venerdì 25 settembre 2009

Ellenizzazione del cristianesimo III

Ho continuato ad ascoltare le interessanti registrazioni del convegno annuale dell'ABI e quest'oggi e' toccato all'intervento di Daniel Marguerat sugli Atti degli apostoli. Il lungo discorso e' davvero molto stimolante, ricco di spunti e molto dettagliato, come ci si poteva aspettare da questo studioso dell'Universita' di Losanna, che ha ormai acquisito una posizione di grande rilievo negli studi francesi e tedeschi sul Nuovo Testamento. Devo dire con rammarico che ho avuto la netta sensazione che Marguerat abbia parlato molto da teologo (e' questa in fondo la sua formazione) e soprattutto che abbia parlato molto da apologeta del testo di Luca. In effetti, mi pare che se il discorso di Marguerat fosse stato tenuto da uno studioso della fine dell'Ottocento o degli inizi del Novecento non ci sarebbe stata nessuna differenza (non e' un caso che il primo esempio presentato da Marguerat sia lo stesso - il paragone fra Paolo e Socrate ad Atene - esaminato circa cento anni fa dal grande von Harnack). Il modo in cui Marguerat guarda agli Atti fa pensare che per lui alcuni degli avvenimenti chiave della storia dell'ultimo secolo non si siano nemmeno verificati o che comunque non abbiano avuto nessun peso nell'influenzare il suo modo di guardare ai problemi. Faccio brevemente due esempi che mi sembrano rappresentativi.
Il primo punto riguarda il rapporto con gli Ebrei: Marguerat fa notare che Luca ci tiene a citare spesso e a proposito la Bibbia ebraica e che perfino Paolo (contrariamente alla probabile verita' storica) viene presentato come estremamente rispettoso dei precetti della Legge. E' evidente che Marguerat sa che si e' verificato l'Olocausto e che quindi bisogna evitare di dire che il cristianesimo e' anti-giudaico, ma mi pare che la soluzione sia molto all'acqua di rose. Se un lettore apre gli Atti degli apostoli vede subito che la demonizzazione degli Ebrei e' una strategia costante di Luca (son sempre loro che si oppongono al Vangelo, che denunciano gli apostoli alle autorita', eccetera eccetera). Il fatto di mostrare che i cristiani sono rispettosi della Legge e' di sicuro un'altra strategia narrativa: ma come, i cristiani fanno di tutto per onorare il giudaismo e guarda un po' cosa succede? Gli Ebrei son talmente malvagi che non smettono mai di trovare pretesti per perseguitarli!
La seconda riflessione riguarda l'ellenizzazione vera e propria: per Marguerat, il fatto che Luca racconti di come il messaggio cristiano si trasferisca in categorie greche e' "il frutto piu' alto" della rivelazione divina. Come premessa, dico subito che negli ultimi anni si e' riflettuto molto sul colonialismo e su come le culture dominanti influenzano quelle dei popoli assoggettati: il fenomeno di colonizzazione non e' solo distruzione e soggiogamento, ma e' soprattutto una forma di violenza piu' sottile ed efficace che costringe il suddito a diventare come il dominatore, se vuole sopravvivere. Questo e' esattamente quello che accade nel caso di Luca che fa diventare il cristianesimo imitatore e servitore dell'impero, perche' era questa la strategia che andava bene al momento.

4 commenti:

Elijah Six ha detto...

"Perfino Paolo (contrariamente alla probabile verita' storica) viene presentato come estremamente rispettoso dei precetti della Legge."
In che senso Paolo non sarebbe stato rispettoso dei precetti della Legge?
A me non pare che Paolo dica e abbia mai detto ai giudeo-cristiani di non rispettare più i precetti della Legge, anzi, consiglia a loro di continuare a seguirli (vedi ad esempio in 1 Corinzi 7:17-18). Solo che lui è anche del parere che i pagano-cristiani non si devono convertire al Giudaismo per poter credere in Gesù. Come direbbero anche gli ebrei al giorno d'oggi, i pagani basta che seguono le leggi noachidi e non di certo tutti i 613 mitzvot presenti nella Torah. La circoncisione non serve per loro - è un segno peculiare del popolo eletto -, come nemmeno seguire tutte quelle norme alimentari assai dettagliate.
Fintanto però che i pagano-cristiani non si mescolano con i giudeo-cristiani tale distinzione tra di loro non è di certo un problema. Il vero problema sorge quando a tavola ci si trova assieme, come nel caso dell'incidente ad Antiochia.
Paolo, in quel caso, è del parere che i due gruppi si possono mescolare e i giudeo-cristiani possono mangiare anche ciò che mangiano i pagano-cristiani, mentre quelli più osservanti sono per una netta distinzione (non si possono trasgredire le norme alimentari). L'ipocrisia di Pietro è che fintanto non c'erano quelli che sono poi arrivati da Gerusalemme seguiva e concordava con Paolo, poi, arrivati loro, si è tirato indietro. Da un lato potremmo dire che abbiamo il pragmatismo paolino (Paolo mi pare essere piuttosto famoso per i suoi compromessi di fronte ai problemi concreti con cui si ritrova a che fare nelle sue comunità), mentre dall'altro l'idealismo giudaico.
Gesù non essendosi probabilmente mai rivolto ai pagani, non ha mai avuto problemi del genere, al contrario di Paolo. Lui in un qualche modo doveva pur affrontare la questione, con le dovute conseguenze. Il punto del dibattito era probabilmente proprio come comportarsi e cosa pretendere dai pagano-cristiani: devono convertirsi al giudaismo? Devono circoncidersi? Devono seguire i precetti alimentari? Devono seguire la Torah filo per segno?
Se la risposta è no, se nel concilio avvenuto a Gerusalemme verso il 50 d.C. si è deciso di no, allora diventa già un po' più chiaro come pian pianino sia avvenuta la spaccatura definitiva tra ebrei e cristiani.

