domenica 6 novembre 2011

Lo stile dell'evangelista Marco

Nell'ultimo post ho riportato in sommario alcuni aspetti rilevanti di una interessante diatriba fra Rod Decker e Jim Hamilton. Va detto che la discussione è proseguita, allargandosi anche grazie all'intervento di altre voci. In particolare, merita una lettura questo post di BLT, nel quale Suzanne McCarthy fa notare, contro Hamilton, che l'omissione di alcuni termini è abbastanza comune in tutte le traduzioni del Nuovo Testamento (anche in quelle conservatrici) e non sembra inficiare la loro ortodossia.
La stessa obiezione era stata mossa, mi sembra con molta ragione, anche dallo stesso Decker in un lungo post, nel quale sono presi in esame brani sia della Bibbia ebraica (Genesi) che del Nuovo Testamento (Marco). A proposito di quest'ultimo, credo valga la pena di fare qualche ulteriore riflessione.
Decker osserva che nel primo capitolo del Vangelo di Marco ci sono trenta frasi che cominciano con la congiunzione greca καί, che usualmente viene considerata l'equivalente di "e". Nessuna traduzione riproduce fedelmente questa struttura che, in qualunque lingua, risulterebbe monotona all'estremo e pedestre dal punto di vista stilistico. In questo senso, mi pare che Decker muova un'obiezione decisamente fondata a Hamilton.
Tuttavia, Decker aggiunge che la ripetizione insistita di καί all'inizio delle frasi è tipica di Marco, perché questo sarebbe da considerarsi segno dell'influenza della "lingua madre" semitica dell'autore. In effetti, nella Bibbia ebraica è normalissimo trovare sequenze di frasi che cominciano tutte con la congiunzione "waw", ancora considerata l'equivalente di "e". Questo giudizio si trova ripetuto da molti esegeti, che spiegano in questo modo la predilezione di Marco per le strutture dette tecnicamente "paratattiche". Questo significa che Marco sarebbe portato dal suo background semitico a infilare lunghe serie di frasi legate solo da "e ... e ... e" come un bambino delle elementari, che non è capace di usare le congiunzioni "subordinanti" come "se", "perché", "che" eccetera.
Questo argomento, purtroppo, è un altro esempio di uno di quei semitismi inesistenti che vengono ripetuti dagli esegeti perché sono funzionali ad una certa lettura ideologica dei testi. Marco preferisce la "paratassi" perché la sua lingua madre è semitica, ma, allo stesso tempo, questa preferenza dimostra che la sua lingua madre era l'ebraico o l'aramaico. In realtà, è facile evitare questo circolo vizioso. Basta osservare che uno stile paratattico è del tutto comune nel greco del tempo e se ne trovano esempi chiari non appena si lasciano gli scritti dei grandi retori e letterati per leggere qualche testo "sub-letterario" o qualche papiro documentario. Per continuare l'analogia introdotta sopra, non è che, siccome Gadda scrive in un italiano particolarmente complesso, gli autori che scrivono più semplicemente non scrivono in italiano o che si deve concludere che i bambini delle elementari hanno tutti un background semitico!
Purtroppo, tali riflessioni erano già state avanzate più di cent'anni fa da un grande studioso inglese, James H. Moulton, nei Prolegomena della sua importantissima "Grammar of New Testament Greek" (p. 12): "In se stesso il fenomeno non prova nulla più di quanto farebbe una serie di 'e' nella storiella di un paesano inglese - una cultura elementare, e non la presenza ostruzionistica di un idioma straniero che viene perpetuamente tradotto nel suo equivalente più letterale".

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Ciao Giovanni!
D'accordissimo sul tuo pensiero. Pero mi chiedevo: trenta frasi cominciano con kai....e le altre?
Forse questo criterio potrebbe essere usato (coniugato con altri, ovviamente) per identificare l'inserzione di materiale pre-marcano nel secondo vangelo; oppure si potrebbe pensare ad una intenzione letteraria di Marco (accelerare il tempo della narrazione in passaggi strategici?)
Non mi aspetto una risposta precisa, ma volevo solo gettare una pietra nello stagno :)

un forte abbraccio

Luca Marulli

Anonimo ha detto...

