mercoledì 2 dicembre 2009

Perche' studiare l'apocalittica?

Mi trovo all'aeroporto di Vienna e attendo un aereo che mi porti a Salisburgo, dove nei prossimi giorni partecipero' a un convegno sui papiri documentari e lo studio del Nuovo Testamento. Siccome soffro terribilmente per il cambiamento di fuso orario e non so come ingannare l'attesa, scrivo qui alcune brevi riflessioni che sono andato elaborando a seguito dell'ultima lezione del mio corso apocalittico, tenuta lunedi': in realta', devo confessare, le considerazioni non derivano tanto dal corso e dagli studenti, ma dalla predica che ho sentito a messa domenica scorsa.
Come forse sapranno i lettori di questo blog, domenica era la prima del tempo di Avvento e in questo caso il rito cattolico propone una lettura di stampo decisamente apocalittico, tratta dal famigerato capitolo 13 del Vangelo di Marco (ripreso da Matteo 24 e Luca 21). Questo testo sinottico e' estremamente interessante dal punto di vista storico, ma vorrei fare qui due considerazioni di altro genere che confermano, come gia' pensavo, l'importanza di uno studio accurato dell'apocalittica.
Primo, il celebrante nella sua predica ha sottolineato come il capitolo 13 di Marco sia pieno di riferimenti al Libro di Daniele (il Figlio dell'Uomo, l'abominio della desolazione, eccetera), ma poi ha aggiunto che questo dimostra come gli ebrei del tempo di Gesu' vivessero nell'attesa di un riscatto politico da ottenere sotto la guida di un Messia discendente del re Davide. Gesu' sarebbe venuto a confondere queste attese con la sua vicenda di umiliazione e di insuccesso politico. Questo ultimo punto puo' essere vero dal punto di vista teologico, ma e' del tutto sbagliato dire che Daniele attenda un Messia della casa di Davide: non c'e' alcun accenno a Davide ed al Messia "regale" in Daniele. Questo insegna, per me, che le dottrine apocalittiche vanno studiate con precisione, tenendo conto del fatto che non si puo' fare di ogni erba un fascio e che le attese al tempo di Gesu' erano molte e diverse fra loro.
La seconda osservazione e' piu' divertente: il capitolo di Marco contiene, al versetto 24, una descrizione terribile dell'oscurarsi del sole e della luna. Questo probabilmente disturbava il mio celebrante che infatti ha raccontato un episodio della sua vita giovanile in cui egli si sarebbe fermato per strada ad ammirare un bellissimo tramonto. La sua conclusione e' stata che la natura e' bella e che, se uno ha fede, non deve preoccuparsi troppo della fine del mondo, ma continuare a fare il bene che fa ogni giorno. Questo atteggiamento e' tipico della teologia cristiana contemporanea: l'escatologia e l'apocalittica non sono piu' comprensibili alla nostra mentalita' e quindi suscitano paura e disprezzo. Tuttavia, sono elementi cardinali del Nuovo Testamento e allora per aggirare il problema si inventano strade come questa. Purtroppo, per i cristiani delle origini le leggi di natura non erano affatto da ammirare, ma erano terribili strumenti di oppressione da cui si pregava Dio di essere liberati il prima possibile.

8 commenti:

Anonimo ha detto...

Caro Bazzana,
scopro solo ora il suo blog, segnalato da un amico, le porgo vivi complimenti. Diventerò un suo lettore assiduo

RG

Johannes Weiss ha detto...

Credo che possiamo in parte giustificare questi parroci e predicatori con il fatto che il grado d'informazione media dei loro fedeli su temi biblici e storici, è terribilmente basso.
Per cui finché si ricorre a stereotipi ed elementari contrapposizioni (il Gesù misericordioso contro il fariseo bacchettone, il comandamento unico dell'amore contro la casistica della halakhà, il Gesù Messia umile contro il Messia davidico politico etc.), allora i fedeli riescono a seguire il discorso e coglierne il "succo". Altrimenti, se si provasse a mostrare loro come le cose fossero in realtà molto più sfumate, è probabile che molti farebbero solo una gran confusione.
Ma d'altra parte questa situazione, seppur comprensibile, non può essere un alibi per mantenere i fedeli nella loro sostanziale ignoranza storico-biblica.

