domenica 31 ottobre 2010

Gesu' e l'odio della famiglia


Padre Scalese e' davvero un lettore attento della nuova traduzione CEI e, in un suo nuovo post sull'argomento, ha notato due altri difetti degni di nota. Penso che sia il caso di dire due parole sul secondo esempio.
Lc 14:26 e' un versetto notoriamente problematico: la nuova CEI ha deciso di mutare la versione precedente e di rendere il comando di Gesu' come "Se uno viene a me e non mi ama piu' di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non puo' essere un mio discepolo". La vecchia CEI (come tutte le versioni, italiane e non, che io conosco) cominciava il versetto con "Se uno viene a me e non odia ...". La nuova traduzione (se di traduzione si puo' parlare, a questo punto) armonizza il versetto con il suo parallelo, Mt 10:37, che ha una versione piu' "edulcorata" (come dice giustamente padre Scalese). L'armonizzazione in se' e' gia' un problema, perche' facendo questo si manda all'aria tutta la retorica sul canone che avrebbe incluso i quattro Vangeli rispettandone le differenze, senza cercare di creare un "testo unico" di riferimento obbligato.
Tuttavia, la scelta appare anche piu' strana e infelice se si guarda anche solo al contesto di Luca: il verbo greco "miseo" viene infatti reso sempre con "odiare" tutte le altre volte che appare (in Lc 6:22.27 e, soprattutto, in Lc 16:13, in cui l'idea di fondo e' molto simile a quella del versetto che stiamo esaminando). Non c'e' dubbio che l'intenzione che ha guidato il traduttore si quella di "nascondere" l'odio in questo passo. Personalmente, non credo che si possa, come auspica Scalese, tenere separati traduttore e esegeta (in fondo, ogni traduzione e' per forza anche un'esegesi): quindi, mi pare utile cercare di capire le motivazioni che stanno dietro una scelta tanto azzardata.
La tradizione evengelica non mette in bocca a Gesu' niente di positivo sulla famiglia e sui rapporti famigliari: lo scontro con la madre ed i fratelli e' netto, di matrimonio non se ne parla nemmeno, i discepoli sono chiamati proprio a lasciare le loro famiglie... Per i canoni del mondo antico e mediterraneo in particolare il Gesu' "senza padre" che si aggira per la Galilea e' senza dubbio "queer" in un modo disturbante. Questo atteggiamento e' continuato dalle comunita' cristiane, quando si parla di martirio, di verginita' e praticamente di tutti i comportamenti piu' caratteristici.
Ovviamente, quando la nuova religione diviene il fondamento della societa' imperiale, tutto cambia e mi pare che il trend sia diventato ancora piu' forte oggi, dal momento che la famiglia nucleare eterosessuale e' diventata una specie di dogma. In passato ai commentatori e' bastato togliere di mezzo l'urtante "odiare" (di solito ricorrendo alla teoria per cui, nelle lingue semitiche, "odiare" vorrebbe dire "non amare"), ma la nuova CEI dimostra che la pressione sta evidentemente diventando insostenibile.

11 commenti:

Anonimo ha detto...

A prescindere dal giudizio della positività o meno per i giovani d'oggi del passare un periodo di "conflitto generazionale" con i genitori allo scopo di una buona crescita, non direi che in fondo il verbo "miseo" significhi veramente un odio così radicale, dato che in quel brano Gesù afferma che bisogna odiare perfino "la propria stessa vita" e dubito che con queste parole incitasse al suicidio...

P.S.: ma "queer" in inglese non è un termine che indica una persona che nell'orientamento sessuale e nelle sue opinioni in materia di morale sessuale e di ruoli di genere si distanza dalle convinzioni dell'ambiente sociale in cui vive? E' interessante questa visione di Gesù, magari mi puoi indicare qualche autore che più si è soffermato su questa chiave di lettura.

Ciao.
Michele.

JohannesWeiss ha detto...

Questa traduzione braghettoniana ha il non trascurabile pregio di rivoltare il detto nel suo opposto.

Gesù intendeva porre la questione di un conflitto di fedeltà tra discepolato e oikos (essendo molte households comprensibilmente restie ad abbandonare il perseguimento dei propri interessi per accogliere le esigenze radicali di rinnovamento sociale da lui poste), per cui aut-aut: "o sei fedele a me, o alla tua casa".

E ora? Un'abile pennellata... et voilà: Gesù l'araldo del compromesso, profeta della "cristianità stabilita", maestro dalla sequela universalmente compatibile (a patto di riservargli un poco d'amore in più).

A quando un bel: "Non potete servire con il medesimo zelo a Dio e a mammona!" ?

Anonimo ha detto...

...per accogliere le esigenze radicali di rinnovamento sociale da lui poste...

sarebbe quindi un'estremista di quell'epoca?

Anonimo ha detto...

