venerdì 7 maggio 2010

Il papiro di Setne e Siosiris


Oggi pomeriggio ho ascoltato una conferenza di Raquel Martin Hernandez, della Universita' Complutense di Madrid, dedicata ad un papiro in demotico del primo secolo della nostra era che narra alcune storie di cui sono protagonisti i due egiziani Setne e Siosiris. Uno dei racconti presenta interessanti punti di somiglianza con alcuni scritti apocalittici cristiani antichi. Setne e Siosiris sono padre e figlio, uno faraone e l'altro grande esperto di magia, e se ne vanno a fare un giro nell'aldila' per vedere come sono trattate le anime dei defunti. Dopo aver visto anime sottoposte a curiosi supplizi (per esempio, intrecciare una corda che viene immediatamente mangiata da un asino), i due giungono davanti al tribunale presieduto da Osiride. Le anime sono pesate su una bilancia che stabilisce se le loro buone azioni sono maggiori delle cattive. Chi supera la pesatura e' premiato con la vita divina, mentre le anime dei cattivi sono distrutte.
La storiella contiene un'interessante associazione di elementi egiziani e greci (per esempio, il tormento della corda e' quello di Ocno, mentre in un altro punto e' citato quello di Tantalo): giustamente, Martin Hernandez ha fatto notare che non avrebbe senso distinguere i vari "filoni" culturali, perche' questa ibridazione e' esattamente cio' che caratterizzava la cultura (in questo caso, direi "popolare") dell'Egitto greco-romano. La stessa cosa si puo' dire anche dei cristiani perche' molti dei temi di questo testo e di altri simili sono poi finiti in Apocalissi come quella, famosissima, di Paolo e di li', solo per citare l'esempio piu' eclatante, nella Divina Commedia che ne segue pari pari lo schema.
Alcuni giorni fa, su un blog cattolico, ho trovato un post in cui si sosteneva che la Cappella Sistina (e anche la Divina Commedia) sarebbe comprensibile solo attraverso il "cristianesimo". Il problema e' che la cultura di Michelangelo (cosi' come quella di Dante o, naturalmente, degli autori biblici) non si puo' ridurre al solo cristianesimo. C'e' molto di piu' e ogni tentativo di ridurre questa molteplicita' ad una sola dimensione e' una forzatura nei confronti di questi grandi geni del passato ed una operazione polemica che cerca in modo miope di stabilire un presunto "diritto" di proprieta'. Direi che e' meglio lasciare che questi capolavori parlino a chiunque ed ascoltare il maggior numero possibile di messaggi diversi che ne vengono fuori.

6 commenti:

Anonimo ha detto...

"ogni tentativo di ridurre questa molteplicita' ad una sola dimensione e' una forzatura nei confronti di questi grandi geni del passato ed una operazione polemica che cerca in modo miope di stabilire un presunto "diritto" di proprieta'"

La sola dimensione è Gesù Cristo Redentore dell'umanità.

Cordiali saluti
Andrea

francesco ha detto...

Ciao ti ho "scoperto" oggi e subito vorrei chiederti che cosa ne pensi di quanto ho letto di recente( che non c'entra con il tuo post):Che dire dell’inferno?
Il castigo eterno dell’inferno immaginato angosciosamente da tante generazioni di credenti, è diventato, soprattutto a partire dalla seconda metà del XX secolo, motivo di controversie, e non mancano teologi o santi così eminenti come Teresa di Lisieux , che hanno difeso una speranza senza limiti a cui avrebbe diritto ogni essere umano. Per andare direttamente al cuore del problema, la questione consiste nel sapere “ come un Dio buono può agire creando un uomo destinato all’inferno, producendo questo stesso inferno che non ha altra finalità che far soffrire e adoperandosi poi in un castigare che non conduce ad alcuna soluzione”
Se affermiamo seriamente che Dio è infinitamente buono e se aggiungiamo, pure seriamente, che questo Dio è il Padre migliore che possiamo immaginare,risulta coerente( o anche possibile) che tale Padre possa far sì che esista un figlio suo che poi va a mandare a un castigo così spaventoso, così senza rimedio e così senza finalità alcuna di soluzione in nessun senso?
Sappiamo che a tutto ciò si può, e si suole, rispondere dicendo che la responsabilità del castigo infernale non sta in Dio, bensì nella libertà umana. Colui che va all’inferno è perché liberamente si oppone a Dio e resiste a convertirsi dalla sua vita cattiva. Ma la verità è che, a pensarci bene, immediatamente ci si rende conto che il fatto di addossare la colpa all’uomo , per togliere la colpa a Dio , in realtà non risolve il problema. Per la semplice ragione che, con tale proposta, Dio non fa bella figura, poiché risulta enormemente incoerente che Dio abbia creato gli uomini con una libertà così condizionata e così povera che dipenda da questa disgraziata libertà un rischio così tremendo com’è la realtà di un inferno eterno.
Infine , se ci appelliamo al fatto che la libertà umana non è così disarmata di fronte alla decisione definitiva della salvezza o della condanna, poiché ci è stato rivelato che Dio s’è impegnato, per suo amore, per salvarci, allora,perché parlare della perdizione e delle sue conseguenze? Se Dio vuole, veramente salvarci tutti,perché tanto discutere sull’inferno e sui suoi tormenti? E se l’impegno di Dio per salvarci può fallire , allora tale impegno divino non è così serio né tanto sicuro come si suole dire.
Nel porre tali questioni, non possiamo dimenticare, logicamente, che nei vangeli s’afferma la minaccia di giudizio e condanna per coloro che rifiutano il messaggio di Gesù……………….
Dall’insieme degli insegnamenti del Nuovo Testamento, ciò che si deduce con certezza è che Dio ama gli esseri umani indicibilmente più di quanto qualsiasi persona possa immaginare o calcolare.
Com’è parimenti sicuro che Dio non castiga nessuno. La domanda che sempre ci rimane e rimarrà sospesa è come reagisce Dio di fronte a tanta ingiustizia e tanta offesa di alcune persone verso le altre in questo mondo. Ebbene , se siamo sinceri con noi stessi e con gli altri, l’unica cosa sensata e certa che possiamo dire , a tale riguardo, è che realmente non sappiamo , né possiamo sapere, se la “giustizia” di Dio può essere pensata secondo i nostri schemi umani di giustizia,di giudizio e di minaccia. Se Dio è Dio , è certo che agisce in modo tale che noi , che non possiamo conoscere Dio,sicuramente neanche possiamo immaginare. Dire altro, sarebbe proiettare le nostre paure, i nostri sensi di colpa e i nostri confusi desideri su ciò che in realtà ignoriamo

