venerdì 30 settembre 2011

Una discussione fra traduttori sulla schiavitu' in Paolo


Proprio mentre scrivevo qui sul nodo complesso della schiavitu' in Paolo, su alcuni blog circolava questa clip che riporta un frammento di discussione del comitato che ha preparato una nuova e recente traduzione inglese della Bibbia, la English Standard Version. La ESV e' una versione che si presenta come un aggiornamento della King James Version e quindi ha una linea piuttosto letteralista e conservatrice. Coerentemente, il comitato che ha curato la traduzione e' interamente composto da evangelici. Nella breve clip menzionata sopra troviamo uno stralcio della discussione relativa a 1 Cor 7 e, in particolare, al problema di come rendere in inglese il termine doulos, che compare alcune volte nel capitolo.
In conclusione, i membri del comitato decidono, a maggioranza, di rendere il termine, non con l'ovvio e naturale "slave" ("schiavo"), ma con "bondservant", una parola il cui significato (mi ha confortato vederlo, visto che non ho la piu' pallida idea di come tradurla in italiano) non e' chiaro nemmeno agli inglesi. La decisione, e le motivazioni offerte nella clip, hanno suscitato non poche critiche (di cui si possono leggere due esempi interessanti qui e qui).
In ogni caso, l'opportunita' di avere un accesso cosi' diretto alle discussioni di un comitato di traduzione e' eccezionale e, quindi, vale la pena di fare alcune riflessioni sulle ragioni che hanno portato a rigettare "slave" preferendo invece l'astruso "bondservant". Uno dei membri del comitato, Wayne Grudem, professore di Bibbia e teologia al Phoenix Seminar, afferma verso la fine della clip che tradurre "schiavo" avrebbe importato nella traduzione delle nozioni estranee al testo e negative. I lettori avrebbero infatti pensato che Paolo avesse parlato di una schiavitu' come quella moderna (la ESV e' un prodotto diretto soprattutto al pubblico americano), mentre la schiavitu' "biblica", secondo Grudem, sarebbe stata completamente diversa: nel Nuovo Testamento la schiavitu' e' certamente temporanea, spesso volontaria(!), non basata sulla razza e accompagnata da considerevoli protezioni legali. A qualunque lettore che abbia una pur vaga idea della storia antica risultera' immediatamente chiaro che queste sono fanfaluche e come tali non meritano nemmeno di essere confutate.
Quello che invece e' importante notare e' il timore di "importare" qualcosa di "negativo" nelle parole di Paolo. Questo e' detto piu' chiaramente (e onestamente) all'inizio da C. John Collins, professore di Antico Testamento al Covenant Theological Seminary, che nota come, per un americano, sia difficile accettare la schiavitu' come una istituzione umanizzata ("humanized", altro termine che non riesco del tutto a capire) e che - punto dolente - si rischierebbe di arrivare a dire che i fedeli sono "schiavi" di Dio. Ma e' proprio cio' che Paolo dice in 1 Cor 7:22 ("chi e' stato chiamato da libero e' schiavo di Cristo"), confermandolo subito dopo (v. 23) quando aggiunge che i Corinzi sono stati "comprati" (come un oggetto, come gli schiavi dell'antichita') a caro prezzo.
Qui vale la pena di riconoscere che le traduzioni italiane (non solo quella della CEI) sono significativamente superiori, perche' non cercano di "nascondere" i reali termini della questione (sarebbe bello che facessero lo stesso anche quando traducono Romani 1:1, ma non si puo' chiedere troppo evidentemente). E' ovvio che una discussione di questo tipo mette in evidenza un problema che e' analogo a quelli esaminati in alcuni post recenti. E' chiaro che Paolo ama concettualizzare la relazione fra esseri umani e Dio come quella fra schiavi e padroni: possiamo considerare questa scelta teologica e ideologica ispirata oppure no?

20 commenti:

Anonimo ha detto...