Ciao, scrivo in riferimento al mio commento di sopra. Mi sono espresso male: non volevo dire che ci sono inserzioni (o interpolazioni) nel vangelo di Mc. Mi riferivo all'uso, da parte dell'autore del vangelo, di materiale tradizionale anteriore.

Cari saluti

Luca

Frances ha detto...

Buonasera Giovanni, mi ha incuriosito una tua affermazione sulla posizione di Moulton riguardo allo stile paratattico del NT. Vorrei, se me lo consenti, discorrere un po’ del Moulton e della sua grammatica, giacché non tutto il contenuto dei quattro volumi porta la firma del grande studioso. Ma per fare ciò, devo ripercorre la storia della gestazione intricata di questa monumentale grammatica, che resiste ancora all’usura del tempo.
Moulton, sulla scia di Deissmann, in piena epoca revisionista (nel senso positivo del termine), ridimensionò di molto la presunta influenza della sintassi semitica sul greco del NT. Così fece W. F. Howard nel II volume. Un ritorno al passato si ebbe con N. Turner negli ultimi due volumi della Grammar, la cui partigianeria della tesi semitica è nota. Pessima scelta fu quella di consentire a Turner di occuparsi del terzo e del quarto volume della Grammar, il cui esito fu una inversione di rotta rispetto al progetto unitario di Moulton (la cui morte prematura non gli consentì di portare a termine il secondo volume, affidato quindi ad un suo allievo, W. F. Howard). La monumentale grammatica del Robertson ripercorre, a grandi linee, il percorso inaugurato da Moulton. Se ne discosta, invece, il Blass.
Dobbiamo a Deissmann e poi al Moulton la trattazione esaustiva del kai coordinante. Deissmann, in particolare, dopo l’esplorazione del contenuto delle migliaia di papiri che ai primordi del ‘900 giungevano in Europa grazi alle campagne di scavo nei depositi di immondizia egiziani, si rese conto che tratti caratteristici del lessico e della sintassi neotestamentaria, fino ad allora ritenuti eredità semitica, erano comuni ai testi di questi papiri, scritti in volgare (lingua vernacolare), compreso il kai coordinante. Non che i testi classici non presentino questo genere di coordinazione, ma è nei papiri che si rintraccia la prova del suo uso estensivo su testi contemporanei al NT (contratti, alienazioni, lettere private, etc.). Cadeva, dunque, uno dei fondamenti sulla quale si ergeva la teoria semitica. Di tanto in tanto, enclave di nostalgici la ripropongono in forma rivisitata, ma sembra attrarre sempre meno.

Giovanni Bazzana ha detto...

Caro Luca,
scusa tantissimo per questa mia risposta così in ritardo. Devo dire che, nello specifico di quanto mi domandi, ho una posizione ambivalente. Mi va bene quando queste osservazioni di carattere stilistico sono utilizzate per evidenziare una peculiarità letteraria o narrativa di un autore, mentre sono un po' più esitante ad accettare questi argomenti quando ci si propone di ricostruire fonti anteriori. Sarà che sono stato scottato dal bailamme di ipotesi e contro-ipotesi che vengono proposte a proposito di Giovanni, ma mi sembra che, in assenza di due fonti indipendenti da confrontare, questi ragionamenti finiscano sempre per cadere in circoli viziosi.
Un augurio di cuore a te e a tutta la famiglia!

Giovanni Bazzana ha detto...

Cara Frances,
grazie per queste precisazioni e scusa davvero per il ritardo di questa mia riposta.
E' sempre sbalorditivo per me pensare che la prosecuzione dell'opera di Moulton (che morì prematuramente su una nave inglese affondata nel Mediterraneo nel corso della Prima guerra mondiale) sia stata affidata a uno che aveva idee opposte a quelle di Moulton, come Nigel Turner. Scherzi del destino che purtroppo hanno avuto un'influenza enorme sull'evoluzione di un settore di studi.
Se qualcuno fosse interessato a una critica davvero incisiva del lavoro di Turner, può dare un'occhiata al quinto volume dei New Documents Illustrating Early Christianity in cui si trova un'intero capitolo a firma di G.H.R. Horsley.
Auguri per le feste.