mercoledì 15 settembre 2010

La pecora smarrita


Domenica scorsa la lettura evangelica per la Messa era la famosa parabola della pecora smarrita nella sua versione lucana (Lc 15:4-7). E' abbastanza normale che il predicatore che si accosta a questa parabola sottolinei il carattere "assurdo" del pastore che abbandona le 99 pecore per cercare la sola che si e' perduta. Cosi' e' accaduto anche domenica scorsa, senza dubbio anche perche' il contesto in cui Luca ha inserito il raccontino tende in questa direzione (mentre Matteo 18:12-14 ne ha fatto tutto un altro uso).
Mentre riflettevo su questa scelta interpretativa (e guardavo mio figlio che cercava di infilarsi sotto un inginocchiatoio), mi e' venuto in mente che la settimana scorsa avevo ricevuto gli atti di un convegno a cui avevo partecipato l'anno scorso e in cui John Kloppenborg aveva analizzato le figure dei pastori nei Vangeli. Molti papiri documentari danno informazioni sulla condizione socio-economica dei pastori nei primi secoli della nostra era e Kloppenborg faceva notare che, in base a questi dati, il comportamento del pastore della parabola e' tutt'altro che paradossale. In genere, i pastori di cui abbiamo notizia non sono mai proprietari dei greggi (anche molto piu' grandi di quello della parabola) che sono loro affidati: quasi sempre essi sono lavoranti pagati a giornata e con salari da fame. Il valore di una pecora e' invece assai elevato: spesso puo' essere uguale a mesi di paga di un pastore. Su questa base si capisce come mai il pastore cerchi disperatamente la pecora, soprattutto per evitare di doverne rifondere il valore al suo datore di lavoro.
Spesso si dice che il Vangelo di Tommaso sembra aver conservato le parabole in versioni piu' originali di quelle che troviamo nel Vangeli canonici. Anche in questo caso, il logion 107 e' un buon indiziato, ma c'e' il fatto che Tommaso aggiunge un particolare: la pecora smarrita sarebbe la "piu' grossa" del gregge. A molti commentatori questo sembra un elemento redazionale perche', se il senso del racconto e' esporre un comportamento "assurdo", allora il fatto che si vada in cerca della pecora piu' grossa rovinerebbe l'assurdita' del tutto. In realta', le osservazioni di Kloppenborg risolvono molto bene l'enigma: il pastore deve affrettarsi a cercare freneticamente la pecora proprio perche' essa e' la piu' grossa e, quindi, quella che gli costerebbe di piu' se le succedesse qualcosa.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Riflessioni interessantissime. Dal mio modesto punto di vista, perlomeno per questi aspetti concernenti le parabole, le opinioni dei moderni commentatori poco mi convincono. La parabola, per sua natura, per sua missione, deve confermare qualche verità importante sul piano allegorico. Un'assurdità sul piano della lettera, agli occhi di un uditore semplice di quel tempo, non lo avrebbe fatto. Preferibile, allora, anche alla luce delle tue riflessioni, è l'assunto esposto nel Convivio, dove Dante distingue due allegorie: quella dei poeti, il cui senso letterale è falso, ma il cui senso allegorico può essere vero; e l’allegoria 'dei teologi', in cui sono veri sia il senso letterale sia l'allegorico.
Un caro saluto, Bazzana, e grazie per queste tue interessanti pubblicazioni in rete. Lino.

Anonimo ha detto...

Il modo di parlare in parabole mi è sempre sembrato una particolarità letteraria presente quasi esclusivamente nei vangeli. Mi interesserebbe sapere se fosse un genere letterario quasi "inventato" da Gesù o se era una tradizione preesistente.

Interessante sarebbe anche indagare le motivazioni di questo genere letterario .Marco 4,10-12 e gli altri sinottici sembrano implicare una divisione tra insegnamento essoterico ed esoterico come se le parabole fossero una specie di "versione divulgativa" della sua predicazione quasi come fossero enigmi per selezionare pochi apostoli che riuscivano a comprendere più in profondità il suo messaggio facendogli poi accedere direttamente a "misteri" più complessi (mi viene in mente quando Gesù sceglie solo tre apostoli come testimoni della sua trasfigurazione). Naturalmente queste sono mie impressioni abbastanza superficiali, mi interesserebbe l'opinione di un esperto. A presto.

Michele

Giovanni Bazzana ha detto...

Caro Lino,
grazie per i complimenti. Non ho niente contro l'allegoria in se stessa e infatti mi lascia perplesso (e assai poco convinto) il "dogma" che regna presso chi studia le parabole della tradizione evangelica: fin dai tempi di Julicher e Jeremias si da' per assodato che il Gesu' storico non possa aver raccontato allegorie e, se se ne trovano nei testi evangelici, devono essere opera di redattori piu' tardi. Mah...

Giovanni Bazzana ha detto...

Caro Michele,
scusa per il ritardo di questo messaggio, ma quello che avevo postato ieri sera sembra essere andato disperso.
Comunque, sulla prima questione, devo dirti che si', le parabole evangeliche hanno dei tratti di unicita', ma non mancano paralleli anche molto vicini nella letteratura antica. Anche qui dipende abbastanza dalle propensioni del singolo studioso, ma due direzioni sono abbastanza condivise da tutti: il mashal (un genere di aneddoto sapienziale caratteristico della Bibbia ebraica) o la diatriba cinico-stoica.
Per quanto riguarda Mc 4 e le parabole come insegnamento esoterico, devo dire che questo tema, molto evidente nel secondo Vangelo, non e' molto ripreso dagli altri. Per questo motivo, la maggioranza degli studiosi tende a ritenerlo un tratto redazionale di Marco (che ha una certa passione per il "segreto") piuttosto che un dato riferibile al Gesu' storico. Se noti, in molti casi l'interpretazione allegorica che Marco attribuisce alla parabola non sembra cosi' necessaria per capire un racconto il cui senso e' gia' abbastanza evidente (per esempio, la parabola del seminatore non pare cosi' ardua da dover richiedere una spiegazione esoterica).
Grazie e a presto.