Non sono un'esperto di storia della società antica e di storia della schiavitù, ma penso che si dovrebbe ricordare che mi sembra che l'interesse di Paolo nelle sue lettere non era che il messaggio cristiano fosse legato a come gli uomini fra loro organizzano le istituzioni civili ma il rapporto che hanno gli uomini con Dio (vedi Gal 3,28 dove si afferma che davanti a Dio non c'è più "schiavo nè libero"). Paolo inoltre (e questo si nota anche in Rm 13, testo che solo in apparenza presuppone l'accettazione perenne di dispostismo e ingiustizie), nel suo orizzonte escatologico, ritiene di non incitare a sovversioni nel rapporto stato-cittadini o padroni-schiavi perchè l'orizzonte futuro della venuta di Cristo fa ricordare che ogni istituzione umana è provvisoria e che come Dio ha permesso il suo inizio nè può permettere o poi la fine, preferendo che l'uomo possa "vincere il male con il bene" (Rm 12,21) piuttosto che incitando a rivolte mediante modalità discutibili (e a volte anche esiti discutibili, in cui si rovescia semplicemente la situazione). Mi sembra di ricordare poi che nella lettera a Filemone l'autore della lettera affermi preghi un padrone affinchè non punisca uno schiavo per la sua fuga, dunque una visione non così negativa.

Qualche appunto sulla visione della schiavitù nella filosofia antica: spesso si afferma che Aristotele abbia legittimato totalmente la schiavitù, in realtà leggendo nelle sue opere si afferma più che altro che esistono persone schiave per convenzione, ovvero tali perchè sono state costrette con la forza a servire e dipendere totalmente da un padrone (ma che di fatto hanno capacità di avere indipendenza e padronanza), e che possono esistere anche schiavi "per natura" ovvero persone che non hanno dimostrato alcuna capacità di autodeterminarsi e di prendere decisioni senza che ci sia un altra persona da cui dipendere totalmente per fare ciò. Aristotele riteneva legittima solo quest'ultima forma di schiavitù. Probabilmente l'obiezione che oggi si potrebbe fare è che nel nostro mondo non sembrano esistere "schiavi per natura" e che Aristotele avesse avuto scarse conoscenze delle reali capacità delle persone del suo tempo specie, quelle di altri popoli, ma questo più che a errori di ragionamento del solo Aristotele, sarebbe stato dovuto a conoscenze superficiali delle reali caratteristiche di tali persone e popoli stranieri da parte dei Greci del tempo.

Ciao.
Michele

Anonimo ha detto...

Non mi sembra biasimevole l'intento di non importare un'accezione negativa nell'espressione di Paolo: schiavo o servo sono due termini che in molte tradizioni religiose richiamano un senso di devozione, senza pero' le implicazioni di sfruttamento, soppressione, etc. Anche nel linguaggio ordinario sono stati spesso sinomino di generosita' e devozione, si pensi all'etimologia (vera o presunta) di "ciao" o alla locuzione "al suo servizio". La storia americana, con la deportazione e la schiavitu' degli africani, non ammette questa ambiguita' nel termine slave, e ovviamente c'e' la tendenza a rimuoverlo dal contesto religioso. "Bondservant" e' quella che si direbbe una "awkward choice", un goffo tentativo di usare la parola servo sentendosi obbligati a specificare che non c'e' renumerazione. Personalmente avrei adottato servant. Alla domanda se questa scelta teologica e ideologica puo' dirsi ispirata o no, direi di nuovo che l'ispirazione sembra essere orientata a una dedizione totale e priva di scelta o esitazione. Certo, resta la perplessita' che suscita la frase "i Corinzi sono stati comprati a caro prezzo", che pero' mi sembra rispecchi fedelmente l'attitudine al proselitismo cristiana e in particolare di Paolo.
Giuliano

domenico ha detto...

sicuramente questa 'concettualizzazione' di Paolo non è nuova.

John Byron ,"Slavery Metaphors in Early Judaism and Pauline Christianity A Traditio-Historical and Exegetical Examination"

http://www.mohr.de/en/jewish-studies/subject-areas/antiquity/buch/slavery-metaphors-in-early-judaism-and-pauline-christianity.html

Giovanni Bazzana ha detto...

