ne' diaconi ne' diaconesse. Da una decina d'anni a questa parte, pero', visto il calo del numero dei sacerdoti, e' stata ripristinata la carica dei "diaconi permanenti", che ovviamente sono tutti uomini. A questo punto anche il termine "diaconessa" non va piu' bene: potremmo immaginarci la povera Febe che veste i paramenti sacerdotali? No, e' meglio che pensiamo che fosse una delle "pie donne" che aiuta a spazzare la chiesa.
La questione diventa piu' sottile quando si legge il versetto 2: "affinche' la accogliate nel Signore in modo degno dei santi e la assistiate in qualunque cosa ella abbia bisogno di voi: infatti lei e' stata prostatis di molti e anche di me stesso". In tutte le traduzioni italiane il termine greco prostatis viene tradotto come "protettrice", ma McCabe osserva che il greco deriva dal verbo proistemi che vuol dire prima di tutto "essere a capo, dirigere". Infatti in tutte le altre occasioni in cui un vocabolo derivato da proistemi compare nel Nuovo Testamento (sempre riferito ad uomini) la traduzione e' ben diversa: 1 Timoteo 5:17 e' un buon esempio ("I presbiteri che esercitano bene la presidenza siano considerati meritevoli..."). E' chiaro che le nostre traduzioni vogliono evitare assolutamente che si abbia l'impressione che Febe abbia "presieduto" su Paolo.
Concordo con la conclusione di McCabe: e' sempre meglio leggere il greco e non fidarsi delle traduzioni, ma vorrei anche aggiungere un altra riflessione. Mi sembrava che la versione 2008 della Bibbia CEI fosse migliore della vecchia, ma questa volta sono rimasto un po' male: tanto piu' quando si vede che anziche' migliorare si e' peggiorato.

1 commento:

Frances ha detto...

Giustissimo: meglio leggere il testo in greco che affidarsi a traduzione volubili, di qualsiasi bandiera. La cosa sconcertante è che la maggior parte delle società bibliche non spende mai una parola introduttiva per giustificare un cambiamento, anche sostanziale, nella traduzione dei versetti. Spesso si tratta di innovazioni del tutto ingiustificate di fronte alla semantica del testo greco. Con ciò non intendo affermare che questa volubilità sia dettata esclusvamente da motivi ideologici, ma che la scelta del tradurre si conforma a tempi, luoghi, contesti, ahimè, spesso al capriccio dell'autorità ecclesiastica di turno. Un altro esempio, di segno contrario, è la traduzione di Lc 23:32, con l'omissione del cardinale "duo" in alcune versioni della CEI, una scelta apparentemente immotivata, nonostante la tradizione manoscritta sia sostanzialmente uniforme nel tramandare la lezione testuale.