domenica 4 luglio 2010

La demografia della Galilea al tempo di Gesu'


Ho letto sull'ultimo numero del Journal of Biblical Studies, probabilmente la piu' importante rivista accademica dedicata agli studi biblici, un articolo di Jonathan Reed, professore alla University of La Verne, dal titolo "Instability in Jesus' Galilee: a Demographic Perspective" ("Instabilita' nella Galilea di Gesu': una prospettiva demografica").
Questo contributo si inserisce in un dibattito particolarmente vivo in questi ultimi anni: la Galilea sotto il governo di Erode Antipa era una regione colpita da una terribile crisi socio-economica? E, di conseguenza, il movimento gesuano puo' essere spiegato come risposta a questo disagio?
Reed e' gia' intervenuto nella discussione con lavori importanti, ma questa volta volge l'attenzione in una direzione, quella della demografia, che era finora rimasta piuttosto trascurata, anche se negli ultimi anni sono fioriti gli studi demografici sul Mediterraneo nell'antichita'. La speranza di Reed e' quella di offrire alcuni dati che possano dare piu' solidita' ad un dibattito che sembra altrimenti bloccato fra due posizioni contrapposte ed incapaci di comunicare. Reed propone, con grande precisione, modelli demografici che sono stati messi a punto studiando i dati di altre epoche e comparandoli con quel poco che si puo' sapere sulla mortalita' e sull'aspettativa di vita nell'antichita': la situazione non era molto allegra e la Galilea del tempo di Gesu' non doveva fare eccezione. Si potrebbe obiettare che, proprio nel periodo del regno di Antipa, la Galilea vive un vero e proprio boom demografico, ma anche questo elemento viene interpretato da Reed nel senso dell'instabilita': la popolazione aumenta, ma soprattutto perche' vengono abitate le zone malsane (in particolare, quelle malariche sulle coste del lago) e le due "grandi" citta' di Sefforis e Tiberiade (nelle quali, tuttavia, la densita' di popolazione aumenta l'incidenza delle malattie mortali cosi' da richiedere un continuo afflusso di nuovi abitanti dai villaggi). In sostanza, Reed dipinge un ritratto a tinte fosche in cui l'elevata mortalita' e i continui spostamenti distruggono le strutture famigliari e perturbano gli equilibri sociali tradizionali.
L'articolo propone molti spunti interessanti, ma mi limito a una sola osservazione di metodo: chiaramente Reed propende per una Galilea in crisi, ma ancora una volta a essere determinante e' il modello che viene adottato nella lettura dei dati. Mi sembra che nulla vieti di leggerli in un senso opposto (ho, per caso, appena letto un articolo di Elio Lo Cascio, grande storico dell'economia antica, che utilizza l'urbanizzazione come indicatore di crescita economica): quella che per Reed e' instabilita' avrebbe benissimo potuto essere percepita come una situazione che offriva grandi opportunita' di successo e di promozione sociale.

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