martedì 24 maggio 2011

Sin


Su consiglio di un collega, che conosce i miei attuali interessi di ricerca, ho cominciato a leggere "Sin. A History" ("Peccato. Una storia") di Gary Anderson, professore di Antico Testamento/Bibbia ebraica all'universita' di Notre Dame. Siccome il libro merita in effetti un'attenta lettura, ho deciso di farne un resoconto in piu' puntate sul blog.
"Sin" e' una storia del peccato, nel senso che Anderson studia questo concetto analizzando i termini e le metafore con cui esso e' stato espresso e pensato in un arco temporale ambizioso che va dai piu' antichi stadi di formazione della Bibbia ebraica fino ai primi secoli della nostra era. Il volume si divide in tre parti e la prima (pp. 3-42), che riassumero' oggi, ha l'appropriato titolo di "Introducing the Problem" ("Introdurre il problema"), perche' vi sono enunciati tutti i temi principali che poi saranno ripresi successivamente.
Anderson osserva che, nei libri piu' antichi della Bibbia, il concetto di peccato e' associato con varie metafore e simboli, che vanno da quelli della "macchia" da ripulire o coprire a quelli del peso che graverebbe sugli esseri umani nel caso in cui una norma venga violata (esempi addotti da Anderson sono Lv 5:1 e 24:15). Lo stessa concezione si trova anche nel caso di un perdono o di una remissione del peccato, che vengono concettualizzati come "rimozione" di un peso (anche qui Anderson menziona Gn 50:17 e Es 10:17: e' curioso notare che le traduzioni in genere oscurano questo secondo aspetto del simbolismo non rendendolo mai in modo letterale).
Quando Israele cade sotto l'influenza persiana (VI secolo) e l'aramaico, lingua dell'impero, diventa predominante a livello culturale, la situazione cambia significativamente. Il simbolismo del "peso" viene sostituito quasi completamente da quello del "debito" e, di conseguenza, il peccato comincia ad essere inteso come un impegno finanziario che deve essere ripagato o condonato. I "targumim", antiche traduzioni aramaiche dei libri biblici, attestano questo mutamento in modo assai chiaro, ma Anderson individua il medesimo fenomeno a Qumran e fra i primi testi cristiani. Alla mente del lettore italiano (ma meno a quella dell'inglese) verra' senz'altro il Padre Nostro, ma anche la parabola di Mt 18:23-35 offre un buon esempio di tale concezione.
In generale, la tesi di Anderson mi pare convincente: ci sarebbero dei punti specifici (per esempio, la lettura del Padre Nostro) su cui non sono particolarmente convinto, ma sono aspetti minori. Una questione piu' fondamentale e' quella del quadro interpretativo scelto da Anderson: rifacendosi a Riceour, l'autore giustamente sottolinea che metafore e simboli non sono meri aspetti decorativi, ma costituiscono la sostanza stessa del modo in cui i concetti vengono pensati. Tuttavia, mi pare necessario ricondurre anche l'evoluzione dei simboli e delle forme espressive alle loro radici storiche e socio-politiche. Questo e' tanto piu' vero in questo caso, in cui lo stesso Anderson sottolinea la coincidenza fra modifica del simbolo ed avvento dell'imperialismo persiano prima e greco poi: non mi pare casuale che, proprio in coincidenza con questi eventi, anche l'immagine di Dio diventi quella assoluta e capricciosa di Mt 18.

11 commenti:

Anonimo ha detto...

Caro Giovanni,
senz'altro un tema interessante.
E' possibile porre una distinzione tra colpa e peccato? A riguardo mi interesserebbe sapere sia il tuo parere che quello del testo in questione. Il valore alle parole lo diamo noi, è chiaro. Entrambi i termini designano eventi forieri di conseguenze negative per l'individuo, la tribù, il popolo o l'umanità a seconda dei contesti. Ricordo di aver letto qualcosa di Edmondo Lupieri (ma potrei sbagliarmi, è passato un po' di tempo) in cui una parte del genere profetico e apocalittico veniva letta anche come tentativo di far risalire ad un evento passato o alle disposizioni negative dell'uomo (episodi dei Giganti o di Adamo) l'origine del male, altrimenti collocata nella violazione dell'ordine rituale e legale (Esdra etc...).
Un altro punto di interesse è questo. Sul blog sottolinei spesso la dimensione "mediterranea" che da un erto punto in avanti assumono certi fenomeni mettendone così in discussione l'esclusività giudaica (critica del commercio e di un certo tipo di ricchezze, sistemi di cooptazione e reclutamento a livello tribale e famigliare, violenza e giustizia privata etc). In riferimento al peccato si può parlare solo di un'influenza persiana o ellenistica in relazione ai modi di rappresentare il pccato?
Unsaluto,
Etienne

Fabio ha detto...