...però l'immagine di un messia andreottiano è talmente esilarante che meriterebbe quasi un premio. Sono d'accordo con Johannes Weiss (che bello pseudo!).

Splendido post. Brevissima nota: l'affermazione esplicita del conflitto contro l'oikos è una chiara dichiarazione politica ("onora il padre e la madre"...): distruggere la famiglia significava distruggere anche il potere politico, visto che polis e oikos non sono così distinguibili nel mondo vetero-e neotestamentario come lo erano in Grecia.

Ymmanuel

JohannesWeiss ha detto...

@Anonimo
Dipende da cosa s'intende con estremista.

@Ymmanuel
Messia andreottiano!
:DDD

Io però non mi spingerei a parlare di un Gesù anti-famiglia. Non credo cioè che in Gesù il conflitto con l'oikos nascesse da una ostilità di principio, bensì dalla constatazione di una resistenza di tale struttura nei confronti del rinnovamento da lui proposto. In effetti la missione del suo movimento sembra aver avuto come punto di riferimento proprio la casa, come attestano sia le istruzioni missionarie (cfr. Mc 6,10 ; Lc 10,5-8/Mt 10,12-13) sia le frequenti ambientazioni domestiche degli episodi gesuani.
Probabilmente Gesù cercava di riformare l'oikos slegandolo in certa misura dal sistema patrono-clientelare in cui si trovava inserito (cfr. Lc 14,7-14), di modo che - come scrivono Destro e Pesce - "la casa non sia più il luogo di sanzione della disparità sociale, dell'alleanza tra potenti e ricchi e della dipendenza dei poveri, ma divenga al contrario il luogo dell'inclusione degli esclusi e della partecipazione comune al mondo rinnovato" (L'uomo Gesù, p. 156).
Sono però d'accordo che questa riforma utopica dell'oikos tentata da Gesù era politicamente destabilizzante, proprio in ragione della stretta connessione oikos-villaggio-polis.

J.W.

Anonimo ha detto...

@JohannesWeiss

Sono d'accordo: si tratta di una riforma dell'oikos: quello che volevo dire è che una riforma dell'oikos coincideva allora con una rivoluzione politica, proprio perché non si dà quell'opposizione della polis alla famiglia che era rinvenibile (in parte) nel mondo greco-classico (anche se non più in quello ellenistico).

Non so se si possa parlare di abbandono del sistema patrono-clientelare (tutto il linguaggio della grazia paolino, ad esempio ne è intriso, cfr. p. e. James R. Harrison, Paul's Language of Grace in its Graeco-Roman Context).

Quanto allo spirito antifamilista, certo è contrario all'andreottismo del messia evangelico (I'm joking), ma è tale: credo che Giovanni abbia assolutamente ragione. Di fatto la prima comunità messianica (la futura chiesa) è una comunità in cui la famiglia (nei termini di un'unione patrimoniale e di sangue tra uomo e donna) è letteralmente impossibile. Certo, poi persino un monastero si pensa come una famiglia. Ma a me sembra (come Giovanni ha suggerito a ragione) che si tratti anche qui di un uso piuttosto polemico...
Y.

Anonimo ha detto...

Per Ymmanuel:
se, vivente Gesù, per la prima comunità di discepoli possiamo ipotizzare una difficoltà nel restare legati all'entità della household, le cose dovettero cambiare ben presto, almeno per alcuni di loro. Certo, ci furono comunità in cui il valore della famiglia venne decisamente relativizzato: emblematico è il caso di Paolo (cilicio e non palestinese), le cui lettere ben testimoniano la scarsa importanza che diede a ogni forma di comunità (oikia, polis, polìteuma, etc) data l'imminenza del ritorno del Cristo.
Ci sono però senz'altro pure esempi di comunità che si strutturarono nel segno d'una maggior continuità con le usanze ebraiche. In quella di Gerusalemme pare siano sopravvissuti sistemi di inclusione-esclusione non dissimili dai tradizionali meccanismi parentelari mediante cui avveniva il reclutamento dei sacerdoti (leviti e sommi sacerdoti): non a caso al vertice di quel gruppo si stabilirono il fratello del Signore ed i suoi congiunti. La forza di questo "sistema" potrebbe esser testimoniata dal fatto che proprio in tale ambiente fiorirono quelle particolari tradizioni, accolte in parte in scritti canonici (Lc) e apocrifi (Giacomo), sull'infanzia di Gesù e sulla vita e morte di Maria (personaggio altrove completamente trascurato).
Dal momento che la figura del Gesù storico è inseparabile dalle tradizioni comunitarie che la veicolarono, dobbiamo forse tener conto del fatto che, nonostante il supposto odio di Gesù per la famiglia, alcuni importanti gruppi di discepoli permasero nell'alveo delle costumanze e delle istituzioni palestinesi, famiglia compresa.
Etienne

Giovanni Bazzana ha detto...

