sabato 12 giugno 2010

Unita' e diversita' nelle origini cristiane


Nell'ultima settimana circa, la "blogosfera" (come si usa dire) e' stata vivacizzata da discussioni sul tema dell'unita' e della diversita' all'interno del Nuovo Testamento e nel primi gruppi di seguaci di Gesu' (esempi meritevoli di lettura qui e qui). La cosa e' stata dibattuta in modo abbastanza interessante anche all'ultimo convegno a cui ho partecipato in Danimarca e, quindi, penso che sia il caso di dire due parole in proposito anche qui. Il tema mi ha sempre solleticato anche perche' e' una classica e decisiva questione che in genere si pone alla prima lezione di Introduzione al NT, quando si deve spiegare agli studenti come mai non si cerchera' di armonizzare tutti i libri del Nuovo Testamento fra di loro (come tradizione), ma si provera' invece a mettere in risalto le differenze e i contrasti fra le loro rispettive visioni teologiche.
La domanda da porsi e' questa: quali ragioni diamo per questo mutamento di prospettiva? Ancora poche decine di anni or sono ogni biblista degno di rispetto era "tenuto" a scrivere una "Teologia del NT" in cui distillava l'essenza comune a tutti i 27 libri del canone (ovviamente, il risultato sono state tutta una serie di essenze differenti e, come nel caso del Gesu' storico, spiccatamente somiglianti al profilo intellettuale dei loro autori).
E' possibile che dal punto di vista teologico questo sia un modo di procedere che ha ancora una sua validita' (non mi pronuncio perche' non e' questo il mio campo), ma certo dal punto di vista storico ha ben poco senso. Non c'e' dubbio che vi sia un'unita' del Nuovo Testamento, ma questa dipende unicamente dal grado di risoluzione della "lente" che si utilizza per studiare il fenomeno: se allargo il campo, non c'e' dubbio che trovero' somiglianze anche fra tutti gli scritti composti nell'area mediterranea nel primo secolo e, se sposto un poco i limiti, non c'e' dubbio che trovero' somiglianze molto forti anche fra i testi canonici e quelli apocrifi (si pensi, per esempio, alle forti analogie fra il Vangelo di Giovanni e i cosiddetti scritti "gnostici" di Nag Hammadi).
Dunque ci sono due ragioni per privilegiare la diversita' rispetto all'omogeneita'. Anzitutto, e' metodologicamente piu' corretto analizzare ogni documento nella sua specificita' prima di cercare i collegamenti con altri. Piu' importante ancora e' una motivazione etica: per secoli si e' voluto pensare che tutti i libri del canone esprimessero una sola prospettiva teologica. Negli ultimi decenni ci si e' resi conto che il "pensiero unico" (religioso o laico, fa lo stesso) produce piu' danni che vantaggi. Non si puo' dubitare che sia venuto il momento di aprire il campo anche a "racconti" alternativi.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Ciao,
a proposito di diversità nelle origini cristiane: si può dire che c'erano alcuni seguaci (marginali*) di Gesù che fin da principio non davano rilevanza alla risurrezione di Cristo (o la negavano proprio*)? Sto pensando in particolar modo a testi come "Q" o il "Vangelo di Tommaso" e alle rispettive comunità cristiane che avevano tali testi come scritti base (e non tanto allo gnosticismo e docetismo).
Tu che idea ti sei fatto al riguardo?
Si può parlare di proto-cristiani "senza risurrezione"?

Ciao, Elijah.

* Bisogna comunque dire che la convinzione che Gesù fosse risorto dopo la sua crocifissione era ampiamente e sicuramente diffusa tra i primi seguaci di Gesù, visto che sia i suoi discepoli più stretti (Pietro e i 12), sia alcuni membri della famiglia di Gesù un tempo scettici (Giacomo il fratello carnale di Gesù), come anche alcuni persecutori dei primi seguaci di Gesù (Paolo che da persecutore è diventato un seguace di Cristo) avevano visto Gesù risorto (cfr. 1Corinzi 15). Le differenze - tra i primi gruppi di seguaci di Gesù - stavano probabilmente più nel significato e l'interpretazione di tale evento: espiazione peccati dell'umanità? - che sull'evento in sé, cioè se Gesù fosse risorto o meno.
D'altra parte non si può nemmeno negare che fin da principio alcuni facevano fatica a crederci (basti pensare all'esempio di Tommaso - al di là se quanto riportato in Giovanni cap. 20 è storico o meno), ritenendo la cosa incredibile.