Caro Giovanni,concordo anch'io sul fatto che sia un tema molto interessante. Che, in qualche modo, si ricollega con una mia precedente pretesa di individuare una differenza che penserei essenziale (ma tu non sei di questo parere) tra giudaismo e cristianesimo nella considerazione della natura umana, cioè su "un ordine basato su principi etici (bene/male) e uno basato sulla contaminazione (puro/impuro)". Il peccato è trasgressione delle norme o caratteristica intrinseca dell'uomo ? Perchè Ezechiele parla di ragionare in termini di puro/impuro e, coerentemente, l'ambiente sacerdotale che a lui si ispirava, riscrive la creazione dell'uomo omettendo tutto ciò che fa riferimento all' umana disposizione negativa di Adamo, come dice Etienne ? L'idea di trasmissibilità della colpa ha a che fare con la stessa pre-disposizione umana a peccare ?

Giovanni Bazzana ha detto...

Cari Etienne e Fabio,
che questioni! Mi perdonerete se cerchero' di rispondere in modo stringato alle vostre importanti domande. Comunque, intanto grazie perche' mi avete fatto pensare ad aspetti del libro che non avevo considerato ad una prima lettura.
Per quanto riguarda Anderson (ma non ho letto ancora tutto il libro) mi sembra che la distinzione fra peccato e colpa non sia per il momento messa a tema. Il suo interesse mi pare piu' concentrato sull'espiazione del peccato che sulla sua origine. Tuttavia, non dispero che la cosa venga fuori piu' avanti, perche', se si accetta la tesi di Anderson sul peccato come debito e poi l'accostamento nei testi evangelici che citavo fra Dio e sovrano politico, questi debito sono ovviamente "tasse" e quindi il problema del perche' siano imputati diventa scottante (o almeno cosi' la vedo io).
Dicevo che vi ringrazio, perche' con le vostre domande mi sono reso conto che, nella sua pur ricca dimostrazione, Anderson non menziona mai ne' il corpus enochico ne' testi da esso dipendenti (forse anche a ragione, perche' non mi pare di ricordare passi in Enoch in cui il peccato sia presentato come debito). E' vero, tuttavia, che la scuola "italiana" di studi enochici (prima con Sacchi e poi con Boccaccini, che l'ha resa famosa a livello mondiale) ha insitito molto su una netta distinzione fra giudaismo enochico e mosaico proprio sulla questione dell'origine del male. Vedo. pero', che molti studiosi (Collins e Vanderkam, per esempio) non mi paiono convinti di questa ipotesi e anch'io (nel mio piccolo) sinceramente non vedo questa netta separazione. Vorrei aggiungere (ma Fabio lo sa gia') che, anche se fossimo d'accordo con Boccaccini, questa distinzione non si configurerebbe come "essenziale" fra giudaismo e cristianesimo (quantomeno per il periodo del Secondo Tempio) perche' anche Enoch e' per tutti un testo giudaico.
Ciao

Giovanni Bazzana ha detto...

Caro Etienne,
scusami, ma per quanto riguarda la tua seconda domanda non riesco a capire bene cosa intendi quando ti riferisci a "solo" un'influenza persiana o ellenistica. Pensi che potrebbero essercene altre o il tuo e' un ragionamento differente?

Fabio ha detto...

Caro Giovanni,
scusa se torno sull'argomento, giusto per chiarire meglio quello che intendo; che, fra l’altro, è molto più focalizzato sull’origine del male che non sull’espiazione dei peccati. Che Enoch sia pienamente giudaico è fuori discussione. Ciononostante mi sembra di poter dire (o mi vado chiedendo) - proprio perchè Sacchi e Boccaccini mi sembrano (nel mio molto piccolo) convincenti - che la differenza (frattura ?) ideologica che si è determinata nel giudaismo del Secondo Tempio ha avuto poi ricadute evidenti - o è forse all'origine - nella successiva, netta separazione tra ebraismo rabbinico e cristianesimo. Avrà pure un senso ciò che una cultura pensa dell'essenza della natura umana !
Un caro saluto

Anonimo ha detto...