Cari amici,
scusate la lunga assenza, ma ho avuto una settimana piuttosto frenetica. Comunque, grazie per l'interessante discussione cui aggiungo alcune postille.
Anzitutto, una risposta la post scriptum di Michele. Si', direi che la definizione di queer e' esatta: i queer studies sono nati da una costola degli studi di genere, quando si e' riconosciuto che il genere (e forse anche il sesso) e' una costruzione sociale, imposta attraverso socializzazione ed educazione agli individui. Ovviamente, e' breve il passo da qui a riconoscere che non si e' queer solo per motivi sessuali, ma anche perche' non ci si riconosce in altre distinzioni ugualmente arbitrarie (come quelle etniche, di classe, eccetera).
Si puo' leggere Gesu' come un personaggio queer in questo senso? Proposte interessanti, in questa direzione, le puoi trovare nel libro la cui copertina e' associata a questo post e soprattutto nel lavoro di Halvor Moxnes (in particolare, Putting Jesus in His Place. A Radical Vision of Household and Kingdom).
(continua)

Giovanni Bazzana ha detto...

(continua dal commento precedente)
Nella discussione tra Ymmanuel e JW (grazie a entrambi per i divertenti riferimenti!) credo di stare piu' dalla parte del primo. Non mi sembra possibile disgiungere l'organizzazione famigliare dal resto della struttura sociale e politica, ne' oggi (mi pare non sia il caso di fare esemplificazioni) ne' duemila anni fa.
Non credo di concordare nemmeno con Destro e Pesce: non vedo come si possa distaccare l'oikos dalla rete dei rapporti di patronato, visto che il primo e' il supporto essenziale dei secondi. Se Gesu' ne proclamava un superamento utopico, allora la critica doveva essere globale. Se invece quello di cui stiamo parlando e' semplicemente il fatto che nella comunita' si usava, per esempio, il linguaggio della "fictive kinship", allora sappiamo che tale costume era diffuso anche presso altri gruppi ed era ben lungi dal costituire una critica dell'ordinamento socio-politico (anzi, puo' darsi ne fosse anche una riconferma).
Si potrebbe aprire qui una discussione molto interessante perche' va notato che il linguaggio stesso ha una sua specifica carica ideologica che non puo' essere sottovalutata, ma temo che andrei io stesso off topic.
(continua)

Giovanni Bazzana ha detto...

(continua dal commento precedente)
Un'ultima osservazione sul commento di Etienne, che ringrazio, come tutti, dell'attenzione.
Io non mi sento di parlare con molta certezza del Gesu' storico e quindi accetto volentieri la tua correzione, ma con alcune precisazioni.
Anzitutto, va detto che i "tradizionali meccanismi parentali" di cui parli non sono affatto specifici di Israele, ma sono comuni a tutto il mondo mediterraneo (non a caso, nello stesso periodo, il potere imperiale si trasmetteva in famiglia). Non c'e' motivo di riprendere una problematica distinzione fra "giudaismo" e "ellenismo": senza dubbio una fetta dei seguaci di Gesu' si adeguarono alle strutture sociali, mentre altri rimasero irrimediabilmente queer (come dimostra una lettura degli atti apocrifi o di alcuni lavori di Peter Brown).
L'ambiguita' non mi sorprende e mi spingerei senza problemi fino a dire che l'ambiguita' c'era fin dall'inizio (se ha senso parlare di inizio).
Saluti a tutti.

JohannesWeiss ha detto...

Sono d’accordo che non sarebbe stato praticamente possibile per Gesù slegare in toto i nuclei domestici dal sistema del patronato (peraltro l'immagine dello "slegare" è mia, e può darsi che non rappresenti correttamente il DestroPesce-pensiero). Per questo avevo precisato: “in certa misura”. Quello che mi sembra si possa dire è che egli invitasse gli oikoi ad assumere atteggiamenti in controtendenza rispetto a quelli che sarebbe logico aspettarsi nell’ambito delle relazioni patrono-clientelari: invitare ai banchetti coloro da cui non ci si può aspettare alcun beneficio in ritorno, e, se invitati, scegliere gli ultimi posti. Questo forse non tanto con il fine di opporsi al sistema patronale in sé (come pensa Crossan), quanto piuttosto (secondo la lettura di Destro-Pesce, che trovo convincente) di reintegrare socialmente coloro che si trovavano esclusi dai suoi benefici.

Penso in ogni caso che un ethos radicalmente anti-familiare da parte di Gesù sia poco plausibile non solo in ragione del fatto che la sua missione si dirige ad oikoi e presuppone l'appoggio di oikoi, ma anche della sua ampiamente attestata halakhà sull'illiceità del divorzio (a meno di non pensare che attraverso tale insegnamento egli intendesse precisamente dissuadere dal contrarre nozze, in quanto, come si preoccupa Mt 19,10, "Se la situazione dell'uomo con la donna è così, non conviene sposarsi"!!!).

J.W.