venerdì 9 settembre 2011

La professione del neotestamentarista


Gli ultimi giorni di attivita' sui blog biblici hanno visto un'intensa polemica fra Larry Hurtado, celebre professore di Edinburgo (qui e qui), e Graham Veale (qui), che ha recentemente aperto un blog molto interessante e divertente dal titolo BW16. Dopo l'iniziale scambio di post (che trovate linkati sopra), la discussione ha preso un tono un po' acidulo che l'ha resa meno apprezzabile, ma ciononostante i temi sollevati restano assai importanti.
Dico questo in virtu' tanto della mia personale esperienza di trasferimento fra due mondi accademici per molti versi distanti anni luce quanto sulla base di un lavoro di "ristrutturazione" del programma di dottorato che ha impiegato me e i miei colleghi per buona parte dell'anno passato e in cui molti degli elementi dibattuti sono stati proprio quelli sollevati qui.
In soldoni, Hurtado ha dato sfogo alla sua frustrazione per l'impreparazione che caratterizzerebbe alcuni dei dottorandi in Nuovo Testamento nel Regno Unito: per risolvere il problema, la proposta, avanzata in modo assai prescrittivo, e' quella di richiedere, come elemento minimo per il conseguimento del dottorato, la conoscenza verificata di greco (koine), ebraico, inglese, tedesco e francese.
Mentre sulle prime due lingue c'e' stata poca discussione (ma, in realta', molto ci sarebbe da dire, a cominciare da quell'entita' assai vaga che e' il greco koine), Veale ha reagito alla selezione delle altre tre lingue moderne, che in effetti, se dichiarate come le uniche "importanti" e "necessarie" per la professione del neotestamentarista, puzzano non poco di colonialismo ottocentesco. Mi lascia particolarmente sorpreso vedere che Hurtado nemmeno prende in considerazione la possibilita' di inserire nella lista lo spagnolo (che oggi non mi sembra piu' inferiore al francese per quanto riguarda la produzione scientifica): certo, non si uscirebbe dal discorso coloniale, ma almeno si darebbe voce a molti studiosi che non provengono dal cosiddetto "primo mondo".
In sostanza, le implicazioni ideologiche della posizione di Hurtado sono ben evidenziate dalla sua decisione di trattare l'argomento sotto il titolo di "strumenti della professione", "dimenticando" il valore politico che ha la definzione di quali siano gli strumenti presentati come normativi per comunicare e per studiare. In questo senso e' del tutto apprezzabile lo sforzo che fa Veale per mantenere una diversita' fra programmi di dottorato, invece di stabilire autoritariamente uno standard che debba essere comune a tutti. In effetti, non tutti i programmi potranno offrire tutte le possibilita', ma le singole scuole dovranno "disegnare" i loro programmi in accordo con gli interessi dei docenti e le esigenze degli studenti: tuttavia, la diversita' dei programmi dovrebbe essere percepita in principio, mi sembra, come una ricchezza, non some un difetto da correggere.

7 commenti:

Anonimo ha detto...

Grazie for entering the discussion. I think you are right to show Larry's strange but definitely ideological avoiding of the post/colonial issues.
Affectionately,
BW16

Giovanni Bazzana ha detto...

Thank you, sir, for such an entertaining and insightful blog. Keep up the good work!

Anonimo ha detto...

A Zurigo (Svizzera) chi studia teologia deve dare gli esami orali e scritti di ebraico, greco e latino, questo all'inizio degli studi universitari. Tra le lingue moderne da conoscere assolutamente abbiamo l'inglese e il tedesco. Tutte le altre lingue sono considerate secondarie (spagnolo, francese, italiano, ecc.).
Conosco varia gente che ha fatto l'erasmus nel Regno Unito e ha avuto problemi al suo ritorno in Svizzera, proprio per il fatto che lì non viene dato molto peso alle lingue antiche (sic!).
Francamente mi chiedo come si può pensare di affrontare il Cristanesimo a livello accademico senza conoscere le lingue antiche, le lingue originali dei testi che si studiano.
A parte questo, la critica a Hurtado ha senso solo fino ad un certo punto: a livello di tradizione e di situazione attuale il tedesco e l'inglese sono le due lingue moderne più importanti per un neotestamentario. Solo successivamente arrivano francese, spagnolo, italiano, ecc. Chi vuole sostenere il contrario mi sembra poco obiettivo.
E anch'io piazzerei il francese prima dello spagnolo come importanza.
Perché? Basta guardare le bibliografie degli studiosi: esagerando chi è di lingua madre inglese cita solo opere in inglese, chi è tedesco cita opere in tedesco e inglese, chi è francese cita opere in francese, inglese e tedesco, chi è italiano cita opere in italiano, inglese, tedesco, francese e a volte spagnolo.
Metterla sul colonialismo mi pare infantile e fuori luogo.
Ciao, Elijah Six

