Sono riprese, dopo l'interruzione estiva, le trasmissioni di "Uomini e profeti" dedicate alla lettura della Bibbia: conclusa la Genesi, si e' incominciato a leggere il libro dell'Esodo e vale davvero la pena di non perdere queste puntate (anche in podcast) perche' in genere le informazioni che se ne ricavano sono interessanti.
A commentare i capitoli fra il passaggio del Mar Rosso e la rivelazione della Legge sul Sinai era, domenica scorsa, Enzo Bianchi e la lettura si e' subito trasformata in omelia. All'inizio del capitolo 16 si racconta una delle mormorazioni di Israele contro Dio: gli Israeliti si lamentano del fatto che Mose' sembra averli fatti uscire dall'Egitto per morire di fame, mentre la' stavano "seduti vicino alla pentola della carne" e mangiavano pane a sazieta' (v. 3). Qui Bianchi si lancia in una filippica contro gli uomini che preferiscono avere la pancia riempita dal cibo dato loro dai padroni piuttosto che affrontare il rischio della liberta'.
Subito dopo, Dio risponde alla provocazione inviando la manna, che pero' viene concessa con un'importante limitazione: l'ordine divino e' che non se ne dovra' raccogliere piu' del necessario per il consumo di un giorno. Chi si azzarda a farsene una scorta, la vedra' riempirsi di vermi e imputridire (vv. 19-20). Mi direte: di certo, Bianchi avra' notato la limitazione della liberta' imposta dal comando di Dio. Macche', a questo punto il nostro predicatore si diffonde nella critica di quegli uomini ingrati che non hanno fiducia in Dio, ma pretendono di accumulare piu' di quanto e' loro necessario per un solo giorno! Potreste pensare che quello che mi irrita e' l'ipocrisia. In effetti, in un momento in cui i lavori sono piu' precari che mai, sentirsi rimproverare perche' si pensa di mettere via soldi per madare a scuola i figli fra qualche anno o per poter andare in pensione prima dei 90 anni da uno che fa il monaco (e quindi campa con i soldi donatigli da chi lavora davvero) e' un po' dura da mandare giu'.
Tuttavia, il mio problema deriva anche da una ragione piu' legata al metodo ermeneutico di Bianchi. Il nostro monaco non si accorge minimamente del fatto che l'autore di Esodo ha costruito la sua immagine di Dio come esattamente speculare a quella del Faraone: la liberta' non conta un fico secco, ma, coerentemente con il pensiero politico del tempo, abbiamo il passaggio da una forma di autoritarismo ad un'altra, da una concessione di carne nei modi e nei tempi voluti dal Faraone a una concessione di manna nei modi e nei tempi voluti da Dio. Bianchi non solo non vede la cosa, ma sposa in pieno questa concezione autoritaria di Dio con il suo commento che prima attacca come ignavi soggiogati quelli che obbediscono al Faraone e poi, virando a 180 gradi, accusa di mancanza di rispetto coloro che disubbidiscono a Dio. E poi parliamo di un'idea piu' democratica ed egualitaria della Chiesa?
14 commenti:
Pur concordando su molti punti, mi sembra che il passo abbia soprattutto un valore simbolico e punti a stigmatizzare un'avidità mentale anziché la logicità del risparmio, insegnamento più che legittimo in un'ottica spirituale. Per esempio, in un testo buddhista molto noto, il Dhammapada, si descrivono i 'liberati' come coloro che 'non accumulano'. Con tutte le cautele del caso, si potrebbe suggerire che l'autore dell'Esodo si servisse di una metafora 'autoritaria' per limare una presunta inclinazione all'avidità.
Con stima,
Giuliano
«Pur concordando su molti punti, mi sembra che il passo abbia soprattutto un valore simbolico e punti a stigmatizzare un'avidità mentale anziché la logicità del risparmio, insegnamento più che legittimo in un'ottica spirituale»
Mi sfugge il ragionamento che permette di comprendere come questo brano abbia un valore soprattutto simbolico. Non mi risultano, infatti, caratteristiche che permettano di distinguerlo dal resto della narrazione.