Caro Giovanni,
sì, probabilmente mi ero espresso in maniera poco chiara. Riformulo.
Se per molti fenomeni si possono individuare dei punti di contatto e continuità tra la cultura giudaica e quella di altre società mediterranee (almeno per quanto espresso a livello scritto dai gruppi diregenti), ti chiedevo in che misura la concezione di peccato giudaica - o forse, le concezioni, alla luce di quanto detto sopra - sia parte di un comune humus mediterraneo (da collocare quindi insieme ai miti sulla decadenza dell'umanità a partire da una colpa o da una violazione originaria di un ordine buono, per non parlare del sacrificio di carni come strumento di espiazione). E di riflesso domanavo in che misura invece la concezione di peccato possa rientrare tra quelle che definiremmo peculiarità della cultura israelitica.
Etienne

Anonimo ha detto...

Ti trasmetto, Giovanni, i miei complimenti per queste due considerazioni:
1) "Riceour, l'autore giustamente sottolinea che metafore e simboli... costituiscono la sostanza stessa del modo in cui i concetti vengono pensati"
2) "e' curioso notare che le traduzioni in genere oscurano questo secondo aspetto del simbolismo non rendendolo mai in modo letterale".
E' questo il tema che ho affrontato nell’ultimo mio lavoro, dove ho scritto che "basandosi sulla comunicazione interna a un gruppo, il simbolo è l’ente che maggiormente specifica il pensiero del gruppo medesimo, ancor prima delle voci essoteriche della lingua mediante la quale tale pensiero fu esposto". La conservazione del significante letterale, allora, come tu hai giustamente fatto notare, diventa essenziale ai fini della ricerca del significato.
Dovremmo ragionare se il processo di evoluzione di un simbolo (io a quello di “evoluzione” preferisco il concetto di “stratificazione”, per dirla con Pavel Florenskij) sia dipendente da motivi storici e politici oppure rappresenti un salto di discontinuità nel pensiero, un salto dovuto al nuovo “punto di vista” di quei “pensatori”, per chiosare F. Th. Visher. Io propendo per il salto di discontinuità. In ogni caso, mi ha fatto piacere questa tua pubblicazione: in generale gli studiosi, a leggere il vocabolo “simbolo”, nei nostri impoetici tempi sghignazzano.
Ciao.
Lino

Giovanni Bazzana ha detto...

Caro Fabio,
scusa se mi sono espresso male, ma non intendevo negare che ci fosse una distinzione dottrinale sui temi della teodicea e del peccato (il grande merito di Sacchi, Boccaccini et al. e' proprio di averla notata e articolata a livello storiografico).
Tuttavia, non sono molto disposto a seguire Boccaccini quando estende questa ricostruzione dalla storia delle idee a quella dei gruppi sociali, postulando gruppi distinti dietro i testi enochici e quelli "mosaici" e "mappando" tutta la storia religiosa del giudaismo del Secondo Tempio su questo schema. Mi sembra che la distinzione suddetta (anche se ha innegabili radici nel periodo del Secondo Tempio) diventi importante solo in epoca moderna e ci dica quindi di piu' sul modo in cui le "essenze" di cristianesimo e giudaismo venivano articolate in quell'epoca che nell'antichita'.
Ciao

Giovanni Bazzana ha detto...

Caro Etienne,
grazie per aver riformulato il tuo pensiero a mio beneficio.
Sono d'accordo: molti di questi elementi sono comuni a tutte le culture del Mediterraneo antico, anche se con significative variazioni e accentuazioni specifiche (penso, come dici tu, all'dea che il peccato sia una "contaminazione" che richiede di essere purificata attraverso sacrifici o altre pratiche lustrali).
Tuttavia, nel caso specifico, mi pare che l'accostamento di peccato e "debito" sia uno sviluppo unico della cultura giudaica cosi' com'e' descritto da Anderson. Avra' poi ripercussioni piu' generali quando sara' introdotto nel mondo greco attraverso l'influenza dei testi cristiani che menzionavo nel post.
Ciao

Giovanni Bazzana ha detto...

Caro Lino,
grazie del tuo commento: nel mio piccolo, sono estremamente interessato a tutte queste questioni ed esse formano gran parte delle mie riflessioni in questi ultimi tempi.
Hai ragione tu: "stratificazione" e' molto meglio di "evoluzione".
Ciao

Anonimo ha detto...

Non nel tuo piccolo, Giovanni. Già da solo questo blog (il più interessante tra quelli nei quali io sono incappato e l'unico che oramai leggo in materia biblica) dà una idea della tua grandissima apertura mentale, anche nelle relazioni umane.
Se sei interessato alle questioni simboliche, ti segnalo il seguente lavoro (http://www.)
cartesio-episteme.net/ep8/lista-simbolo.pdf
Non è accademico - e quindi certamente pecca nella metodologia espositiva - però credo che qualche buona idea la contenga. Ciao. Lino