mercoledì 5 maggio 2010

Il senso della morte di Isacco



Ad un recente post dedicato alla storia del sacrificio di Isacco nella Genesi, un lettore ha commentato osservando che da parte di un cristiano l'episodio della Genesi viene quasi automaticamente interpretato come un'allegoria di Dio Padre che sacrifica suo Figlio Gesu' per il bene dell'umanita'. Non voglio discutere quanto questa lettura sia predominante (credo che sia vero, comunque, perche' questa esegesi e' stata ripetuta e riproposta in tutti i modi per secoli), ma vorrei invece riflettere brevemente sul fatto che si da' anche la possibilita' di letture alternative (e sempre cristiane) di questo testo della Bibbia Ebraica. In realta', si tratta di una conferma di come la Bibbia sia un testo dotato di moltissimi significati e di come sia interessante per lo storico indagare come le condizioni esterne abbiano influenzato l'affermarsi ora di questa ora di quella interpretazione.
Vorrei limitarmi a dire due parole sul modo in cui il cristianesimo antico ha rappresentato la scena di Genesi 22. Se guardiamo a tutte le raffigurazioni che precedeno il quarto secolo, vediamo che della storia di Isacco viene messo in risalto soprattutto un aspetto: l'intervento divino che sottrae il ragazzo alla morte sostituendolo con l'ariete. Cio' e' confermato anche dagli altri due soggetti che piu' spesso si trovano insieme ad Isacco: Daniele salvato dalla fossa dei leoni e Giona salvato dal pesce (questo e' il tema fra tutti piu' popolare nell'arte paleocristiana). Non sorprende che queste rappresentazioni appaiano spesso su sarcofaghi, in quanto esse invitano ad aver fiducia nell'aiuto divino anche in situazioni di estremo pericolo (e' inutile osservare che questa lettura fa a pugni con il senso della storia, visto che e' stato Dio stesso a chiedere il sacrificio, perche' credo che questo tipo di coerenza fosse del tutto estranea agli interessi del tempo).
La situazione cambia del tutto nell'epoca successiva a Costantino: a questo punto l'interesse si sposta sul sacrificio e sull'allegoria del sacrificio di Cristo che ho menzionato sopra. Non mancano anche i toni eucaristici, come nel mosaico di Ravenna che vedete qui a fianco, e la scena di Isacco e' associata con episodi del tutto diversi: in particolare, quelli dei sacrifici di Abele e di Melchisedec. Questo mutamento si spiega molto bene sul piano storico: dopo Costantino i cristiani non sono piu' perseguitati, ma al contrario la loro religione si va sostituendo, anche nella vita civile, a quella greco-romana. Per realizzare tale sostituzione bisogna anche assorbire il ruolo che il sacrificio aveva avuto in precedenza nell'impero ed ecco che, in questo senso, il racconto di Isacco torna molto utile.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Abramo che vecchietto, finalmente,
ha un unico figlio e ne è innamorato. Dio vede che Abramo si è
affezionato a questo figlio, e gli dice: «Ti piace, gli vuoi bene:
ammazzalo, offrimelo». E conosciamo tutti la scena. Abramo lega il
figlio e quando lo sta per scannare, arriva Dio e gli dice: «Dai che
scherzavo». Io la metto così per fare comprendere l’assurdità di un

racconto del genere. Ma come, prima gli dici di ammazzare il figlio, e
poi, all’ultimo momento glielo impedisci! E le spiegazioni che vengono
date, sono spiegazioni più aberranti, più agghiaccianti, del testo
stesso: è la fede, bisogna essere pronti a sacrificare le cose più care,
Ma l’autore del testo sta dicendo qualcosa di contrario. L’autore del
testo sta dicendo: le divinità pagane vogliono i sacrifici, chiedono i
sacrifici anche umani, il nostro Dio, il Dio d’Israele no. E lo fa
giocando su due nomi. Il Dio che chiede ad Abramo di sacrificargli il
figlio, viene chiamato, nel testo del Genesi, Elohim. “Elohim mise alla
prova Abramo”. Elohim è il nome comune delle divinità, anche delle
divinità pagane.
Abramo, dovendo intraprendere questo disegno straordinario di Dio,
pensa di dovergli sacrificare l’unico figlio perché Elohim, cioè gli dei,
glielo hanno chiesto. Quando sta per scannare il figlio, colui che glielo
impedisce non è Elohim, ma scrive il testo, l’angelo di Jahvè o
“l’Angelo del Signore”.
Quando nella Bibbia leggiamo “Angelo del Signore”, non si intende mai
un angelo inviato dal Signore, ma è Dio stesso quando entra in
contatto con l’umanità che viene presentato come “Angelo del
Signore”. Il Dio che impedisce il sacrificio non è l’Elohim che glielo ha
chiesto – cosa fa, glielo chiede e poi dopo cinque minuti ci ripensa? -
ma è il Dio d’Israele.
Cosa vuol dire l’autore sacro? Mentre nei popoli circostanti e nei
popoli pagani si accettano e si richiedono i sacrifici umani, in Israele
no. Il Dio d’Israele non richiede sacrifici umani. E se non li richiede il
Dio più grande che è Jahvè, tanto meno può richiederlo una divinità
inferiore come Moloch.

Giovanni Bazzana ha detto...

Caro/a anonimo/a,
grazie di questa analisi: una bella variante della teoria documentaria, ma l'applicheresti anche a tutto il resto del Pentateuco?

Anonimo ha detto...

condivido l'analisi dell'Anonimo qui sopra, penso anch'io che "inforcati gli occhiali evangelici" nel leggere l'Antico Testamento si riesce a "vedere" il vero volto del Dio ebraico/cristiano.

a proposito di Elohim o El è interessante il post di
http://www.antoniolombatti.it/B/Blog08-08/Voci/2008/8/13_La_moglie_di_Dio.html