Caro Michele,
grazie per il tuo contributo. Sottoscriverei gran parte di quello che dici (anche se per Paolo vedo una certa contraddizione tra il quietismo del'apocalittico, che credo essere il suo vero "pensiero", e il cauto riformismo che mi pare piu' cosa ottocentesca).
Devo aggiungere che la domanda che cercavo di mettere sul tappeto nel post e' se sia quindi il caso, oggi, di avere i "progetti sociali" paolini come punto di riferimento (o, piu' ancora, considerarli parte della rivelazione divina), alla luce anche di quanto dici tu.
D'altra parte, mi sembra che non leggiamo Aristotele per sapere se ci devono essere o no schiavi nel nostro mondo.
Ciao.

Giovanni Bazzana ha detto...

Caro Giuliano,
grazie per la tua opinione, anche se devo esprimere disaccordo. Io non trovo solo biasimevole, ma intellettualmente disonesto escludere da una traduzione accezioni negative che toglierebbero lustro a Paolo o, molto piu' probabilmente, ai cristiani evangelici che si professano eredi di Paolo e che hanno tutto l'interesse a nascondere come le loro chiese siano state in passato grandi sostegni del regime schiavistico.
Questo per quanto riguarda gli USA, ma ti volevo anche porre una domanda un po' maliziosa: se la cosa e' cosi' poco problematica perche' nessuna traduzione italiana rende l'inizio di Rom 1:1 con "Paolo, schiavo di Gesu' Cristo, ..."?
Ciao.

Giovanni Bazzana ha detto...

Caro Domenico,
grazie per l'indicazione.
Sono d'accordo: certamente questa disuguaglianza sociale e politica doveva essere alla portata dell'esperienza di quasi tutti nel mondo mediterraneo antico e soprattutto dei molti che l'hanno usata nelle loro opere letterarie (per lo piu' da una posizione di privilegio, come nel caso di Paolo).
Saluti.

Anonimo ha detto...

Caro Giovanni,
secondo me il problema verte intorno all'ambiguita' del termine doulos, che mi sembra possa essere reso sia con 'schiavo' che con 'servo'. In Paolo, trattandosi di un uso metaforico, e' forse piu' plausibile che voglia evocare un senso di totale dedizione e abnegazione, e non sofferenza, sottomissione, sopruso. Per questo motivo le traduzioni inclinano piu' verso 'servo' e 'servant' (o il piu' astruso 'bondservant') che verso 'schiavo'.
Forse mi sfugge qualcosa, ma non riesco a rinvenire alcuna disonesta' intellettuale in questa scelta. E' ovvio che ogni termine, soprattutto quando usato allegoricamente, ha anche significati che non vogliono essere trasmessi da chi lo usa, semplicemente perche' inefficaci nell'esempio. Nulla di male, credo, se un traduttore tenta di avvicinarsi al senso che si sente di attribuire evitando le accezioni che a suo parere distorcerebbero quel senso. Si pensi all'uso della terminologia militare in senso metaforico. Senza scomodare le tradizioni spirituali, si puo' vederne l'applicazione oggi in ambito sportivo: se una squadra di calcio vince per quattro o cinque a zero, si leggeranno titoli come 'massacro', l'attaccante verra' definito 'cecchino' e cosi' via. Ma sarebbe del tutto erroneo attribuire al cronista una qualsivoglia adesione a mentalita' guerresche o comunque violente. Di nuovo, in Paolo direi che il termine 'servo' riesce a trasmettere un senso di abnegazione, mentre 'schiavo' suggerirebbe appunto un'approvazione del regime di schiavitu' che esula dall'uso della metafora, cosi' come un cronista di calcio che parla di missili non e' necessariamente a favore della guerra. Ripeto, non mi sembra disonesto protendere per 'servo', perche' non forza il termine e evoca un aspetto religioso che si perderebbe, forse, con 'schiavo'.
Incollo una spiegazione dell'uso di bondservant (da http://www.preceptaustin.org/philippians_11-8.htm), che ho trovato abbastanza soddisfacente, pur rimanendo dell'idea che servant sia piu' semplice ed efficace:

"Bondservant (1401) (doulos from deo = to bind) was an individual bound to another in servitude and conveys the idea of the slave's close, binding ties with his master, belonging to him, obligated to and desiring to do his will and in a permanent relation of servitude. In sum, the will of the doulos is consumed in the will of the master.
A bondservant is one who surrendered wholly to another’s will and thus devoted to another to the disregard of his own interest. Paul and Timothy were not their own but had been bought with the price of the blood of Christ. They were now the property of our Lord Jesus Christ and were His slaves exclusively. No man can serve two masters (Mt 6:24-note). Paul and Timothy had been slaves of Sin (see note on "the Sin") by their birth into Adam's likeness, but now they are slaves of Christ by their new, second birth. They had no will of their own, no business of their own, no time of their own and were acting for their Master, Christ; dependent upon Him and obedient to Him."

