sabato 17 aprile 2010

Karen King e la "Lettera di Pietro a Filippo"

Oggi, all'incontro regionale della SBL, ho ascoltato una relazione molto interessante di Karen King, professore della Harvard Divinity School, sulla Lettera di Pietro a Filippo. La conferenza e' stata molto densa e non mi e' possibile riportarne qui i contenuti per intero, ma vorrei riprendere alcuni temi che si legano bene a quanto ho scritto negli ultimi tempi.
La Lettera e' una testo breve preservato fra quelli che compongono la cosiddetta "biblioteca" di Nag Hammadi, ma un'altra versione copta non del tutto identica e' stata di recente ritrovata anche nel codice Tchacos, piu' famoso perche' contiene anche il Vangelo di Giuda. Piu' che un'epistola, la Lettera di Pietro a Filippo e' quello che tecnicamente si chiama un "discorso di rivelazione", un'apparizione del Gesu' risorto che comunica ai suoi discepoli alcuni segreti relativi alla loro vocazione e al motivo delle persecuzioni che devono affrontare.
La Lettera e' stata catalogata come un testo "gnostico" perche' si trova fra quelli di Nag Hammadi, ma King, che ha da tempo dimostrato in modo convincente come la categoria di "gnosticismo" sia piu' controproducente che utile, ha fatto notare come la descrizione della missione di Gesu' nel mondo sia del tutto identica, anche nella terminologia, a quella che si trova nel Vangelo di Giovanni. Gesu' si e' incarnato per "illuminare" gli esseri umani, rivelando le ragioni delle loro sofferenze e aprendo loro una strada per tornare a Dio. Anzi, in un certo senso, la Lettera e' anche piu' "ortodossa" di Giovanni, perche' i discepoli sono inviati a portare la salvezza a tutto il "mondo", mentre nel Vangelo e' piuttosto chiaro che il "mondo" e' irrimediabilmente tagliato fuori.
King si e' soffermata sui motivi che il testo da' per spiegare la sofferenza delle persecuzioni che i discepoli sono chiamati a condividere con Gesu'. In molti libri del NT e nella successiva teologia cristiana infatti questo problema viene legato a concezioni sacrificali e la morte diviene un "pagamento" che espia i peccati dell'umanita'. La Lettera, invece, riconduce la sofferenza a un'imperfezione strutturale o sistemica del mondo, causata da un errore primordiale della "madre": Gesu' e i discepoli affrontano la morte per "illuminare" l'umanita' e quindi riparare a poco a poco l'imperfezione. Siccome il problema e' strutturale, in questo testo non c'e' colpevolizzazione degli esseri umani: sicuramente, ha concluso King, si puo' capire come per i cristiani fosse quasi piu' facile autoaccusarsi che riconoscere la propria impotenza davanti alle persecuzioni, ma la concezione che si trova nella Lettera ci da' un'immagine senz'altro piu' serena di Dio e dei suoi rapporti con gli esseri umani, un'immagine di cui c'e' assoluto bisogno nel mondo contemporaneo.

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