In effetti però il tuo celebrante ha perso una buona occasione. Come ben sai, infatti, c'è tutta una corrente di studiosi (soprattutto inglesi, vedi Manson, Hooker, Moule, e anche Romano Penna ha simpatia per questa linea) che ha legato l'impiego da parte di Gesù dell'espressione "Figlio dell'uomo" (in contesti di umiliazione, sofferenza e attesa di glorificazione) in modo molto stretto a Daniele 7, dove la figura di "uno come un essere umano" viene da loro strettamente identificata con il popolo dei santi dell'Altissimo (anziché essere vista come il suo rappresentante e garante angelico), che viene appunto vendicato da Dio dopo essere passato attraverso sofferenza e persecuzione.

Quanto alla "attualità" dell'apocalittica... anch'essa va e viene come tutte le cose. Negli anni d'oro della teologia della speranza (e anche della teologia della liberazione), forse l'apocalittica riusciva ad attrarre qualche simpatia.
Oggi non saprei dire. Suppongo che negli USA l'apocalittica sia fin troppo in auge nelle aree religiose e politiche più conservatrici (e non era appunto questo uno degli obiettivi polemici principali del Jesus Seminar?).
Qui "da noi" c'è Vito Mancuso che di recente (cfr. Il destino dell'anima) ha accusato l'apocalittica (quella vera, non quella di seconda mano USA) di rappresentare uno stadio di immaturità, quasi "adolescenziale", del pensiero. Cosa che a me personalmente, come si può ben indovinare, sembra una gran fesseria.

Bruno ha detto...

Caro Bazzana, quando rientra in Italia?

Anonimo ha detto...

Che sorpresa (positiva) questo blog. Grazie, professor Bazzana, per i suoi contributi sempre puntuali ed esaustivi. Mi associo ai numerosi complimenti a favore del blog. Lucio

Giovanni Bazzana ha detto...

Cari RG e Lucio,
grazie dell'attenzione e dei complimenti.

Giovanni Bazzana ha detto...

Caro Johannes,
sono assai d'accordo con la lettura di Daniele 7 quale esempio di figura escatologica che raccoglie l'esperienza dell'intero popolo di Israele, ma sono anche convinto che un discorso come questo sarebbe stato davvero troppo per i poveri fedeli (qui si passa decisamente ad un livello accademico: mi accontenterei anche di meno, ma con precisione).
Non so quanto darti ragione sul fatto che l'eclissi dell'escatologia sia una questione di mode: indubbiamente e' vero che qui in America l'escatologia tira molto (a livello di cultura popolare, guarda quanto si discute di questo ultimo film sul 2012), ma mi sembra che la differenza sia piu' radicale. Oggi la "fine del mondo" fa sempre paura, e' sempre immaginata in termini negativi: non mi sembra che ci sia piu' la possibilita' di recuperare l'esperienza che si trova nei testi cristiani delle origini, in cui in effetti la fine e' attesa e desiderata come liberazione da una condizione intollerabile. Qui, io vedo una divergenza incolmabile per quel che riguarda la nostra cultura occidentale (magari per altre culture e' diverso: su questo non sono sicuro).
Grazie per il ricco commento!

Fab ha detto...

ehi prof., la "a" - quando si intende voce del verbo avere, terza persona singolare dell'indicativo presente - vuole la acca !

"...che la natura e' bella e che, se uno a fede..." in "Perche' studiare l'apocalittica?" di mercoledì 2 dicembre 2009.

Ma tutto il resto rimane molto intrigante!

Giovanni Bazzana ha detto...

Cara/o Fab,
grazie per l'editing!