Buona giornata,
Giuliano

Giovanni Bazzana ha detto...

Caro Giuliano,
grazie ancora per la tua lunga risposta, ma devo dissentire di nuovo. Cerco di spiegarmi facendo riferimento in breve a due questioni.
Primo, non trovo affatto che "doulos" comporti alcuna ambiguita'. Se vedi, per dare un esempio autorevole, la definizione del Liddell-Scott (http://www.perseus.tufts.edu/hopper/text?doc=Perseus%3Atext%3A1999.04.0057%3Aentry%3Ddou%3Dlos1), e' chiaro che la possibilita' di tradurre con "servant" non e' nemmeno presa in considerazione, anche perche' il greco ha altri termini (pais, per esempio) che rendono tale concetto. Il "doulos" e' essenzialmente definito dal fatto di essere un essere umano di proprieta' di un'altra persona. Ripeto che il tentativo di nascondere questa enorme limitazione della liberta' (e quindi anche della dignita') personale e' un atto di grave disonesta', a mio parere.
Secondo, il tuo riferimento all'uso della terminologia militare in ambito sportivo e' quanto mai appropriato. Mi pare sia Habermas (ma potrei sbagliarmi) a domandarsi cosa succederebbe se, invece del persistente riferimento alla violenza e alla guerra, il calcio fosse commentato con i termini che si usano per il balletto. La realta' e' che il linguaggio "plasma" nel vero senso della parola i rapporti sociali e poi non dovremmo meravigliarci (lo sappiamo bene qui in Italia) se proprio il calcio diventa il luogo in cui meglio si manifestano le piu' crasse disuguaglianze e il machismo piu' esasperato. Questa "forza" del linguaggio e' "oggettiva" e pertanto la questione dell'intenzionalita' del commentatore che usa tale terminologia non importa. Allo stesso modo e' ininfluente indagare quale fosse l'intenzione di Paolo: anche ammesso che la si possa appurare, quello che conta e' il lavoro sociale e politico prodotto dalle sue parole.
Ciao.

domenico ha detto...

dott. Bazzana,
credo che il problema sia la volontarietà..
Lo schiavo è tale contro la sua volontà. Il credente diventa 'schiavo' di Dio di sua spontanea volontà.
Lo schiavo antico non può di sua iniziativa diventare libero; il credente in ogni momento può dissociarsi da questo rapporto di 'proprietà' con la divinità.

Anonimo ha detto...

Caro Giovanni,
sulla terminolgia militare sono d'accordo che non sia poi tanto innocente... pero' converrai che le espressioni idiomatiche hanno spesso uno iato con il loro significato letterale. Facendo un altro esempio, se uno chiama la confusione 'casino' o 'bordello' non e' necessariamente a favore della prostituzione.
Ovviamente le mie argomentazioni perdono di consistenza di fronte alla tua affermazione che doulos indichi uno stato di schiavitu' e assenza di dignita' senza alcuna sfumatura, per cui l'uso allegorico che si fa con i termini che ho portato ad esempio qui non sarebbe applicabile.
E' un'informazione che trovo interessante e spunto di ulteriori riflessioni.
Grazie e buona serata,
Giuliano

Giovanni Bazzana ha detto...

Caro Domenico,
grazie, questo e' un punto molto importante, ma non sono sicuro di essere d'accordo. Mi sembra che Paolo dica che i credenti sono diventati "schiavi" perche' scelti da Dio, "comprati" da lui (proprio qui in 1 Cor). E poi dove direbbe che se ne possono andare quando vogliono e soprattutto senza conseguenze?
Saluti

Anonimo ha detto...