Per quanto ne posso capire, un ordine divino contenuto all’interno di una narrazione biblica assume un po’ per definizione una valenza pedagogica. In questa chiave, non mi sembra azzardato leggervi una simbologia, sebbene non necessariamente come unica ipotesi esegetica. Mi si perdoni l’ignoranza, ma non sono a conoscenza della necessità di una ‘frattura’ nella narrazione perché appaiano accezioni simboliche.
Giuliano
Mah, io non so quanto si possano dare giudizi allo Jahveh dell'Antico Testamnto con gli occhi delle scienze economiche e politiche dei giorni nostri. Tutto sommato la proibizione di tenere da parte la manna per altri giorni può essere comprensibile perchè compiere questa azione quando si sapeva che Dio donava la manna a tutti ogni giorno era come violare un principio di uguaglianza. Il paragone con i precari non sembra reggere perchè i precari d'oggi non hanno la "manna" assicurata tutti i giorni.
In quanto all'idea autoritaria di Dio, bisogna sempre stare attenti in storia a dare giudizi di valore. "Non ridere nè piangere ma capire" diceva Spinoza degli studi di società di epoche e ambienti diversi.
Tralasciando la discussione su quanto le democrazie di oggi siano perfette (anche Hitler è stato eletto democraticamente, mi risulta...) ricordando che alle "democrazie" greche non partecipavano schiavi e donne, si potrebbe ritenere che a volte le concessioni di cibo e altre attenzioni da parte dell'autorità al popolo potrebbero essere decise in modo autoritario anche per il semplice fatto che il popolo potrebbe non avere il tempo e i mezzi per comprendere le modalità con cui il sovrano decide. E' forse un po' come quando si proibisce ai bambini piccoli di mangiare troppa cioccolata, è chiaro che non è ancora materialmente impossibile spiegargli nei dettagli e con parole tecniche gli effetti sui denti e sulla salute del bambino di una alimentazione sbagliata. Naturalmente, man mano che si cresce aumentano consapevolezza, conoscenza e quindi responsabilità e libertà.
Ciao.
Michele
@Michele:
l'Antico Testamento no, certo, ma Enzo Bianchi parla oggi agli uomini di oggi, e concordo con Bazzana che la sua predica non sembra molto efficace per un precario. Per usare la sua analogia, è un po' come negare la cioccolata ai bambini di un villaggio del Bihar. Oltretutto, e lo dico senza intenti polemici, il monito a non accumulare beni non sembra il fondamento dello Stato del Vaticano...
Giuliano
A Giuliano: comprendo il tuo pensiero ma, almeno riguardo a Enzo Bianchi, mi risultava che i monaci facessero voto di povertà e che per i loro pranzi bastassero i prodotti dei campi dei monasteri...
Almeno questo è quello che credevo, anche se ho l'impressione che al giorno d'oggi anche un computer personale portatile per la chiesa è considerato un mezzo indispensabile per l'annuncio del vangelo, tanto poi c'è l' otto per mille, la cui equità del suo meccanismo è ben nota, qualcosa mi dice che per chi ha un lavoro legato alla chiesa cattolica la precari è piuttosto rara...
Ciao.
Michele
Per intenderci meglio: ascoltando la trasmissione mi è sembrato che Enzo Bianchi abbia offerto un'esegesi spirituale come da ruolo che gli compete, leggendo nel passo in questione un antidoto all'avidità anziché un'apologia dell'autoritarismo.
D'altro canto, il monito che scaturisce dalla sua interpretazione è in aperta contraddizione con gli atteggiamenti assunti dalla chiesa e può risultare offensiva a chi, dovendo mettere insieme il pranzo con la cena, si sente accusato di avidità.
Buon fine settimana a tutti,
Giuliano
Mi sono sempre domandato come si possa "interpretare" un testo di fede. Un libro sacro, a differenza di un romanzo, non dovrebbe presupporre alcuna libertà interpretativa: se vi è scritto "carne" non si dovrebbe, né potrebbe, leggervi "pesce" per "adattarlo al contesto contemporaneo".
Se non ricordo male a Messa si dice qualcosa del tipo che "la Parola rimane nei secoli". Forse i caratteri della Parola, non il loro senso. La lettura e l'interpretazione dei singoli passi hanno visto attribuzioni di significato non solo diverse nel corso dei secoli ma addirittura, alle volte, antitetiche. E queste letture non venivano da eretici o bestemmiatori incalliti ma da pii ecclesiastici.
