sabato 27 novembre 2010

Verbum Domini: ispirazione


Negli ultimi tempi, il Vaticano e' al centro delle discussioni a causa della sibillina frase di Ratzinger su preservativi e prostituti/e, ma, un paio di settimane fa, lo stesso papa ha rilasciato un documento assai interessante e forse degno di un'analisi un po' piu' ragionata. Siccome siamo in periodo di Ringraziamento, ho pensato che fosse il caso di impiegare del tempo nel leggere l'esortazione apostolica "Verbum Domini", che e' la risposta ufficiale ai lavori del sinodo dei vescovi del 2008 e ha come tema specifico la "Parola di Dio nella vita e nella missione della chiesa".
Il testo e' denso e sembra porsi come un documento abbastanza importante, in quanto Ratzinger prova a fare il punto sulla posizione della Bibbia nella dottrina cattolica a partire dal concilio (un cui documento, la Dei Verbum, e' esplicitamente richiamato nel titolo) e attraverso gli interventi decisamente sparsi e disarticolati dei papi successivi. Il discorso e' senza dubbio approfondito, anche se mi pare che la prospettive di ulteriore sviluppo siano un po' scarse (almeno dal punto di vista intellettuale: lascerei ad altri, piu' competenti di me, un giudizio sulle prospettive pastorali). Presento alcune mie riflessioni senza alcuna pretesa di sistematicita'.
Una questione assai importante e' ovviamente quella dell'ispirazione della Scrittura, trattata nel testo al paragrafo 19. Ratzinger riconosce molto bene l'importante nesso tra ispirazione e verita' della Parola di Dio cosi' come avverte che lo stesso nesso appare assai problematico e invita ad approfondire la ricerca sul tema. In questo la continuita' con la Dei Verbum e' notevole: gia' il documento del concilio Vaticano II aveva evitato accuratamente di definire piu' precisamente il rapporto fra la componente ispirata e quella umana (e quindi necessariamente "non vera" in senso assoluto) nella Bibbia. Dal punto di vista dottrinale, questo offre un vantaggio enorme poiche' consente una duttilita' assolutamente benefica in una materia oscura e in continua evoluzione.
Basta prendere in considerazione l'evoluzione che, piu' o meno apertamente riconosciuta, si e' verificata nell'interpretazione di quei passi (ad esempio, il famoso versetto della lettera agli Efesini) in cui alla donna viene richiesta la sottomissione all'uomo: in una societa' patriarcale, questi venivano senz'altro intesi come ispirati nel loro senso piu' letterale, mentre oggi e' difficile che accada che essi non vengano in qualche modo "aggirati" adottando interpretazioni piu' o meno allegoriche. In futuro, e' possibile che si faccia qualcosa del genere anche, per esempio, per il complesso passo di Romani (1:26-28) che viene talvolta presentato come una critica dell'omosessualita': in Italia c'e' anche chi irresponsabilmente ne invoca un'interpretazione piu' letterale, ma il fatto stesso che esso non compaia quasi mai quando si discute della moralita' o immoralita' delle relazioni omosessuali dimostra che la materia richiede studio attento e consapevole delle conseguenze, come in effetti viene anche suggerito dal papa.

13 commenti:

Anonimo ha detto...

Argomento già dibattuto altre volte in questo blog ma sempre ancora interessante, quello del problema del ricercare nei testi biblici verità morali.

Ne approfitto solo per precisare il significato di alcune espressioni greche molto comuni, spesso usate sia da Paolo che da tanti altri scrittori e filosofi di lingua e cultura greca come Aristotele (spesso criticato, secondo me a torto, da alcune femministe e da alcuni studi di genere). In tal modo comprendiamo meglio queste affermazioni e vediamo se sono o no ancora attuali per il nostro tempo.

Queste espressioni sono "secondo natura" (kata physin) e "contro natura" (para physin).

Affermare che una persona agisce "secondo natura" se preferisce condividere una vita e rapporti intimi con lo stesso sesso piuttosto che con quello diverso non significava affatto per tutti gli scrittori che usano questa espressione che esiste una legge esterna che fa sì che per questa persona è giusto unirsi a persone di un certo sesso piuttosto che a un altro.