A Giovanni Bazzana e ad altri interessati sul rapporto tra cristianesimo e il concetto moderno di libertà: anche se non tratta specificamente di Paolo vi consiglio questa serie di videolezioni di Robert Sirico sul legame tra il sorgere nella storia del messaggio cristiano e lo sviluppo nell'occidente del valore della libertà individuale:


http://www.cattedrarosmini.org/site/view/view.php?cmd=view&id=11&menu1=m4&menu2=m12&menu3=m98

Mi sembra un buon spunto magari per una discussione a parte più vasta su questo tema, che si soffermi non solo singoli passi dell'annuncio cristiano ma sulla globalità di tale messaggio.

Ciao.
Michele

Giovanni Bazzana ha detto...

Caro Giuliano,
non discuto affatto che alcune espressioni della lingua possano essersi "ossificate" fino a perdere ogni caratteristica originaria (anche se temo che sull'esempio di "bordello" mia moglie dissentirebbe), ma l'uso che fa Paolo delle immagini di schiavitu' mi pare piu' articolato e "vitale" di cosi'.
Anche io, poi, convengo sul fatto che Paolo usi queste espressioni in senso metaforico o allegorico, ma come possiamo dire che non si portino dietro il loro "bagaglio" quando, guarda caso, quello che vorremmo "tagliare via" e' proprio cio' che oggi ci appare sconveniente o disgustoso?

Giovanni Bazzana ha detto...

Caro Michele,
grazie per lo spunto (anche se Sirico, di questi tempi, fa un po' accapponare la pelle).
Ciao

Anonimo ha detto...

Caro Giovanni,
si', certamente ci sono elementi che ho trascurato, soprattutto per semplice ignoranza.
Provo a fare una domanda anche piu' ignorante: esistono critiche e commenti a Paolo, databili ai primi secoli d.C., che possano testimoniare come venisse recepito il lessico di Paolo, sia in generale sia in riferimento all'uso di doulos?
Grazie,
Giuliano

domenico ha detto...

Prof. Bazzana, appunto.
I Corinzi nonostante siano stati comprati a caro prezzo stavano liberamente e volontariamente andando in altre direzioni che non erano quelle che Paolo riteneva giuste e conformi al volere di Chi li aveva comprati..

Giovanni Bazzana ha detto...

Caro Giuliano,
bella domanda: la mia conoscenza dell'interpretazione di Paolo nell'antichita' e' imperfetta e quindi prendi queste affermazioni cum grano salis.
Mi sembra di non avere in mente nessuno che interpreti Paolo in senso abolizionista; del resto, questo e' coerente con la struttura della societa' antica, che anche dopo l'avvento del cristianesimo, non abbandono' mai il principio della schiavitu'.
Per quello che puo' valere, tutte le traduzioni latine (Vetus e Vulgata) rendono i doulos paolini con servus.
Ciao

Giovanni Bazzana ha detto...

Caro Domenico,
e, per l'appunto, Paolo prontamente ricorda loro chi e' il padrone e a chi devono essere sottomessi secondo la legge di proprieta', no?
O mi vuoi dire che gli schiavi antichi non potevano scappare, se volevano?
Saluti

domenico ha detto...

Dott. Bazzana, gli schiavi fuggono per tornare liberi..
Paolo invece dice: "siete stati pagati da Dio a caro prezzo e non tornate ad essere schiavi degli uomini" il che presuppone che una volta abbandonato il Primo gli schiavi fuggiti volontariamente si offrivano ai secondi..

p.s. come valuta la traduzione della Nuova Riveduta che per questo verso dice: "siete stati riscattati da Dio"?
Con questa traduzione il significato cambia completamente.

Giovanni Bazzana ha detto...

Caro Domenico,
"si offrivano ai secondi" nel discorso retorico di Paolo: mi sembra importante aver chiaro che questo scenario e' interamente costruito dall'autore e per il fine di imporre la sua autorita' sui Corinzi (la lettera non ci dice nulla su cosa pensassero gli interlocutori). Sarebbe stato efficace se Paolo avesse detto: "bene, tornate a essere pagani, cosi' finalmente sarete liberi e starete meglio"?
La traduzione della NR, poi, non mi sembra altro che un ulteriore tentativo (privo di fondamento filologico, perche' agorazo vuol dire "comprare") di oscurare il fatto, piuttosto spiacevole per una sensibilita' moderna, che Paolo, in questo passo, pensa la salvezza come schiavitu' a Dio.
Saluti