Giovanni Bazzana ha detto...

Caro Andrea,
grazie, ma penso che sia legittimo dire che e' la sola dimensione quando si parla di esperienza religiosa (e neanche di tutte, perche' io ad esempio non so quanto mi riconoscerei in questa formulazione).
Il discorso e' diverso se parliamo di valore culturale o di pregio artistico.

Giovanni Bazzana ha detto...

Caro Francesco,
grazie del tuo commento e scusa per il ritardo della mia risposta.
Non so nemmeno quanto questa riflessione si possa considerare una "risposta" perche' io non sono teologo di professione e soprattutto perche' la tua domanda angustia anche me, senza che mi sia stato finora possibile arrivare ad una soluzione definitva. Comunque, credo che in effetti questa sia "la" domanda che va posta alla teologia oggi.
Se vuoi il mio parere, anch'io direi che il mistero inesauribile dell'agire divino va tenuto in conto, ma c'e' almeno un'altra proposta che credo debba essere considerata. La formulo' secoli fa Origene e in seguito ha sempre spopolato fra i teologi: Origene pensava che l'inferno fosse solo una cosa temporanea, disegnato da Dio come parte di un gigantesco progetto di "educazione" per gli esseri umani e anche per tutta la creazione. Questa soluzione permette di salvare la liberta' umana (perche' al peccatto corrisponde una punizione, anche se non eterna), ma anche la onnipotenza di Dio che ha pianificato tutto come un processo che riportera' l'intera creazione "educata" (compreso anche il diavolo) a lui.

Anonimo ha detto...

"C'e' molto di piu' e ogni tentativo di ridurre questa molteplicita' ad una sola dimensione e' una forzatura nei confronti di questi grandi geni del passato".
Infatti, in relazione a Dante, sei nel giusto. Fu Alighieri stesso, nell'epistola a Cangrande, a riferire che la dimensione non va considerata unica ma triplice (più la morale). Senza simbolismo sincretico - ma questo è proprio dei poeti icastici - non c'è Commedia. Senza l'orazione del canto XXXIII del Paradiso che esalta Maria passando per Bernardo di Chiaravalle, però, l'intera Commedia non ha senso, continuità e completezza. Beatrice, come Laura, è la Musa della poesia e la donna amata, la Vergine e il Pi Greco: adoro questo commento di Raffaele Manica (docente di Lettere e Filosofia nell'Università Tor Vergata di Roma) al Canzoniere di Petrarca.
Lino

Giovanni Bazzana ha detto...

Caro Lino,
personalmente credo che tu abbia ragione quando definisci il senso della Commedia, ma ricordo anche di essermi accostato alla lettura di questo grande poema prima di tutto (in senso cronologico) attraverso le letture, non certo sensibili agli aspetti religiosi, di Sapegno e altri commentatori. Magari adesso riconosco i limiti di questi approcci, ma francamente non mi sento di definirli "sbagliati" o, come faceva il post che menzionavo sopra, di dire che questi interpreti non hanno capito nulla della Commedia perche' non erano cristiani o cattolici. Anche la lettura tutta romantica e nazionale di una Francesco Desantis andrebbe buttata? Per me la moltiplicazione delle prospettive e' solo un arricchimento e certamente testimonia della grandezza di un'opera artistica.
Grazie dell'osservazione molto stimolante.