"Agire secondo natura" voleva dire anzi l'esatto contrario. Significava che quella persona dopo aver conosciuto bene se stessa stava agendo in base a come aveva compreso qual era il tipo di vita che secondo lui lo rendeva pienamente realizzata e felice, a prescindere da qualsiasi forza e azione esterna che fa deviare la persona da quella realizzazione. Aristotele nella Fisica fa l'esempio di una pietra che possiede un moto "secondo natura" se cade libera senza impedimenti esterni mentre si muoverebbe "contro natura" se noi con una mano la lanciamo verso l'alto.

Cosa invece intendevano Aristotele e gli altri scrittori greci per "azione contro natura"? Qualunque azione che un individuo compie non perchè lui ritiene dopo molte riflessioni che quell'azione contribuisce a realizzare la propria vita, ma che compie solo perchè una forza o volontà esterna e opposta alla propria gli impone questa azione senza proporgli libere alternative.

Tutte le affermazioni sulle donne da parte di Aristotele (ad esempio nella "Politica") spesso quindi vengono fraintese, ogni qualvolta Aristotele affermava "le donne per natura hanno queste qualità, capacità e difetti" non intendeva assolutamente dare leggi prescrittive ma voleva semplicemente descrivere quali erano a quel tempo le tendenze e aspirazioni della maggior parte delle donne nell'ambiente e periodo in cui lui viveva, tant'è che Aristotele affermava che se una donna avesse dimostrato che aveva qualità e capacità diverse dalla maggioranza delle altre donne allora lei aveva il diritto di perseguire scopi e occupazioni che meglio la facevano realizzare.

Aristotele inoltre è sempre attento a precisare cosa intende lui usando il termine "perfezione". Nella Fisica afferma che dire che un cavallo è meno perfetto di un uomo è come affermare che un monte è meno perfetto di un lago. Per Aristotele dunque ha senso parlare che un elemento è più perfetto di un altro solo relativamente a un certo fine e se tutti e due gli elementi perseguono allo stesso fine (ad esempio un corridore A è più perfetto di un altro B in quanto corridore se A consegue migliori risultati nelle corse rispetto a B).

Come si vede questi ragionamenti penso si possano applicare anche a Paolo quando parla di ciò che è contro o secondo natura e anche riguardo al fatto del sottomissione reciproca dei coniugi l'uno verso l'altro che in un certo senso vuol dire rispettare le aspirazioni e realizzazioni del proprio partner. Questo è almeno quello che ho compreso dall'ultimo corso universitario su Aristotele che ho intrapreso, segno che rileggere i classici vuol dire trovare sempre qualcosa di nuovo e attuale.

Ciao.
Michele

Anonimo ha detto...
Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
Giovanni Bazzana ha detto...

Caro Michele,
scusa se ho eliminato il secondo commento, ma mi sembrava che fosse risultato un doppione del primo.
Grazie comunque per il sunto su Aristotele, che trovo molto interessante.
Non capisco solo una delle tue ultime affermazioni: i fini sono specifici di ciascuna categoria di enti (per cui e' possibile distinguere un lago da un cavallo) o possono variare anche all'interno della stessa categoria (il tuo esempio della donna con qualita' diverse dalla maggioranza)? Insomma, la teleologia e' un elemento che definisce gli enti oppure no? Questo, secondo me, e' il problema maggiore di tutte le ontologie e le etiche (anche quella scolastica) che si richiamano ad Aristotele.
Ciao.

Anonimo ha detto...

A Giovanni Bazzana:
da quel che mi risulta Aristotele riteneva che il fine "telos" di ogni individuo (fine che secondo Aristotele era la felicità di ogni individuo) non fosse qualcosa che definisse gli enti poichè nell'Etica Nicomachea affermava che ogni individuo vede la felicità a modo suo. Aristotele per definire una donna non avrebbe parlato di fini ma la avrebbe semplicemente definita con la classica combinazione "genere più differenza specifica" cioè "essere umano che è di sesso femminile".

Poi è chiaro che fattori biologici come il fatto che solo le donne possono essere in stato di gravidanza e allattare i figli nell'ambiente ed epoca in cui viveva Aristotele hanno spinto il filosofo greco a descrivere (ma non prescrivere come comandi politici o morali) nella sua "politica" caratteri e aspirazioni delle donne che in altri ambienti ed epoche potevano essere diverse.