Anonimo ha detto...

Ciao,
sono un giovane dottore in storia medievale ma mi interesso anche del cristianesimo delle origini. Anche se non è questa forse la sede più adatta vorrei chiedere al prof. Bazzana di indicarmi una esegesi del vangelo di Giovanni, realizzata secondo il metodo storico e senza preconcetti teologici, che egli reputa di buon livello.
Identica richiesta le rivolgo riguardo le lettere autentiche paoline.
Le chiedo infine come valuta, all luce delle più recenti acquisizioni, le classiche opere di Schnackenburg e Brown sul IV vangelo.
Saluti

Giovanni Bazzana ha detto...

Caro Elijah,
scusa per il ritardo della mia risposta.
Se tu escludi i gruppi "gnostici" o "doceti" (immagino che tu intenda con questo coloro che credevano nella resurezione di Gesu', ma come qualcosa di spirituale e non-materiale), sono abbastanza d'accordo con te sul fatto che non esistano molte informazioni su gruppi di proto-cristiani che non credevano nella resurrezione. Per esempio, sembra che Paolo nella 1 Cor dica questo dei suoi avversari, ma personalmente mi sento di concordare con quelli che interpretano il capitolo 15 della lettera in modo diverso.
Rimane, credo, solo la questione di Q e ammetto che mi sento abbastanza convinto da quelli che leggono Q come un testo che, nella sua struttura, non necessita di una resurrezione di Gesu'. Tuttavia, si tratta pur sempre di un argumentum e silentio e per di piu' costruito su di una fonte ricostruita, quindi non mi sentirei di dare a questa ipotesi il peso che alcuni le hanno dato negli anni passati, particolarmente in mancanza di altre fonti.
Grazie e ciao.

Giovanni Bazzana ha detto...

Caro anonimo # 2,
mi devo scusare per essermi perso al tua richiesta, ma gli ultimi giorni sono stati un po' convulsi e solo ora sto cercando di sistemare tutto.
Certo, non chiedi poco: mi concentrero' solo sulla questione di Giovanni.
Una premessa: non mi pare che parlare di "preconcetti teologici" sia appropriato. In genere i commentari sono fatti con in mente soprattutto questioni teologiche perche' si tratta di un genere letterario destinato soprattutto ai lettori che hanno quegli interessi. Poi ci sono commentatori che usano un metodo piu' storico di altri, ma non conosco commentari (se ti interessa proprio questo genere letterario) che non considerino i problemi teologici con particolare attenzione.
Su Giovanni ho appena organizzato un corso e devo ammettere che mi sono trovato a dire agli studenti che i punti di riferimento rimangono ancora i lavori di Brown e Schnackenburg, benche' siano effettivamente datati. C'e' un nuovo commento molto ricco di Craig Keener, ma al di la' della massa di paralleli che prende in considerazione il suo schema storico di riferimento mi sembra assai carente. Dicevo che non sono del tutto convinto nemmeno di Brown e Schnackenburg perche' trovo che l'intera ricostruzione della storia della comunita' giovannea su cui entrambi i commenti si basano sia oggi del tutto insostenibile. Un amico mi diceva alcuni giorni fa che queste ricostruzioni della storia di una comunita' partendo da piccoli dettagli di un testo su cui sappiamo quasi niente gli sembrano sempre piu' "historical fiction" e non mi sento di dargli torto. In Italia, in effetti, c'e' un altro lavoro (ormai vecchio di qualche anno) che in effetti mi sentirei di raccomandare: si tratta del commento di Rinaldo Fabris pubblicato da Borla. E' molto ricco di informazioni (in particolare sulla storia dell'esegesi di Giovanni, che non si trova quasi mai in altri lavori) e le analisi letterarie delle pericopi sono molto ben fatte.
Telegraficamente su Paolo ti do solo due titoli che io ho trovato utili: il commento di Schrage alla prima Corinzi perche' contiene tutto quello che si puo' volere e quello di Robert Jewett su Romani perche' e' ricco e ha un taglio molto interessante.
Scusami ancora per il ritardo e ciao.