domenica 1 maggio 2011

Tirare per la giacchetta il semitico


In un post recente sul suo blog, padre Scalese offre ancora una volta alcune osservazioni interessanti sulla nuova traduzione CEI della Bibbia. Vorrei fare alcune considerazioni sul punto 3, che riguarda piu' l'interpretazione che la traduzione di due passi chiave della Passione secondo Matteo.
Il primo versetto preso in considerazione e' Mt 26:28 in cui l'espressione greca "peri polloi" viene intesa come riferita a tutta l'umanita' (per cui viene versato il sangue di Gesu'), in forza della costatazione che "tutti gli esegeti ci assicurano che 'per molti' e' in realta' un semitismo che significa in realta' 'per tutti'" (parole di Scalese). Qui e' opportuno correggere padre Scalese, perche' non e' vero che tutti gli esegeti sostengono questa posizione: per esempio, Luz, che e' solo il piu' recente che ho letto, non ritiene l'espressione un semitismo e non pensa che significhi "per tutti". Lo stesso Jeremias, che e' stato uno degli iniziatori della via "semitica" e che prediligeva queste retroversioni, in quanto casualmente finivano sempre per "dimostrare" la correttezza delle sue esegesi (spesso e volentieri di chiaro stampo anti-giudaico), ammette che in ebraico o aramaico le espressioni equivalenti qualche volta possono voler dire "tutti", ma che questa ovviamente non puo' essere la regola.
Ma allora come arriviamo alla interpretazione "per tutti"? Vale la pena di dare ancora un'occhiata a Jeremias: anche per lui la soluzione non e' linguistica, ma dipende dal fatto che, secondo lui, Mt 26:26-28 dipenderebbe da Is 53:11-12, in cui ci viene detto che il servo sofferente ha portato il peccato di "molti". Non e' il caso di riprendere la questione dei rapporti fra questo passo d'Isaia (molto importante per i cristiani, perche' e' praticamente l'unico della Bibbia ebraica in cui forse si parla di espiazione dei peccati ad opera di un Messia sofferente) e Mt 26:26-28: la connessione e' molto tenue, visto che praticamente nessuna parola identica si trova nei due testi.
Tuttavia, anche accettando il legame suggerito da Jeremias, e' paradossale vedere come proprio questo offra un argomento molto forte contro l'esegesi "semitica". Di Is 53:11-12 possediamo una traduzione greca (quella dei Settanta) e vale la pena di domandarsi: se l'ebraico "rabbim" aveva proprio questo chiaro significato di "tutti", come mai i traduttori, che non brillavano certo per il loro letteralismo, l'hanno tradotto per ben tre volte nello spazio di due versi con "polloi"?
E' interessante domandarsi quale sia il supporto ideologico di queste esegesi fondate sulle retroversioni semitiche, dal momento che il loro valore storico e' tanto scarso. Ho formulato tre ipotesi provvisorie.
Anzitutto, discutendo della cosa con un collega, lui mi faceva notare che un peso notevole deve avere ancora l'idea che l'ebraico sia una "lingua divina". In secondo luogo, ritornare all'originale semitico e' un po' parte dell'utopico tentativo di tornare al Gesu' storico (combinato con il "dogma", secondo il quale Gesu' avrebbe parlato solo aramaico). Infine, l'impressione piu' sgradevole, ma dalla quale e' purtroppo difficile liberarsi quando si leggono esegesi come quelle di Jeremias, e' che si tratti di un'altra forma di supersessionismo. Come i cristiani si appropriano della Bibbia degli ebrei, cosi' possono fare anche con la loro lingua, dimostrando che gli ebrei non solo non sono stati capaci di capire il "vero" significato dei libri che consideravano sacri, ma anche della lingua stessa in cui erano scritti.

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