Se dunque la Parola può cambiare agli occhi degli uomini rivelando significati e sensi differenti a seconda di chi vi si accosta e del contesto nel quale è inserito non si potrà mai attribuirle - a meno di non abbandonare ogni scampolo di razionalità e adattarsi a credere quel che ci viene detto di credere sempre e comunque (e qui non si tratta di democrazia ma nemmeno di autoritarismo bensì di totalitarismo, ovvero il peggio del peggio) - alcun valore sacrale perché si presuppone che il sacro non muti e fissi una volta per tutte le sue regole e i suoi canoni. Perché mai il "non uccidere" dovrebbe valere sempre e il "non mangiare crostacei" no?
Una fede o è autocostruita e quindi consente di prendere un pezzetto di Scrittura e rigettarne un altro oppure, qualora ci si voglia uniformare ad una fede comunitaria, non potrà che prevedere l'adozione in toto delle credenze pena l'espulsione dal club.
Io apprezzo Bianchi per i suoi sforzi ecumenici perché li vedo genuinamente indirizzati al raggiungimento di una armonia e di una pace tra le genti ma d'altra parte non posso non sottolineare come questo modus operandi intacchi alla base il concetto stesso di religione trasformando la fede in una rivelazione divina chiusa in un Canone di Scritture in una libera interpretazione di norme etiche e concetti teologici aperti ad ogni nuova moda o elucubrazione. Cosa legittima, per carità. Ma completamente altra dal cattolicesimo come confessione costruita nel corso dei secoli.
Caro Giovanni,
scusa se intervengo sul prcedente post, quello sulla datazione di Luca, ma non ho avuto modo di farlo prima.
Da ignorante in materia vorrei chiederti quali sono le fonti utilizzate da Luca per gli Atti,o almeno quali sono le ipotesi della ricerca storica in materia.
In particolare mi inteessa sapere il tuo parere sul rapporto Luca/Paolo:
Luca fa di Paolo uno di principali protagonisti del suo libro, eppure tralascia completamente alcune tematiche proprie dell'insegnamento paolino (ad esempio il rapporo tra legge e grazia trattato in Romani, ma anche la disciplina delle comunità esposta in Corinzi e così via). Inoltre Luca armonizza a posteriori un realtà, quella delle comunità degli anni 50/60, che dalle lettere paoline traspare tutt'altro che armoniosa.
In che misura e in che modo, in concluione, Luca si serve dela figura di Paolo? E quale ruolo, secondo te, tale figura assolve nell'economia complessiva dell'opera lucana?
Saluti cordialissimi
Etienne
Cari amici,
grazie ancora una volta per la interessante discussione e scusatemi se rispondo tanto in ritardo.
Vorrei solo puntualizzare su un paio di questioni per non rischiare di essere frainteso.
Anzitutto, sulla questione storica sollevata da Michele: sarebbe interessante discutere sulle vedute politiche del tempo in cui questo testo biblico fu composto, ma non era questo che volevo fare nel post e non era quello che aveva in mente Bianchi che infatti stava predicando e non facendo ricerca storica (anche se la distinzione tra le due cose puo' non essere del tutto chiara per lui).
Sull'ipocrisia, sono disposto ad ammettere che magari la parola possa essere stata da me scelta male. Vorrei chiarire che non penso minimamente che che Bianchi possa non essere piu' che rigoroso nel suo stile di vita e nel seguire i precetti che espone nella sua predica. Ne' mi interessa discutere della contraddizione fra i valori predicati e quelli vissuti dalle gerarchie cattoliche. Il mio punto e' che, come rilevato anche da Giuliano, proporre come modello morale questa etica monacale oggi mi pare una strategia ridicola, quando non anche controproducente.