Giovanni Bazzana ha detto...

Caro Elijah,
faccio questa considerazione: gli studenti di Zurigo studiano teologia. Tu ti chiedi come si possa "pensare di affrontare il Cristianesimo a livello accademico senza conoscere le lingue originali dei testi". Ma allora a Zurigo non si studia nessuno degli autori fra Agostino e Tommaso perche' questi non avevano nemmeno la piu' pallida idea delle lingue originali dei testi che usavano come base per la loro teologia?
Credo, come dicevo nel post, che la questione sia quella dell'approccio che si intende adottare. Chiaramente, mi par di capire che Zurigo ha scelto quello storico-critico di matrice ottocentesca e quindi il privilegio quasi esclusivo di inglese e tedesco mi pare logico, visto che si tratta di un "prodotto" anglo-germanico poi "esportato" con successo un po' dappertutto negli ultimi due secoli.
Quello che non mi pare giusto e' pretendere che questo approccio specifico sia l'unico normativo e l'unico degno del titolo di "accademico".
Ciao.

P.S. Infantilizzare una critica post-coloniale non e' una buona strategia: e' gia' stata molto utilizzata dall'imperialismo otto- e novecentesco.

Frances ha detto...

E' sbagliato assolutizzare una proposta di questo genere, specie se non si tiene in debito conto la specializzazione delle discipline bibliche. L'incidenza della lingua inglese sulle pubblicazioni degli ultimi 30 anni ha ormai superato un buon 90%. Il tedesco, un tempo lingua franca degli studi biblici, è ormai sempre più relegato a pubblicazioni settoriali, sopratutto agli studi papirologici. Per non parlare del prestigio degli studiosi teutonici, ridimensionato ai minimi storici. E delle brutte figure che i papirologi tedeschi hanno rimediato negli ultimi anni (l'ultima è ancora in corso, col papiro di Artemidoro). Lo stesso dicasi delle pubblicazioni in lingua francese, relegate a settori talvolta del tutto marginali degli studi biblici. E le pubblicazioni in italiano? Come è possibile pensare di poter accantonare i lavori dei nostri papirologi, paleografi, filologi classici e storici dell'antichità romana? Sono discipline con le quali i neotestamentaristi anglofoni devono confrontarsi.
Nella valutazione di una lingua, quale veicolo di trasmissione della conoscenza, entrano in gioco troppe variabili, che rendono tutti i nostri discorsi piuttosto relativistici. Per un papirologo neotestamentario è vincolante la competenza passiva (ma talvolta anche attiva) dell'inglese, del tedesco, dell'italiano e dello spagnolo. Per un neotestamentarista che tratta delle lettere paoline è sufficiente che conosca l'inglese e il tedesco. Per un esegeta dei testi apocrifi, oltre all'inglese, tedesco, francese, è bene che conosca anche le lingue scandinave e il finlandese.
Sul versante della competenza delle lingue antiche, questo è un problema che assilla più le facoltà anglofone che non quelle europee continentali, a causa del sistema scolastico secondario che da poca importanza al curriculum umanistico e a causa di un tipo di didattica delle lingue antiche che soffre ancora di qualche guasto metodologico.

Giovanni Bazzana ha detto...

Cara Frances,
grazie per questo commento.
Ho delle altre riflessioni sulla questione delle lingue antiche e spero di metterle in un prossimo post.
Mi piacerebbe sentire la tua opinione poi.
Ciao

Frances ha detto...

Volentieri.
Ciao!