martedì 20 dicembre 2011

Parole, azioni e significati

Larry Hurtado ha pubblicato alcuni giorni fa sul suo blog un post piuttosto problematico, particolarmente se uno tiene in considerazione la grande levatura dello studioso. Si tratta di alcune brevi riflessioni che il professore di Edinburgo fa a seguito di una serie di conferenze da lui tenute in America. Al centro di queste considerazioni sono i motivi che l'hanno spinto a interessarsi delle "pratiche devozionali" dei primi gruppi di credenti in Gesù. Un lavoro decennale che ha permesso a Hurtado di scrivere volumi di grande successo e, come ho già detto in altre occasioni, di offrire un contributo fondamentale alla storia delle origini cristiane.
Tuttavia, in questa occasione, Hurtado mi sembra presentare delle motivazioni che trovo alquanto problematiche. Secondo lui, "le pratiche devozionali possono aiutarci a capire cose vogliono effettivamente dire (actually means) i discorsi religiosi o la retorica di un gruppo". Giù a una prima occhiata, è evidente che questo tipo di linguaggio, che suggerisce una distinzione fra parole ingannevoli e azioni veritiere, può creare non poche difficoltà al lavoro dello storico.
L'impressione è immediatamente confermata dall'esempio che Hurtado utilizza per chiarire il suo di pensiero. Abbiamo due uomini che asseriscono di amare le loro mogli, ma uno dei due ha occasionalmente rapporti con altre donne, mentre il secondo no. Hurtado conclude che i due, quando dicono di amare le loro mogli, "intendono cose molto differenti". C'è molta attenzione nel non dire che uno dice la verità e l'altro no, ma, dato anche il tipo di esempio scelto, è difficile evitare questa conclusione. In questo senso, non aiuta il fatto che Hurtado descriva il "libertino" come uno che "ammette" di fare sesso con altre donne, ma ciononostante "insiste" nell'affermare di amare veramente la moglie. Non c'è dubbio che qui Hurtado si serve di un criterio di valutazione che poggia su una definizione di "amore" coniugale "normale" in quanto fondato sull'esclusività sessuale. In questo modo l'esempio, lungi dal farci entrare nella testa dei due uomini, ci dice invece qual è la relazione che Hurtado considera la "norma" su cui giudicare le altre (inoltre, a voler essere poco caritatevoli e a voler provare a entrare nella sua di testa, potremmo anche giungere alla desolante conclusione che, per lui, il pilastro dell'amore fra due sposi sono i rapporti sessuali).
I nodi vengono al pettine quando Hurtado finalmente giunge a parlare di monoteismo e pratiche devozionali. Nell'antichità molti parlavano di "un solo dio", ma solo Ebrei e cristiani facevano seguire a questa professione di fede i fatti, vale a dire il rifiuto categorico di partecipare all'adorazione de "gli dei". In soldoni, anche i pagani potevano dire di essere monoteisti, ma il solo monoteismo "vero" (e, ovviamente, per Hurtado "normativo") è sempre stato solo quello giudaico-cristiano.
Su questa tesi si potrebbe aprire una lunga e interessante discussione, ma le premesse di Hurtado mostrano la corda appena uno guarda al paragrafo che conclude il suo post. Va notato, ci viene detto, il fatto "curioso" che i cristiani includessero Gesù al fianco di Dio, "come un secondo destinatario di devozione, distinguibile, ma connesso in modo unico". Come? Ma non abbiamo qui un altro caso esemplare di persone che parlano tanto di monoteismo, ma poi, alla prova delle azioni, non sono altro che dei politeisti?      

2 commenti:

albertog ha detto...

Mi sembra interessante su questo punto una cosa che scrive Northrop Frye in Anatomia della critica. E' un libro che parla di critica letteraria, ma mi pare pertinente perché Frye era un pastore protestante e usa spesso la Bibbia (assieme a Dante e Milton) come esempio per le sue argomentazioni. Scrive Frye: "Quando all'inizio dell'ottavo libro dell'Iliade Zeus afferma che egli può attrarre a sé l'intera catena dell'essere ogniqualvolta gli piaccia, ci accorgiamo che per Omero c'è una sorta di duplice prospettiva in Olimpo, dove un gruppo di litigiose divinità poteva, in qualsiasi momento, armonizzarsi secondo i dettami di un'unica volontà divina". E poi aggiunge: "Possiamo forse istituire un confronto con il Libro di Giobbe, dove Giobbe e i suoi amici sono troppo devoti perché li sfiori il pensiero che le sofferenze di Giobbe siano il risultato di una scommessa semiseria tra Dio e Satana, Da un certo punto di vista essi hanno ragione ed è sbagliato quanto si dice al lettore su Satana in cielo. Alla fine del libro Satana scompare e anche se si vuole attribuire questo fatto ad un rifacimento posteriore, è difficile immaginare che l'illuminazione finale di Giobbe consenta di tornare, dall'idea di un'unica volontà divina, allo spirito della scena iniziale".

Giovanni Bazzana ha detto...

Caro Alberto,
grazie per l'interessante citazione e auguri.