giovedì 9 dicembre 2010

Mitologie bibliche?


Grazie al blog di Antonio Lombatti, sono incappato in questo bellissimo post di Jim Linville. In realta', si tratta del testo della relazione che il professore dell'Universita' di Lethbridge ha letto all'ultimo meeting della SBL in Atlanta. Il titolo e' "Taking Textbooks to Task over Old Testament Mythology" ("Mettere alla prova i manuali sul tema della mitologia nell'Antico Testamento") e Linville, per l'appunto, analizza con arguzia come una serie di Introduzioni all'Antico Testamento presentano (o, meglio, cercano di non presentare) il tema della mitologia nella Bibbia ebraica. Magari non si sara' d'accordo con tutti i giudizi di Linville, ma consiglio assolutamente la lettura del pezzo, che, tra l'altro, da' anche una serie di ottime indicazioni per chi fosse interessato a leggere un manuale di questo tipo.
Linville lavora con una definizione di "mito" assai sofisticata ("un racconto diviene mito agli occhi dell'osservatore come conseguenza di complessi fenomeni culturali ed ermeneutici") e giustamente si aspetta lo stesso rigore da libri che, invece, incappano assai spesso in pregiudizi teologici. Tuttavia, mi sono chiesto se l'utilizzo del termine "mito" sia sempre utile. Si prenda, ad esempio, questo post comparso ieri sul sito del Censore, che riprende una campagna di sensibilizzazione americana. Il termine "mito" in questo contesto ha un senso diverso da quello usato da Linville: qui abbiamo l'uso piu' polemico e il mito diviene "un racconto falso e irrazionale". E' giusto impiegare il termine in contesto scientifico, quando esso, volenti o nolenti, porta con se' un tale bagaglio polemico? Una cosa simile mi e' accaduta un paio di anni fa in una conferenza in cui ebbi una lunga discussione sull'opportunita' di utilizzare il termine "sincretismo". Comunemente, questa parola e' spregiativa e polemica, ma il professore che discuteva con me riteneva di poterla usare in modo neutro, dopo averne dato una nuova e assai articolata definzione. Il problema e' che non basta dare, all'inizio di ogni articolo o di ogni conferenza, una nuova e particolareggiata definizione: l'uso tradizionale e' nelle orecchie e nella mente di tutti e alla fine si imporra', nel migliore dei casi creando confusione. Certe volte credo opportuno semplicemente lasciar perdere alcune categorie.
La questione e' ancor piu' spinosa se, come nel caso del "mito" falso, implicitamente si utilizza anche una contrapposizione con la "storia", che invece stabilirebbe in modo razionale la verita' dei "fatti". Penso che oggi si possa seriamente sostenere solo una definizione della storia come disciplina critica e che, quindi, si possa parlare solo in modo molto relativo di uno storico che chiarisce come sono andati davvero i fatti. Se si va nella direzione opposta si rischia solo un ritorno al positivismo e, siccome nuovi "miti" sono continuamente generati dalle societa' umane (intendiamoci bene, anche da quelle piu' secolarizzate), si finirebbe per avere storici che, com'e' gia' accaduto molte volte, accertano proprio quei "fatti" che sostengono il "mito" del momento.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Tralasciando la lunghissima discussione della critica al mito che parte dai presocratici e Platone e arriva a Frazer ed Eliade passando per Vico e Spinoza, sinceramente mi risulta che il significato in italiano di "mito" sia "narrazione tradizionale che una certa società ritiene che possieda qualche valore nel trovare significati e insegnamenti morali, religiosi e politici ". La falsità e verità dal punto di vista scientifico e storiografico (discipline nate peraltro solo in tempi moderni e dove al giorno d'oggi parlarne pensando a verità positivistiche non ha più senso) è quindi totalmente irrilevante al riguardo, almeno per lo studio accademico di queste narrazioni.

Una cosa poi che sarebbe molto interessante conoscere è come nei vari libri, sussidiari e antologie di lettere delle scuole preuniversitarie (elementari, medie e superiori) si descrive la letteratura mitica dell'antichità e si antologizzano brani di questi racconti. Mettere assieme Gilgamesh, Achille, Prometeo ed Enea con Adamo ed Eva, Noè, Abramo e Mosè può essere (in assenza di una sempre più doverosa ora di insegnamento di storia delle religioni) un buon modo per comprendere che si debba dare uguale interesse alle varie culture dell'antichità, dato che la civiltà occidentale, piaccia o no, è discendente diretta di tutte queste culture.

Ciao.
Michele

Anonimo ha detto...

Proprio l'altro ieri sono stato ad un convegno in cui si analizzava l'Odissea come "mito" ed è stato inevitabile fare qualche paragone con le narrazioni bibliche.
Dal punto di vista di chi redigeva i testi, il discorso "mitico" non era affatto meno razionale del discorso storico. Il mito è stato spesso la prima produzione scritta di una società, la traduzione dell'oralità in logos. Si tratta di un'operazione nel più dei casi ovviamente realizzata o filtrata dai gruppi dominanti delle varie società, e solo in parte se ne può misurare la effetiva importanza e circolazione: di solito ciò è più facile per le fasi successive che non per quelle originarie.
Del resto è cosa nota: il mito poteva servire a spiegare la realtà, come pure a legittimare un potere o un possesso; per di più esso poteva ricoprire funzione creativa (quante volte il mito fu motore di eventi storici? Gli esempi sarebbero numerosissimi...).
Ciò che vorrei dire è che non credo si possa far valere, per le epoche in questione, una contrapposizione tra mito e storia. Semplicemente perché ciò che noi definiamo storia - mi piace la definizione di Giovanni - un tempo non esisisteva.
Non credo che regga perciò l'accezione di mito come "discorso falso e irrazionale". La prospettiva è unilaterale e non si rende così giustizia ai testi.
Indubbiamente molti degli scritti biblici sono "miti" ed il compito di chi li studia non è dissimile da quello del geologo: analizzarne le sedimentazioni e gli strati attraverso cui si sono formati. Al massimo possiamo sperare di intravedere quali funzioni dovevano assolvere i testi nelle intenzioni dei redattori (eppure c'è chi ragiona in termini di autori...), ma sarebbe molto rischioso servircene per tentare di stabilire una "verità storica". In relazione alle agiografie e ad altre fonti medievali "false" Horst Furhmann ha scritto delle illuminanti pagine che credo possano essere utili anche in questo caso.

Questo ci insegna a fare la crtica delle fonti. Questo è difficile fare specialmente in Italia: è facilissimo riconoscere elementi di mito in Dionigi di Alicarnasso ed in Livio...un po' più arduo è tentare di applicare la stessa critica al testo biblico (come sarebbe legittimo). Non si sa come mai, ma subito si alzano mille barriere.... insomma: quante divisioni ha questo papa?
Etienne

Giovanni Bazzana ha detto...

Caro Michele,
interessante quesito il tuo dal momento che ormai sia alle scuole medie che nei bienni dei licei e' divenuto comune leggere brani "epici" non piu' solo greco-romani, ma anche di altre tradizioni culturali (fra cui anche quella ebraica). Purtroppo, non riesco a ricordarmi come i manuali che ho usato in passato trattassero la questione del mito.
Grazie per l'osservazione.

Giovanni Bazzana ha detto...

Caro Etienne,
sottoscrivo totalmente. La "colpa" ovviamente non e' solo del papa, ma della struttura ideologica che ci portiamo dietro e che spesso, da una parte e dell'altra, ripetiamo e rafforziamo senza nemmeno rendercene conto.
Ciao