(continua)
(continua dal commento precedente)
Tuttavia e' la questione ermeneutica quella che considero piu' importante. E' vero, come dice Tanzen, che, con il metodo allegorico, si puo' far dire ad un testo qualunque cosa, ma ci sono anche dei limiti. All'inizio del capitolo, quando si parla della pentola della carne, Bianchi parla di liberta' ed autoritarismo: non mi sembra possibile che poi si passi come niente fosse a una predica contro l'avidita', come vuole Giuliano. Questo e' tanto piu' vero in quanto i due momenti sono retoricamente legati e contrapposti dal testo stesso.
In realta', io non credo che Bianchi sia consapevole delle implicazioni della sua esegesi e questo perche' in effetti la sua immagine di Dio e' una immagine fondamentalmente autoritaria, del tutto in linea con quella del testo di Esodo. Quando si disubbidisce al Faraone si e' liberi, quando si disubbidisce a Dio si e' avidi, ma questo solo perche' Bianchi accetta come assoluta l'autorita' di questo Dio (la cosa e' anche del tutto coerente con lo stile di vita monacale e medievale scelto da Bianchi). La questione sta nel vedere se questa visione e' adatta per l'eta' contemporanea e per la nostra esigenza di dare rilievo alla responsabilita' personale nelle questioni morali.
Saluti a tutti.
Non sono in grado di notare la contraddizione insita nella chiave esegetica che avevo proposto, dal momento che non vedo perché nello stesso testo e nello stesso passo non si possa parlare di libertà e avidità. Non dico che questa sia l’interpretazione che preferisco, ma solo che non riesco a muovere appunti così precisi alla predica di Bianchi, e le argomentazioni che leggo ancora non mi convincono. Anche rispetto alla responsabilità personale, più idonea alle esigenze contemporanee, mi chiedo se questa non possa essere vista, secondo la prospettiva più diffusa nella chiesa cattolica, come una dissimulazione dell’individualismo moderno.
Credo che una delle possibili divergenze poggi su basi semantiche: per un predicatore cristiano come Bianchi – immagino – può esserci libertà dal faraone ma non da Dio, perché in un’ottica cristiana la libertà non può essere libertà da Dio, ma piuttosto libertà in Dio.
In altre parole, mi sembra che siano gli stessi contenuti del testo a non richiedere quella coerenza ermeneutica che mancherebbe alla predica di Bianchi.
Mi scuso se i miei dubbi fossero soltanto frutto di una mia ignoranza filologica, da parte mia vi è l’intento di capirci di più…
Giuliano
Caro Giuliano,
non voglio ossessionarti con questa questione, ma aggiungo solo un altro commento perche' ritengo che non siamo poi molto lontani nelle nostre posizioni.
Hai ragione quando dici che non ci sono "regole" per le quali un'interpretazione allegorica di questo tipo puo' essere giudicata giusta ed un'altra sbagliata. Hai ragione anche quando dici che quello che io chiamo "responsabilita' personale" Bianchi lo chiamerebbe "individualismo moderno".
Mi va benissimo e questo e' del tutto legittimo: l'unico appunto e' che trovo singolare che poi lo stesso Bianchi venga spacciato come esegeta della liberazione e della democrazia. Per conto mio, quello che fa non e' altro che ripetere modelli autoritari e anti-democratici.
Ti saluto e mi taccio.
Caro Etienne,
grazie dell'ottima domanda, che richiederebbe molto piu' spazio e qualcuno piu' esperto di me di studi paolini.
In breve, credo che, se accettiamo la datazione dell'opera lucana al secondo secolo, allora diventa quasi naturale intendere il ritratto che Luca fa di Paolo come un altro esempio della interessante "recezione" di Paolo nel secondo secolo. E' un tema assai studiato di questi tempi ed e' facile vedere che Paolo viene "strattonato" un po' in tutte le direzioni: da chi lo vuole far diventare un difensore dell'ordine imperiale e patriarcale (l'autore delle lettere pastorali) a chi ne vuol fare un martire e un riluttante sostenitore del femminismo (l'autore degli Atti di Paolo). Luca offre un altro ritratto, consono con alcuni degli obiettivi fondamentali della sua opera: Paolo diventa l'apologeta del cristianesimo, suddito obbediente dell'impero, uomo della conciliazione contro gli Ebrei attaccabrighe (tutto l'opposto di quello che risulta dall'epistolario), imitatore di Cristo, filosofo cristiano e cosi' via.
Un saluto.
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