Da quello che ho compreso mi sembra che nei tuoi studi sul mondo antico ti interessano molto gli studi di genere e le condizioni delle donne. Magari puoi consigliarmi le opere (in inglese o in italiano) riguardo alle donne nella prima epoca cristiana che hai trovato di più notevole interesse.

Ciao.
Michele

Giovanni Bazzana ha detto...

Caro Michele,
scusa: e' probabile che la mia concezione dell'etica aristotelica sia troppo informata dalle successive riprese scolastiche o dal ricordo di passi come quello della Politica in cui si dice che le donne devono essere soggette ai mariti a causa della debolezza della loro facolta' deliberativa. Tuttavia, e' un argomento su cui confesso senza problemi la limitatezza delle mie cognizioni.
Per gli studi di genere sul cristianesimo antico, ormai sembrano quasi essere diventati una disciplina a se stante, visto quanto sono diffusi. In italiano, probabilmente le cose piu' accessibili sono quelle di E. Schussler Fiorenza o di Carolyn Osiek. Se vuoi qualcosa di piu' ricercato, credo non tradotti, puoi leggere E. Castelli o B. Boorton, che ho "scoperto" solo recentemente, ma con grande soddisfazione.
Ciao.

Anonimo ha detto...

Non vorrei far polemica ma non riesco a capire bene da quale strano Aristotele in realtà sono prese le considerazioni di Michele. Perché mai "non avrebbe parlato di fini"? E cosa c'entra la "classica combinazione genere più differenza specifica" con considerazioni che sono solamente di natura politica?
Ymmanuel

Anonimo ha detto...

A Ymmanuel:

Nei miei interventi che ho scritto mi sono basato sull'Aristotele dell'Etica Nicomachea e della Politica opere che ho tutte e due studiato ad alcuni corsi universitari, dunque non mi baso su affermazioni di seconda mano, ma sui testi originali, che è bene leggere in prima persona e comprendere, prima di dare giudizi affrettati basandosi solo sulla letteratura secondaria.

Da quello che ho imparato a queste lezioni Aristotele aveva presente il fatto che ogni persona ha capacità diverse e che era in base a queste capacità che ogni persona può comprendere qual è il modo migliore che ha per essere felice.

Faccio di nuovo notare che molte affermazioni sulle donne che fa Aristotele nella "Politica" non sono prescrizioni di come dovevano secondo lui comportarsi le donne, ma sono descrizioni delle capacità e ideali che in media le donne in quell'epoca e ambiente ritenevano di avere.

Affermare cose come "In media le donne hanno una massa muscolare minore di quella degli uomini" non è un giudizio di valore ma una constatazione di un fatto, che porta a differenze pratiche nel compiere certi lavori, così come "In media le donne hanno una capacità decisionale diversa da quella degli uomini" che fa sì che in certe compiti di dirigere dei lavori in media le donne abbiano più competenza mentre in altri casi la hanno gli uomini.

Faccio notare però che si tratta sempre di medie, se una donna dimostra di avere tutte le capacità di fare lavori come il taglialegna (o per fare un esempio attuale, l'imprenditrice di un'impresa internazionale) e se questa donna ritiene certo che si sentirà realizzata come taglialegna (o come l'imprenditrice di un'impresa internazionale) allora penso che Aristotele avrebbe ritenuto che era giusto che le fosse dato il diritto di compiere queste scelte. Naturalmente eguale discorso sarebbe stato se una donna avesse ritenuto che si sentiva realizzata come come persona che sta accanto ai suoi figli per il maggior tempo possibile e a cui la carriera in lavoro è qualcosa di indifferente o di ostacolante per la sua felicità. Uguale naturalmente è il discorso per gli uomini.

La cosa importante è quindi stare attenti a non pensare esista una sola ricetta per mezzo di cui tutte le persone riescono a sentirsi autorealizzate. Poi certo occorre dare a tutti pari opportunità ma occorre anche privilegiare i meritevoli, a prescindere che siano uomini o donne, bianchi o neri, alti o bassi quando si è certi che tutti partono dallo stesso punto di partenza.

