lunedì 13 dicembre 2010

Giunia revisited


Sul Better Bibles Blog e' stata ancora una volta risollevata la questione di Giunia, l'apostola menzionata da Paolo in Rm 16:7. Il post e' interessante perche', oltre al consueto scontro ideologico, fra i commenti John Hobbins menziona un articolo comparso nel 2008 sul Journal of Biblical Literature, che mi pare interessante.
L'autore e' Al Wolters, professore al Redemeer University College, e il titolo "IOYNIAN (Romans 16:7) and the Hebrew Name Yehunni" ("IOYNIAN e il nome ebraico Yehunni"). In breve, Wolters sostiene che il termine greco "Ioynian" potrebbe essere interpretato, dal punto di vista grammaticale e fonetico, non solo come la traslitterazione del latino femminile "Iunia", ma anche di un maschile ebraico simile a molti altri che si trovano nella Bibbia greca (come, ad esempio, "Zacharian"). In questo caso, l'ebraico originario avrebbe potuto essere "Yehunni", che appare in un paio di iscrizioni datate al primo o al secondo secolo della nostra era, o "Yehunniyah" (mai attestato), che sarebbe la forma non abbreviata di un nome teoforico, la cui traduzione potrebbe essere "Il Signore conceda la grazia".
L'articolo e' molto ben fatto e certamente rimette in gioco una possibilita' che era altrimenti stata trascurata da tutti quelli che si erano precedentemente occupati della questione. Tuttavia, non mi sentirei di dire, come Hobbins nel suo commento, che l'articolo "riapre la questione". Non e' la prima volta che vedo evangelici, o piu' in generale conservatori, che usano questa strategia argomentativa: se si deve provare qualcosa che sta loro a cuore anche la piu' piccola prova quanto meno "rimette tutto in gioco", mentre, se qualcuno sostiene l'opposto con prove schiaccianti (ma non assolute), la questione "rimane sempre aperta".
La storia, pero', e' una scienza che non da' mai dimostrazioni assolute: si ragiona in termini di probabilita' piu' o meno forti. Mi sembra che anche Wolters, alla fine della sua esemplare analisi, cerchi di fare il trucchetto, dicendo che "si puo' costruire un'argomentazione plausibile (ma non decisiva) a sostegno di entrambe le opzioni". Sarebbe quindi ugualmente plausibile che in una comunita' di Roma ci fosse una donna dal nome latino attestato decine di volte o un uomo dal nome ebraico che compare solo due volte in iscrizioni della Siria-Palestina? Quale prova potrebbe mai essere "decisiva" in questo caso?

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Sempre interessante l'argomento del ruolo e della condizione della donna nei primi secoli cristiani e giustamente è uno dei tuoi argomenti preferiti.

Tuttavia, come già ti avevo fatto notare in post precedenti occorre anche evidenziare che oltre a difendere le pari opportunità, una società senza discriminazioni dovrebbe anche promuovere la meritocrazia (chi dimostra di non essere capace del suo ruolo nella società non deve essere lasciato al suo posto senza conseguenze, a prescindere se la maggior parte degli incapaci siano uomini o donne, connazionali o stranieri, alti o bassi) e il riconoscere che non c'è un'unica strada verso la felicità e l'autorealizzazione uguale per tutte le persone (nulla vieta che una donna che dedica molto più tempo alla casa e alla famiglia e che si accontenta di un lavoro part time si senta molto più realizzata di una donna in carriera che dirige una grande impresa).

In un post precedente mi avevi indicato alcuni testi interessanti sugli studi di genere nei primi secoli cristiani. Mi piacerebbe sapere se conoscevi qualche testo che parla della società in generale nei primi secoli cristiani e dell'influenza su di essa causata dai fattori non solo economici e politici ma anche da quelli culturali, filosofici e religiosi. Ho letto al riguardo "Storia della chiesa nella tarda antichità" di Ewa Wipszycka, che però tratta dei secoli dal III al V. Ho visto nelle librerie anche le opere di Rodney Stark, ma dalle recensioni che ho letto sembra che questo sociologo descriva in modo superficiale i fattori religiosi sulle società antiche a causa di scarsi approfondimenti storici. Volevo sapere cosa ne pensavi di questi due autori se li avevi letti e se conosci altre opere di storia della società dei primi tre secoli cristiani.

Ciao e... buone feste!
Michele

Anonimo ha detto...

A proposito di apostoli, leggendo le lettere paoline ho avuto l'impressione che questo titolo non sia ristretto ai Dodici apostoli, come nei vangeli. Lei che ne pensa?
Simone

Giovanni Bazzana ha detto...

Caro Simone,
e' una buona osservazione la tua e dipende dal fatto che i "dodici apostoli" sono piu' un dato tradizionale che del NT. Infatti, l'espressione appare solo in due passi di Matteo e dell'Apocalisse.
Da molti storici l'idea che il numero degli apostoli sia da restringersi a 12 e' considerata una evoluzione tarda, probabilmente (aggiungerei io) destinata a colpire Paolo.
Saluti

Anonimo ha detto...

Ma quindi i Dodici, di cui tutti i 4 Vangeli e anche Paolo parlano, cosa furono precisamente? Dei discepoli privilegiati? Dico questo perchè anche il termine "discepoli" non è sempre specifico per i Dodici (pernso ai due discepoli di Emmaus.....).
Simone

Giovanni Bazzana ha detto...

Caro Simone,
i 12 devono essere stati, come dici tu, un gruppo di discepoli privilegiati. La loro selezione deve essere un fatto molto antico (molti lo ritengono uno dei pochi atti che sicuramente si possono attribuire al Gesu' storico) e il motivo del numero ha molto probabilmente un valore simbolico legato all'escatologia e alle 12 tribu' d'Israele.
Saluti