domenica 29 maggio 2011

Bibbia e tasse


La puntata di "Uomini e profeti" dello scorso 14 maggio si occupava di un tema potenzialmente assai interessante ("Onesta': virtu' praticabile?"). Ospite principale della trasmissione era Hans Kung, il celebre e controverso teologo cattolico dell'universita' di Tubinga, che ha di recente pubblicato un nuovo libro dedicato all'etica nell'economia. Kung propone l'adozione di una "etica mondiale", che dovrebbe avere portata universale e sostanzialmente deriva da alcuni dei precetti "sociali" contenuti nei dieci comandamenti con l'aggiunta della cosiddetta "regola d'oro" (non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te). In se', la proposta di Kung, per la sua genericita' e inapplicabilita' nel concreto, parla soprattutto della nostalgia che i teologi (e i filosofi cosi' come gli altri esperti di materie "umanistiche") nutrono per altre epoche pre-secolarizzate in cui veniva riconosciuto loro un ben diverso peso culturale e sociale. Piu' che dare lezioni di moralita' a finanzieri e banchieri, in genere questi tentativi finiscono per offrire loro un "diversivo" a margine delle loro piu' "serie" attivita' o, nei casi peggiori, diventano "coperture" ideologiche dei loro peggiori misfatti (sono pronto ad ammettere che queste medesime osservazioni si potrebbero benissimo applicare a me, ma prego gli eventuali lettori di accettare le riflessioni critiche che seguiranno come il tentativo sincero di mettere a tema in modo corretto una questione che ritengo di estrema importanza).
Un esempio molto significativo e' offerto dal secondo ospite, Giovanni Cereti, un sacerdote teologo cattolico, anche lui autore di un recente volume ("Pagare le tasse: solidarieta' e condivisione"). Cereti sostiene che il pagamento delle tasse costituisce un dovere morale per un cristiano, proprio perche', attraverso di esse, si attuerebbe quella solidarieta' (declinata in modi diversi, dall'assistenza sanitaria all'istruzione dei giovani) che dovrebbe essere elemento cardine dell'etica cristiana. Per quanto questa posizione mi risulti simpatica, tuttavia essa non affronta l'obiezione che viene per lo piu' sollevata oggi da chi si oppone al pagamento delle tasse perche' esse andrebbero sprecate, quando non perfino intascate da personaggi di dubbio profilo (dato che si puo' difficilmente negare quando, per fare solo esempi relativi al paese in cui vivo, si pensa alle enormi spese militari o agli ingenti fondi riversati dallo stato nelle tasche di quei finanzieri che avevano causato per primi la recente crisi economica). Come viene fatto notare a Cereti da Kung (ma credo che la sua soluzione sostanzialmente paternalista non sia molto meglio), il discorso non puo' limitarsi a comandare di pagare le tasse, ma deve arrivare a fondare un'etica di partecipazione e responsabilita' all'interno di uno stato democratico.
La domanda e' se la Bibbia puo' essere di qualche utilita' in questa direzione. Significativamente, Cereti cita due autorita' sulla questione delle tasse, Paolo e Agostino. Per limitarsi ad un'analisi del primo (ma il secondo non sarebbe differente), bisogna osservare che Paolo comanda esplicitamente il pagamento delle tasse nel famigerato capitolo 13 della lettera ai Romani (v. 6) all'interno di un discorso in cui l'autorita' politica (dell'impero romano) viene teorizzata come voluta da Dio e quindi come qualcosa di radicalmente diverso dall'esito di un libero gioco di consenso democratico. Sarebbe difficile aspettarsi qualcosa d'altro da una collezione di testi in cui le tasse sono quasi sempre rappresentate come "dovute" ad un sovrano che autocraticamente e graziosamente distribuisce benefici ai suoi sudditi (e tale immagine viene poi applicata a Dio). Ma allora, puo' questa collezione di testi fondare i valori della cittadinanza di uno stato moderno?

7 commenti:

Tanzen ha detto...