Un testo che ho appena trovato e che mi sembra interessante riguardo ad Aristotele e le sue più recenti interpretazioni femministe è questo qui:

http://books.google.it/books?id=_clplh2kAvkC&printsec=frontcover

Ciao.

Anonimo ha detto...

Per Michele:

Tu scrivi: "Affermare cose come "In media le donne hanno una massa muscolare minore di quella degli uomini" non è un giudizio di valore ma una constatazione di un fatto, che porta a differenze pratiche nel compiere certi lavori, così come "In media le donne hanno una capacità decisionale diversa da quella degli uomini"

A me sembra che una simile affermazione, oltre ad essere logicamente un po' sgangherata, nasconda un fastidiosissimo pregiudizio di genere. Ma non voglio far polemica e mi fermo qui. Comunque, nell'etica non c'è scritto da nessuna parte che "ogni persona ha capacità diverse e che era in base a queste capacità che ogni persona può comprendere qual è il modo migliore che ha per essere felice"

Sis felix,
Ymmanuel

Anonimo ha detto...

A Ymmanuel:

il passo in cui Aristotele afferma che ogni individuo ha delle disposizioni e capacità che se realizzate, lo rendono felice si trova qui:

http://www.filosofico.net/Antologia_file/AntologiaA/ARISTOTELE_%20LA%20FELICITA%20COINCIDE.htm

Ma, certo, dire che la felicità è il bene supremo è, manifestamente, un'affermazione su cui c'è completo accordo; d'altra parte si sente il desiderio che si dica ancora in modo più chiaro che cosa essa è. Forse ci si riuscirebbe se si cogliesse la funzione [25] dell'uomo. Come, infatti, per il flautista, per lo scultore e per chiunque eserciti

un'arte, e in generale per tutte le cose che hanno una determinata funzione ed un determinato tipo di attività, si ritiene che il bene e la perfezione consistano appunto in questa funzione, così si potrebbe ritenere che sia anche per l'uomo, se pur c'è una sua funzione propria. Forse, dunque, ci sono funzioni ed azioni proprie del falegname e del calzolaio, [30] mentre non ce n'è alcuna propria dell'uomo, ma è nato senza alcuna funzione specifica? Oppure come c'è, manifestamente, una funzione determinata dell'occhio, della mano, del piede e in genere di ciascuna parte del corpo, così anche dell'uomo si deve ammettere che esista una determinata funzione oltre a tutte queste?

Quale, dunque, potrebbe mai essere questa funzione? È manifesto infatti che il vivere è comune anche alle piante, mentre qui si sta cercando ciò che è proprio dell'uomo.

Qui Enrico Berti, studioso di Aristotele, commenta proprio questo passo:

www.ccdc.it/iframe.asp?IdDocumento=65

"Il problema della filosofia pratica è dunque di stabilire in che cosa consiste la
felicità.
Per risolvere questo problema Aristotele muove dall'osservazione che ogni tipo particolare
di uomo ha una funzione che gli è propria, consistente nella realizzazione della sua particolare
disposizione, o capacità: per esempio il flautista ha come sua funzione quella di suonare il flauto,
lo scultore quella di scolpire statue, ecc., ed il bene di ciascuno consiste nell'eseguire tale
funzione nel modo migliore. Di conseguenza anche l'uomo in quanto tale avrà una funzione sua
propria, ed il suo bene, cioè la sua felicità, consisterà nello svolgere tale funzione nel modo
migliore, cioè nel pervenire a quella che i Greci chiamavano "virtù" (aretè). Quest'ultimo non è
un concetto soltanto morale, ma indica qualsiasi forma di eccellenza, ovvero di perfezione. Come
c'è una virtù del flautista, che consiste nel saper suonare bene il flauto, così ci deve essere una
virtù dell'uomo in quanto tale, che consiste nella disposizione migliore propria dell'uomo in
generale, e la felicità, secondo Aristotele, consiste nella realizzazione di questa virtù."