Giovanni Bazzana ha detto...

Buon riassunto. Sono in disaccordo solo su di un punto: come in tutte le questioni, se si guarda solo all'aspetto teologico, si dimentica facilmente quali sono le questioni di potere nella vita reale. Paolo impone ai giudeo-cristiani di abbandonare le loro osservanze se vogliono stare con i pagano-cristiani: facendo questo ovviamente si inchina al potere della societa' greco-romana. Altri hanno scelto di non scendere a compromessi e infatti la storia, scritta dai forti, li ha dimenticati quasi del tutto.
Mi sembra anche che non sia facile parlare con tanta sicurezza del "concilio" del 50: abbiamo due relazioni. Una (Paolo) dice che non si decise niente, l'altra (Atti, scritto a piu' di cinquant'anni di distanza) la racconta un po' diversamente.

Elijah Six ha detto...

"Paolo impone ai giudeo-cristiani di abbandonare le loro osservanze se vogliono stare con i pagano-cristiani."
Il verbo "imporre" non mi convince troppo. ;D Secondo me la posizione di Paolo è la semplice conseguenza logica e normale dell'aver deciso (Giacomo, Pietro e Giovanni concordi con Paolo) che i pagano-cristiani non devono convertirsi al giudaismo (vedi Galati 2:1-10).
Il punto di riferimento e di legame tra i credenti diventa Gesù e non più la Legge. L'aver deciso che i pagano-cristiani non devono convertirsi alla Legge significa in un certo qual senso di aver messo al primo posto la fede in Cristo, il risorto (inizia una nuova vita in Cristo) e solo dopo la Legge (irrilevante per la salvezza dei pagani).
Questo di fatto non sarà di certo piaciuto ai giudeo-cristiani più radicali e conservatori in seno alla comunità di Gerusalemme condotta da Giacomo, i quali avranno sicuramente voluto che i pagani si convertissero al giudaismo (è la Legge che conta per la salvezza) per evitare appunto che si arrivasse poi a situazioni spiacevoli come l'incidente ad Antiochia e al lento abbandono dei precetti della Torah (risultato del semplice sviluppo della situazione e delle decisioni prese - se infatti la Legge è irrilevante per la salvezza dei pagani, per quale motivo dovrebbe essere rilevante per i giudeo-cristiani? È la fede in Cristo che salva...).
Quindi, per riassumere, non credo che quanto riportato in Galati da Paolo sia poi così distante da quanto troviamo scritto negli Atti degli Apostoli: a Gerusalemme qualcosa venne deciso o perlomeno concesso: l'apertura verso i pagani e il fatto che essi non dovessero convertirsi al giudaismo. Questo non significa che poi di problemi non ce ne sono più stati, ma solo che si era fatto un passo importante verso l'allontanamento dal giudaismo.
P.S.:
I punti chiave per comprendere il tutto:
1) I pagani devono convertirsi al giudaismo?
2) Ci si salva perché si crede in Cristo o perché si segue la Legge?
Se di fatto si decide che i pagani non devono convertirsi al giudaismo per poter credere in Cristo, si ammette volente o nolente che è per fede in Cristo che ci si salva e non perché si segue la Legge.

Giovanni Bazzana ha detto...

Sono d'accordo. Anch'io penso che questo fosse il pensiero di Paolo (nella sua sistematica confusione), ma c'e' una questione: cosa vuol dire che "la posizione di Paolo e' la conseguenza logica e normale" della decisione presa a Gerusalemme? Come ho detto prima, la conseguenza e' "logica" solo se si accetta la ricostruzione (tendenziosa?) dei fatti che ci da' Paolo ed e' "normale" solo perche' questa posizione ha poi vinto la battaglia storica per stabilire cosa dovesse essere il cristianesimo. In effetti, se si guarda al contesto greco-romano o a quello giudaico, la scelta di prescindere da tutte le tradizioni culturali rimane una follia bella e buona. E' la tradizione del paolinismo successivo che ci fa immaginare che i giudeo-cristiani avrebbero sicuramente "voluto che i pagani si convertissero al giudaismo". Anche ammettendo che al tempo di cui stiamo parlando esistesse qualcosa che possiamo chiamare "giudaismo", tutti i documenti giudeo-cristiani che possediamo ci rendono un'immagine ben diversa: ai gentili viene richiesto solo un minimo necessario per la convivenza.