La mia risposta è no. Il richiamo Paolino è dettato dal riconoscimento dell'Autorità e la tassa diviene il "tributo" a quest'ultima da parte del suddito. La sua visione è antitetica a quella delle tasse moderne. Non più "tributi" ma "partecipazione" alle spese della comunità per la ricezione di servizi di pubblica utilità.
Le tasse non si pagano per "onorare" la Repubblica ma per sostenerla quale detentrice unica di una serie di servizi che questa, quale espressione del popolo, amministra in suo nome.
Personalmente credo che gli appelli alla morale per il pagamento delle tasse siano giusti ma poco efficaci. Accanto a questi ultimi, se il fine dell'ammonimento vuol essere combattere l'evasione per migliorare con il recupero fiscale i servizi per tutta la comunità, ritengo sia più utile pubblicizzare i vantaggi derivanti dal sistema "bellissimo" delle tasse. Mostrare che, al netto della corruzione - che vige anche nel privato -, il sistema pubblico garantisce prezzi più bassi in quanto non presume che pochi abbiano da mettersi in tasca i profitti dei servizi. Le strade statali vengono offerte a tutti perché tutti ne possano beneficiare ed in un sistema perfetto le tasse versate coprirebbero unicamente i costi della loro costruzione/riparazione e gestione. In un sistema altrettanto perfetto ma privato i cittadini pagherebbero i costi della loro costruzione/riparazione e gestione + la quota di profitti degli imprenditori.
Molto più efficace illustrare queste considerazioni che citare Paolo di Tarso. Del resto, dal punto di vista economico, anni fa avevamo un governatore di Bankitalia che citava più spesso Tommaso d'Aquino che i dati marcoeconomici della BCE e dell'FMI. Ora ne abbiamo uno che lascia nella libreria di casa l'opera dell'Aquinate e ragiona, da economista, solo sui secondi. La differenza: il primo finirà in carcere per turbativa dei mercati, il secondo diverrà presidente delle BCE.

Anonimo ha detto...

Nutro molta stima per il mio compatriota svizzero Küng. Il suo progetto per un'etica mondiale lo trovo molto interessante e positivo per il dialogo interreligioso come anche dall'aspetto pedagogico nell'insegnamento interreligioso.
La vera lacuna di Küng però è il non avvedersi del problema che il concetto "valore" si porta dietro da sempre, insomma da quando Lotze ha fondato la filosofia dei valori.
I valori non sono qualcosa che esistono, ma valgono. I valori non sono qualcosa di obiettivo, ma soggettivo. Tra i valori non troviamo nessuno di essi che può essere messo al di sopra di tutti gli altri, insomma ci troviamo di fatto sempre e comunque di fronte ad una pluralità di valori in conflitto tra di loro. Il conflitto dei valori è un dato di fatto presente più che mai nella nostra società. Basti pensare ai seguenti esempi: Ha più valore l'individuo o il collettivo? Ha più valore il lavoro o lo svago? Ha più valore la libertà o il legame? Ha più valore il progresso o la tradizione? E questi non sono che pochi esempi di valori positivi che si trovano in conflitto tra di loro. (La cosa più sensata da fare è cercare di trovare e fare delle sintesi e non escludere un valore a scapito dell'altro).
Tornando comunque a Küng.
Quando lui si auspica che la verità venga considerata come un valore assoluto, io mi chiedo: perché non mettere qualcosa d'altro in cima alla scala dei valori, come ad esempio la vita o la libertà?
Se io con una bugia posso salvare un mio caro amico, a cosa ha più senso dare valore: alla verità o alla vita? NB: Sono entrambi valori in sé positivi, quindi scegliere è difficile e non trovo giusto che qualcuno imponga all'altro di prendere per forza di cose una decisione piuttosto che un'altra.
Con questo non sto dicendo che mentire è giusto, ma solo che in certe occasioni mentire può essere il minore dei mali. Quando ci si trova di fronte a dei conflitti di valore senza via d'uscita, il compromesso e un certo sacrificio è necessario. Io preferisco sacrificare la verità, piuttosto che la vita di un mio caro amico. Ma non tutti devono pensarla e agire come me.