In quanto a le mie osservazioni fatte prima, non capisco sinceramente che pregiudizi ci siano, posso tranquillamente ammettere che sono molto generiche e che possono essere magari smentite in molte zone della terra, ma dire cose come "in media le donne hanno una statura più bassa degli uomini" mi sembra un'affermazione del tutto neutra e priva di connotazioni di valore.

Comunque ti consiglio di leggere testi femministi su Aristotele non chè le opere originali di Aristotele come quello che ho suggerito, mi sembra che tutto sommato si debba sempre conoscere bene un autore prima di dare ogni giudizio, di qualunque tipo esso sia.

Ciao.
Michele

Anonimo ha detto...

Michele, ma i libri vanno letti per intero. Non si può estrapolare un passo e poi ricamarci sopra delle ideuzze. Leggi il X libro dell'Etica e poi ne parliamo. Qui di differenza fra donne, flautisti e falegnami non c'è più alcuna allusione.

Anonimo ha detto...

ps: puoi smetterla di ripetere che bisogna leggere i testi originali? Se ne stiamo parlando oso sperare che entrambi abbiamo letto il testo e il problema è l'interpretazione dell'opera non la sua conoscenza. Sai, forse non sei il solo ad aver letto "le opere originali di Aristotele".

Ymmanuel

Anonimo ha detto...

A Ymmanuel: sinceramente, ritengo che non ti debba scaldare d'animo così tanto, ammetto tranquillamente sia che io possa sbagliarmi e sia che io non posso essere il massimo conoscitore di Aristotele, tutti e due siamo qui per imparare e io sono la persona più felice del mondo se qualcuno mi mostra che una certa interpretazione di un'autore non è la migliore.

Tuttavia nota che io oltre ad aver citato un passo dell'Etica di Aristotele ho anche riportato la lettura che ne fa Enrico Berti a favore dell'interpretazione che prima ho esposto, e Berti è probabilmente il più importante studioso vivente di Aristotele. Non vedo contraddizioni fra quella lettura di quel passo e quella degli altri libri dell'Etica. Aristotele inoltre ha nel suo pensiero sempre dato grandissima considerazione del "tóde ti" il "questo qui" e perciò mi sembra non corretto affermare che Aristotele negava l'unicità e irripetibilità dell'individuo e che quindi tale peculiarità ha conseguenze nella vita pratica.

Se vuoi puoi dirmi tu le tue letture di interpreti di Aristotele che ti hanno indirizzato a un'interpretazione diversa. Sono sempre lieto di conoscere letture e interpretazioni diverse da quelle che ho letto finora anche se dopo è bene sempre darne un giudizio. Inoltre ti consiglio di nuovo di leggere almeno sul link di google books quell'opera sugli studi femministi più recenti di Aristotele, dato che mi sembra che sia stato molto rivalutato di recente anche in quell'ambito.

Ciao.
Michele

Giovanni Bazzana ha detto...

Cari Michele e Ymmanuel,
grazie per l'interessante conversazione, che mi ha insegnato molte cose, e per averla saputa contenere entro i limiti di uno scambio rispettoso delle altrui opinioni.
Come gia' detto, la mia conoscenza di Aristotele e' troppo rusty per permettermi di trarre alcuna conclusione, ma volevo solo aggiungere due riflessioni come postille.
Anzitutto, mi sembra che la controversia sulla "retta" interpretazione di Aristotele confermi quanto spesso dico a proposito della Bibbia. Non si da' in effetti una sola lettura che possa cogliere l'intenzione di un autore in modo definitivo, anche nel caso di un filosofo che e' certo piu' "sistematico" degli autori biblici.
Naturalmente, questo non equivale a dire che tutte le interpretazioni sono legittime sul piano storico (e questo e' il secondo punto). Michele ha mostrato molto bene (grazie dei links!) che esiste un'interessante lettura femminista di Aristotele, ma mi rimane comunque difficile pensare che un passo come quello della Politica a cui facevo riferimento sopra non abbia una funzione anche "prescrittiva" e non solo "descrittiva". In somma, direi che probabilmente Aristotele e di certo i suoi lettori per molti secoli successivi sono stati influenzati dalle strutture patriarcali delle loro societa' e che, se vogliamo vedere nell'aristotelismo un movimento verso una maggiore eguaglianza, la nostra analisi deve ammettere una buona dose di ambiguita'.