Anonimo ha detto...

L'intervento anonimo è il mio: Elijah Six. Mi sono scordato di firmarmi. ;)
Il discorso che ho fatto ha più a che fare con il titolo della puntata (onestà: virtù praticabile?) che con la questione specifica delle tasse e della solidarietà. Anche se il discorso dei conflitti dei valori comprende pure ovviamente la solidarietà.
(Capitalismo = L'individuo ha più valore del collettivo, l'egoismo ha più valore dell'altruismo come anche della solidarietà. L'invito di Cereti ha poche possibilità di essere seguito, oggi, ma in futuro forse si tornerà a dare più valore al collettivo, un valore in sé positivo ma oggi poco in voga).

Giovanni Bazzana ha detto...

Caro Tanzen,
grazie per il commento, con cui concordo in larga misura. Tuttavia, e' anche interessante notare come i testi biblici siano stati usati, nel corso della loro storia secolare, per i piu' vari fini (pensa, ad esempio, alla questione della schiavitu'). In realta', mi sembra vero che ogni testo ha anche una "vita propria" che risulta largamente indipendente dal suo originale contesto storico-ideologico. Questo ovviamente ha delle ripercussioni sul discorso dell'ispirazione dei testi biblici, in particolare.
Ciao

Giovanni Bazzana ha detto...

Caro Elijah,
grazie del tuo ricco e interessante commento.
Mi sono permesso di descrivere la proposta di Kung come "inapplicabile" perche' essa pecca chiaramente di idealismo (nel senso tecnico del termine). Peraltro, questo e' il punto su cui metti l'accento anche tu qundo osservi che la questione fondamentale e' quella del conflitto.
Chi non e' d'accordo in principio con la regola del "non uccidere"? Ma poi la cosa si fa complicata quando si deve vedere chi stabilisce nella pratica l'applicazione di questo principio: sappiamo bene che, per rimanere sempre in questo ambito, nella storia le teorie sulla "guerra giusta" si sono sprecate e sono state, quasi sempre, formulate per giustificare chi le guerre le aveva vinte.
Come dici tu alla fine del tuo commento, si potrebbe tornare ai tempi in cui i valori del collettivo e dell'altruismo venivano formulati da quegli stessi che traevano profitto dai sacrifici della maggioranza, ma sarebbe questo davvero un miglioramento?
Ciao

Anonimo ha detto...

A Giovanni Bazzana: penso sinceramente che sia un po' anacronistico affermare che Paolo nelle sue affermazioni in Romani 13 avesse intenzione di opporsi a ogni autorità proveniente da un "libero gioco di consenso democratico" (e tralasciamo tutto il discorso storico su cos'è la democrazia e i casi in cui le scelte provenienti dal "consenso democratico" portano a risultati problematici) penso che se Paolo avesse affermato il contrario il messaggio cristiano sarebbe stato giudicato altamente sovversivo, con tutte le relative conseguenze. Magari puoi suggerirmi qualche approfondimento sul rapporto tra Paolo e il potere politico e civile.

Ciao.

Michele

Anonimo ha detto...

Caro Giovanni,
parlare di miglioramento o meno sta diventando sempre più difficile, dato il grande problema ecologico con cui abbiamo a che fare. Se tutti vivessero con lo standard di vita che hanno gli statunitensi, le risorse prime della terra non basterebbero per molto. Detto in parole povere: più il tempo passa, più ci si avvicina ad un collassamento del sistema.
Il valore e l'idea di un perenne progesso e miglioramento è a mio modo di vedere da abbandonare o comunque da rendere almeno ecologicamente sostenibile. Questo implica dei cambiamenti. In che direzione, non saprei. Forse anche tornando a dare più valore al collettivo. Ma sono comunque discorsi difficili da fare.
Buona giornata, Elijah Six.